I

ELEZIONE DIVINA

 

Josefa Mènéndez nacque a Madrid il 4 febbraio 1890 e fu battezzata il 9, nella chiesa di San Lorenzo, coi nomi carissimi, per la sua fede, di Maria Josefa.

Il 29 dicembre 1923 moriva santamente, a 33 anni, nella casa dei Feuillants a Poitiers.

 

Sabato 3 luglio 1920. Ad un tratto, Gesù mi ha mostrato il Cuore avvolto in una fiamma luminosa, circondato da una co­rona di spine, e quali spine! Erano lunghe, penetranti e da ognuna sgorgava molto sangue... Avrei voluto to­gliergliele, ma in quel momento il cuore mi è stato strappato per così dire, con immenso dolore, e messo accanto alla ferita del Costato sotto le spine. Ma solo sei si conficcarono nel mio, perché è assai piccolo. Passò un momento e non potei dire niente, eppure Egli sapeva quanto desiderassi avere un cuore più grande per to­glierGli più spine! Allora la Sua dolce voce dolorosamente mi disse: «- Questo e molto più ha sofferto il mio Cuore: ma trovo anime che si uniscono a Me e Mi consolano, in compenso di quelle che se ne allontanano».

Domenica 4 luglio 1920. Gesù: «- Questo grosso chiodo è la freddezza delle mie spose. Voglio che tu lo comprenda per infiammarti di amore e consolare il mio Cuore».

Martedì 6 luglio 1920. Mi ha fatto comprendere che le sei spine sono anime che attualmente L'offendono in modo speciale: «- Sono queste le spine che ti chiedo di toglierMi con il tuo amore e i tuoi desideri».

7 luglio 1920. «- Amami nella tua piccolezza, così Mi consolerai».

Il giovedì 5 agosto 1920, qualche giorno dopo la vestizione, Gesù la fa di nuovo partecipare al dolore delle spine che Lo feriscono. «- Se sarai fedele, ti farò conoscere la ricchezza del mio Cuore. Porterai, sì, la mia croce, ma ti colmerò di doni come sposa prediletta». Questa volta - scrive Josefa - Lo vidi circonfuso di uno splendore abbagliante. Il Cuore, avvolto dalle fiamme, sembrava uscirGli dal petto.

Martedì 10 agosto 1920. Gesù: «- Non ho altro desiderio che quello di essere amato. Guarda il mio Cuore, Josefa: lui solo può farti felice. Riposati in Lui». Poi continuò: «- Avevo sei spine, tu me ne hai tolte cinque. Una sola ne rimane ed è proprio quella che più ferisce il mio Cuore! Voglio che tu non risparmi nulla per togliermela!». «Signore, - risposi - che cosa vuoi che io faccia?». «- Voglio che tu Mi ami e Mi sia fedele. Ricordati che Io solo posso farti felice. Ti scoprirò la ricchezza del mio Cuore. Amami senza limiti!».

Lunedì 16 agosto 1920. Gesù: «- Non vengo per consolarti, Josefa, ma per unirti alla mia sofferenza. Toglimi questa spina: vedi come trafigge il mio Cuore! Quest'anima è sul punto di costringermi ad abbandonarla alla mia giustizia. Le offese degli uomini Mi feriscono profon­damente, ma nulla tanto Mi affligge quanto quelle delle mie spose. Questa spina è un 'anima religiosa che ho ri­colmata di doni, ed ella se li appropria... l'orgoglio la perde!». La sera mi mostrò il Cuore, tutto fiamma, con la piaga aperta, e sempre... la spina! «- Ho per ogni anima due misure, una di misericordia, e questa ha già traboccato... l'altra di giustizia, che è quasi al colmo. Nulla mi offende più che l'ostinazione e la resistenza di quest'anima... le toc­cherò di nuovo il cuore, ma se non risponde, l'abban­donerò alle sue forze». … Alla fine dell'ora santa venne col Cuore sempre trafitto dalla spina. Lo supplicai di aver compassione di quell'anima, e siccome non rispondeva, Gli dissi: «Ma dunque, Signore, non vuoi perdonarla?». «- Le toccherò ancora il cuore: se Mi ascolterà, tornerà ad essere la mia sposa prediletta, altrimenti lascerò agire la mia giustizia».

«- Se tu sei disposta a soffrire - le ripete Nostro Siguore il mercoledì 18 agosto  1920- Io aspetterò quell'anima, ma non posso perdonarle finché essa stessa non vuole. L'ho creata senza di lei, ma ella è libera di salvarsi o di perdersi».

Qualche giorno dopo aggiunge: «- Quando trovo un'anima che Mi ama e desidera consolarMi, sono pronto a darle tutto quello che Mi chiede. Attenderò dunque, busserò ancora alla porta di quel cuore, poiché se vuole, il mio è disposto a perdo­nare».

Il mercoledì 25 agosto 1920, dopo una notte angosciata di sup­plica, Josefa, sempre fedele all'incontro mattutino, comincia la meditazione con le sue sorelle. «Ad un tratto - ella scrive - L'ho visto... così bello che non so ridire... In piedi, vestito di bianco. Con le mani sosteneva il Suo Cuore immerso in una fornace di fuoco. Tutta la persona adorabile irraggiava una luce splendente. I capelli sembravano d'oro, gli occhi due diamanti, il volto... non posso dire... perché non so a che cosa paragonarlo!... il Cuore, sormontato dalla croce, non aveva più la spina! Dalla ferita tutta aperta uscivano fiamme, sembrava un sole... Le piaghe delle mani e dei piedi sprigionavano anch'esse viva fiamma... Di tanto in tanto apriva le braccia e le tendeva. Non potei dirGli altro che queste parole: Mio Gesù, quanto sei bello!... Tu rapisci i cuori! e la spina?... «- La spina! non l'ho più! Niente è più forte del­l'amore e Io lo trovo nelle mie spose!». … «- Voglio che tu Mi offra tutto, anche le minime cose, per consolare il mio Cuore di ciò che soffre, so­prattutto da parte delle anime consacrate. Voglio che tu riposi tranquilla nel mio Cuore. GuardaLo e comprenderai a qual punto è capace di consumare in te tutto ciò che vi si trova d'imperfetto. Voglio che ti abbandoni al mio Cuore e che ti preoccupi soltanto di piacerGli. Voglio che ciò che ti chiedo tu lo dica con semplicità alla Madre, e che ti abbandoni a tutto ciò che sarà disposto per te. Infine ti ripeto che tu devi essere per Me come cera molle che Io possa modellare a mio piacere... Ricordati che sono tuo Padre, tuo Sposo, tuo Dio!».

«Il giovedì 2 settembre 1920 Josefa scrive: «Alla meditazione vidi la stessa persona così bella, con il Cuore aperto. Mi chiese due volte se L'amassi: per obbedienza non risposi quantunque mi costasse un grande sforzo, sentendomi involontariamente sospinta verso di lei».

Tre giorni dopo, 5 settembre 1920, Josefa si trovava nella sala del noviziato. «quando ad un tratto - scrive - vidi una gran luce e in mezzo la stessa persona, con il Cuore tutto infiammato. Ebbi tanta paura che fuggii nella cella della Beata Madre. Mi bagnai gli occhi con l'acqua benedetta e mi aspersi anche la persona, ma la visione non spariva». «- Perché temi? - mi disse la voce. «- Non sai che è qui il luogo del tuo riposo?». «- Non dimenticare che ti voglio vittima del mio amore». Poi tutto disparve». «- Vieni - diceva la voce - entra qui... perditi in questo abisso!».

Il mercoledì 8 settembre 1920, verso sera, si trovava in preghiera nella cella di Santa Maddalena Sofia e come un lampo passò davanti a lei il Cuore infiammato dicendole: «- Che cosa preferisci, la tua volontà o la mia?».

Il giorno dopo, 9 settembre 1920, alla Santa Messa ella rivide Colui di cui per molto tempo non aveva dubitato. Con una mano teneva il suo Cuore, con l'altra le porgeva una coppa: «- Ho inteso i tuoi gemiti, conosco i tuoi desideri ma non posso esaudirli. Ho bisogno di te per riposare il mio Amore. Prendi questo Sangue sgorgato dal mio Cuore! E la sorgente dell'amore: non temere di nulla e non abbandonarmi! Mi compiaccio di abitare in te, mentre tante anime fuggono lontane!».

Questo Cuore le appare ancora il giovedì 16 settembre 1920: «- Occorre, per soddisfare iL mio Amore, che tu mi cerchi delle anime; le troverai soffrendo molto ed amando. Dovrai sopportare molte umiliazioni, ma non temere di nulla: sei nel mio Cuore».

Il venerdì 17 settembre 1920, alla Messa, Nostro Signore le si mostrò, triste in volto, con le mani legate, la corona di spine in capo, il Cuore infiammato come sempre. Le presentò una croce, che ella dapprima non aveva veduta e le disse: «Ecco la croce che ti offro: me la rifiuterai?».

Domenica 19 settembre 1920. «- Se Mi ami, ti starò sempre vi­cino. Se Mi segui continuamente, sarò la tua vittoria contro il nemico, mi manifesterò a te e ti insegnerò ad amarMi!».

Il giorno dopo, 20 settembre 1920, assillata dalla stessa ansietà, essa supplica Nostro Signore di voler concedere un segno alle sue Superiore, affinché sappiano se tutte queste cose vengono da Lui o no. Egli ad un tratto appare e dice: «- Il segno lo darò in te. Quello che voglio è che ti abbandoni a Me».

Il venerdì 29 settembre 1920: «- Sei disposta a fare la mia Volontà?». «Mio Dio - ella scrive - se sei Tu veramente mi metto nelle Tue mani perché Tu faccia di me ciò che vorrai. Quello che Ti chiedo è di non essere ingannata e che nulla metta ostacolo alla mia vita religiosa». «Egli mi rispose: «- Se sei nelle mie mani di che puoi temere? Non dubitare, nè della bontà del mio Cuore, nè del mio Amore per te». «Una fiamma si sprigionò dal Suo Cuore e mi avvolse. «- Ciò che ti chiedo è di essere sempre pronta a consolare il mio Cuore, ogni volta che ho bisogno di te. La consolazione di un'anima fedele mi compensa delle amarezze che mi infliggono tante anime fredde e indifferenti. Sentirai, sì, talora tutto il peso della mia angoscia, ma è così che mi consolerai. Non temere di nulla, sono con te!».

Domenica 3 ottobre 1920. Vidi vicino al mio letto una figura vestita di bianco, avvolta in un lungo velo, con una dolce e gentile fisionomia. Teneva le mani incrociate, mi guardò soavemente e disse: «Figlia mia, non sei nell'inganno, e la tua Madre presto lo saprà; però tu devi soffrire per conquistare anime a mio Figlio».

Il giorno dopo, 4 ottobre  1920, Nostro Signore mostrandole il Cuore ferito, le disse: «Guarda in che stato le anime infedeli mettono il mio Cuore. Non conoscono l'Amore con cui le amo, perciò mi abbandonano. Non vuoi tu... almeno tu... fare la mia volontà?».

Il giorno dopo, martedì 5 ottobre 1920, mentre dicevo le litanie della Madonna, vidi davanti a me la Madre celeste come la prima volta. «- Se rifiuti di fare la volontà di mio Figlio sarai tu a ferirLo nel Cuore. Accetta tutto quello che ti chiede e non attribuir nulla a te stessa. Sì, figlia mia, sii molto umile!».

Martedì 5 ottobre 1920. Maria Ss.: «Figlia mia, ripeti a Gesù queste parole a cui il Suo Cuore non saprà resistere: Padre mio, rendimi degna di compiere la Tua santa Volontà, perché sono tutta Tua». «- Nelle mani di un Padre tanto buono che cosa può mancarti?». «La supplicai di ricevere il mio atto di offerta e di ripeterlo Ella stessa a Gesù». La sera di quel giorno, entrando in cappella per l'adorazione, Josefa si trovò a un tratto in presenza di Nostro Signore. «Lo vidi col volto bellissimo - ella scrive - col Cuore circondato di fiamme, e nel Cuore, davanti alla croce, un libro aperto. Non capivo che cosa fosse... Mi sono offerta di nuovo, promettendo di non più tirarmi indietro. Mi ha posato la mano sul capo e mi ha detto: «- Se tu non mi abbandoni, neppure Io ti lascerò. Da ora in avanti, Josefa, non chiamarmi se non Padre e Sposo. Se Mi sei fedele, faremo questo patto divino: tu mia sposa, Io tuo Sposo! Ora, scrivi quello che leggi nel mio Cuore: è il compendio di ciò che aspetto da te». «Allora lessi nel libro: «- Sarò l'unico Amore del tuo cuore, il dolce supplizio dell'anima tua, il gradito martirio del tuo corpo. «Tu sarai vittima del mio Cuore, mediante il disgusto amaro per tutto ciò che esiste all'infuori di Me; vittima dell'anima mia per mezzo delle angosce di cui la tua è capace, vittima del mio corpo col distacco da tutto ciò che può soddisfare il tuo, e con l'odio verso una carne colpevole e maledetta». «Quando ebbi finito la lettura Gesù mi fece baciare il libro e disparve».

Oggi, venerdì 15 ottobre 1920 -  scrive - mi ha detto: «La tua miseria mi attira... senza di Me, che saresti?... Più ti farai piccola, più ti starò vicino: non dimenticarlo, e lasciami fare ciò che Mi piace». Quella stessa mattina, prima della Comunione, per prepararsi Josefa rinnovò il suo totale abbandono alla volontà di Dio. Aveva appena finito quando Gesù le apparve e le disse: «Ti perdono tutto. Sei il prezzo del mio Sangue e voglio servirmi di te per salvare molte anime che mi sono costate tanto! Non rifiutarMi nulla. Vedi quanto ti amo!». «Nel dire queste parole mi coprì con la fiamma del Suo Cuore e mi infuse un grande coraggio, tanto che ormai non ho più paura di soffrire e non desidero che adempiere la Sua Volontà». Dopo pochi istanti venne la Madonna a fortificarla mag­giormente: «Figlia mia, non è vero che non abbandonerai mai mio Figlio?». «No, Madre mia, mai!». «- Non temere di soffrire, perché non ti mancherà la forza necessaria. Pensa così: oggi solo per soffrire ed amare... un'eternità per godere!». «L'ho supplicata di non abbandonarmi e di ottenermi da Gesù la fedeltà! Infine Le ho chiesto perdono, e mi ha risposto: «- Non temere, Josefa: abbandonati nelle mani di mio Figlio e ripetiGli senza posa: "O Padre buono e misericordioso, guarda la Tua figliola e rendila talmente Tua che si perda nel Tuo Cuore! Padre mio! Che l'unico mio desiderio sia quello di adempiere la Tua santissima Volontà"». «- Questa preghiera Gli piacerà, perché nulla de­sidera di più che ci si abbandoni a Lui. Consolerai così il Suo Cuore, e non temere. Abbandonati, Io ti aiuterò!».

Sabato 16 ottobre 1920, Gli chiesi perché mi fa tante grazie senza alcun merito da parte mia, e, durante l'adorazione, mi rispose mostrandosi coronato di spine: «- Non ti domando di meritare le grazie che ti faccio, quello che voglio è che tu le riceva. Ti mostrerò la scuola dove imparerai questa scienza».

Il 17 ottobre 1920, essa scrive: «L'ho visto come ieri, con il Cuore fiammeggiante e la ferita sempre più aperta. L'ho rispettosamente adorato chiedendoGli di infiammarmi del Suo Amore. Allora ha detto: «- Ecco la scuola ove imparerai la scienza dell'abbandono, e così potrò fare dite quanto desidero».

Trascorrono due giorni in una grande solitudine interiore ed ella si chiede se in qualche cosa possa aver fatto dispiacere a Gesù... Lo invoca ed Egli non resiste all'ansia di un tale amore: «- Sono contento che Mi chiami, ho tanta sete di essere amato!». «Così dicendo mi ha trasfuso un desiderio talmente ardente da farmi comprendere che non ho ancora neppur cominciato ad amarlo. L'ho pregato di insegnarmelo». «Se sei disposta a restarMi fedele, riverserò nel­l'anima tua il torrente della mia Misercordia e conoscerai l'Amore che ti porto; ma non dimenticare che, se ti amo, è per la tua piccolezza e non per i tuoi meriti».

Oggi, giovedì 21 ottobre 1920, mi è apparso Lui in persona, con le braccia tese e mi ha detto: «Si, Josefa, Io cerco soltanto l'amore delle anime, ma esse mi rispondono con l'ingratitudine! Vorrei ri­colmarle di grazie ed esse Mi trafiggono il Cuore: le chiamo e fuggono lontane da Me!... Se accetti, ti farò come incaricata di anime che tu mi darai con i tuoi sacrifici e col tuo amore!». «Così dicendo mi ha di nuovo accostata al Suo Cuore e ne ho uditi i palpiti che hanno immerso la mia anima come in un'agonia. «- Sai bene che ti voglio vittima del mio Cuore, ma non ti lascerò sola: abbandonati al mio Cuore!».

Sabato 23 ottobre 1920: «- Vengo dall'Amore e vado all'Amore, poiché sia che tu salga o tu scenda, sei sempre nel mio Cuore che è l'abisso dell'Amore! Io sono con te!».

Il mercoledì 27 ottobre 1920, durante l'adorazione, scrive «Lo vidi nuovamente e mi ripeté»: «- Voglio che tu salvi queste anime... guarda la fiamma del mio Cuore: è il desiderio di soffrire per esse da cui devi essere consumata. Le guadagnerai con i tuoi sacrifici. Riposati in Me e non temere di niente!».

L'indomani di quel giorno le appare in quello stesso stato doloroso che le fa scrivere: «Quanta compassione ho provato! Mi ha guardato in tal modo che ho compreso quanto il mio patire è un'ombra in paragone del Suo! Nello stesso tempo vidi dietro di Lui una fila sterminata di anime, ed Egli fis­sandomi mi ha detto: «Tutte queste anime ti aspettano!... Ti feci scegliere, Josefa! Ma se Mi ami davvero non temerai di nulla!». «Gli confidai di nuovo il mio timore che tutte queste cose possano essere conosciute, ed Egli: «Che t'importa? Se così puoi glorificare il mio Cuore!». «Signore, ma sono novizia!». «- Lo so, ma se rimarrai fedele, nessuna di queste cose ti nuocerà. Non temere!». «Allora mi sono offerta a servirLo, affinché disponga di me come vorrà». «Sì, farò di te una vittima, poiché, se sei mia sposa, Josefa, devi rassomigliarMi, e tu vedi come sono ridotto!».

Il sabato 6 novembre 1920, Josefa si sveglia convinta di aver perduto la vocazione e che tutto sia ormai inutile. «In mezzo a tale tormento - scrive - non potevo che ripetere quest'invocazione: Gesù, Gesù non mi abbandonare! Così passò la meditazione, poi la Messa, e mi comunicai, ma non potevo che chiamare Gesù in mio aiuto e ripetere: credo che Tu sei nell'anima mia, lo credo, mio Dio! La Sua voce ad un tratto mi rispose: «- Sono qui!». «In quell'istante mi sentii pervasa da una grande pace e Lo vidi. Aveva in capo la corona di spine e la fronte rigata di sangue. La ferita era aperta e con le mani Egli mi mostrava il Cuore». «Gesù mio, come mi lasci sola! e per tanto tempo, e tentata». «- Quando ti lascio così fredda, è perché prendo il tuo ardore per riscaldare altre anime. Quando ti abbandono all'angoscia, la tua sofferenza placa la collera divina. Quando ti sembra di non amarMi eppure mi ripeti il tuo amore, allora tu consoli mag­giormente il mio Cuore. Ecco quello che voglio: che sii pronta a consolare il mio Cuore ogni volta che ho bi­sogno di te». «Gli risposi che ciò che mi tormenta di più è il timore di offenderLo, poiché poco importa il soffrire, ed Egli lo sa bene». «- Vieni, Josefa, non temere di niente, non sei sola! Non posso abbandonarti... Più sei piccola e umile, più hai bisogno d'essere custodita...». Di fronte a tali assicurazioni divine, ella confessa di nuovo le sue debolezze e ripete il suo amore e il suo abbandono... «L'ho supplicato di darmi le virtù di cui ho tanto bisogno, soprattutto l'umiltà. Mi interruppe: «- Ho dell'umiltà per il tuo orgoglio». «Sono poi così vile, così debole nelle sofferenze!». «- Io sono la forza stessa!». «Infine mi sono offerta senza nulla ritenere per me». «- Tu dici bene, Josefa: nulla per te... tu, tutta per Me, ed Io tutto per te! Quando ti lascio sola nell'angoscia abbraccia la mia Volontà, abbandonati al mio Amore».

L'indomani, 7 novembre 1920: «- Dimmi che Mi ami: è ciò che più Mi consola!». «Gli ho risposto - scrive - che non voglio altra cosa se non amare Lui solo». «- Sì, serba per Me il cuore che ti ho dato e in tutto non cercare che l'Amore. E quanto desidero. Il mio Cuore ardente vuole consumare le anime nel fuoco di questo Amore».

La sera dell’8 novembre 1920: «- Non affliggerti troppo per le tue mancanze, poiché non ho bisogno di niente per fare di te una santa. Ma voglio che tu non resista mai a quanto ti domando. LasciaMi agire. Umiliati».

Martedì 9 novembre 1920: «- Ti faccio queste grazie soltanto per la tua fedeltà e la tua obbedienza a Me e alla Madre che Mi rappre­senta. Te lo ripeto, abbandonati al mio Amore. Voglio che tu sia vittima della divina Giustizia e il sollievo del mio Amore. Ti immolerò, ma coi dardi dell'Amore. Ti farò prigioniera, ma con i lacci del mio Amore. Non temere di nulla, sei in fondo al mio Cuore. Abbandonati».

Venerdì 19 novembre 1920 Gesù le appare col Cuore ferito e lacerato dalle piaghe. «Gesù mio, sono forse io che ho ferito il tuo Cuore? «No, Josefa, non sei tu! E la freddezza delle anime che non corrispondono al mio Amore. Se tu sa­pessi il mio dolore di amare e di non essere amato!». «Allora il suo Cuore divenne ad un tratto come un incendio». «- Ecco ciò che il tuo amore fa del mio Cuore, poiché sebbene ti senti fredda e credi di non amarMi, trattieni la mia Giustizia sul punto di punire le anime. Un atto solo di amore compiuto nella solitudine in cui ti lascio ripara le ingratitudini che si commettono contro di Me. Il mio Cuore conta questi tuoi atti di amore e li raccoglie come un balsamo prezioso». Ogni angoscia di Josefa disparve nella fiamma che divam­pava dalla ferita divina. «L'ho pregato per tutte le anime, supplicandoLo che molte Lo amino e conoscano la bontà del suo Cuore». «- Mi compiaccio che tu sia così affamata del mio Amore e consumata dal desiderio di vederMi amato: soltanto questo consola il mio Cuore. Sì, prega per le anime che ti ho affidato: ancora qualche sacrificio e poi verranno».

Il sabato 20 novembre 1920, dopo la Comunione le apparve come un povero per mendicare il suo amore: «Molte piccole ferite Gli straziavano il Cuore», ella scrive. «Dimmi, Josefa, che cosa non faresti per conso­larMi?... Condividi un istante l'amarezza del mio Cuore!». «Allora l'anima mia si trovò come smarrita. Era rimasto lì. Poi, a poco a poco, il Cuore Gli si accese e le ferite sparirono». «Ascolta,   disse.   Voglio che tu Mi dia delle anime! Perciò non ti chiedo altra cosa che amore in ogni tua azione. Fa' tutto per amore, soffri per amore, lavora per amore e soprattutto abbandonati all'Amore. Quando ti faccio sentire l'angoscia e la solitudine, accettale e soffri nell'amore. Voglio servirmi di te come del bastone su cui si appoggia una persona stanca... Voglio possederti, consumarti interamente, ma tutto con grande soavità, in modo che soffrendo un martirio di amore, tu desideri maggiormente soffrire».

Domenica 21 novembre 1920 du­rante la Messa ad un tratto le appare: «- Vengo a riposarMi in te, poiché sono così poco amato! Cerco amore e non incontro che ingratitudine! Sono così rare le anime che Mi amano davvero!». «Gli chiesi se non riceveva qualche consolazione da questo noviziato. Poi per consolarLo Gli offersi l'amore della Madonna, dei santi, di tutte le anime fedeli ed anche il mio». « -Sì, amaMi, Josefa, e non stancarti di ripeter­melo!».

«Mi sforzavo - scrive il giorno seguente - di ripe­terGli con tutta l'anima: Ti amo Gesù mio!». «E anch'Io» mi rispose, improvvisamente durante la meditazione. «Mi apparve senza luce, e pareva un povero. Io stavo in silenzio, ma siccome mi guardava tristemente, osai parlarGli e dirGli soprattutto il mio ardente desiderio di consolarLo». «- Sì, oggi devi consolarMi e, perché non ti di­mentichi di Me neppure un istante, resterò al tuo fianco». «Alla fine della meditazione, siccome restava li Gli ho detto: Signore, ora bisogna che vada a spazzare, ma sai bene che tutto quello che faccio è unicamente per amor tuo. Per due volte ancora, durante il mio lavoro, mi chiese se Lo amavo». «- Ripetimelo spesso, per supplire alla dimenticanza di tante anime!». Quella giornata, lunedì 22 novembre 1920, trascorse tutta intera in questa compagnia divina. «Egli sempre lì - scrive Josefa - senza separarci un solo momento». Ogni tanto Gesù la interrompeva nel suo lavoro. Mentre spazzava l'antico chiostro del vecchio convento dei Feurnants con l'ammattonato primitivo: «- Perché fai questo? - le chiede». «Signore, perché Ti amo! Vedi tutti i mattoni di questo corridoio?... altrettante volte Ti ripeto che ti amo!». Più tardi, mentre Josefa va in giardino a prendere il car­bone. «- Che fai? - le dice. «Procuro, Signore, di provarTi il mio amore in tutte queste piccole cose». Egli riprese. «- Molte anime credono che l'amore consista sol­tanto a dire: Ti amo, mio Dio! No, l'amore è soave, agisce perché ama e fa tutto amando. Voglio che Mi ami così nella fatica come nel riposo, nella preghiera e nella gioia come nella pena e nell'umiliazione, provandoMi continuamente questo amore con le opere, perché questo è amore! Se le anime comprendessero bene tutto ciò, quanto progredirebbero in perfezione e quanto consolerebbero il mio Cuore!».

Un po' prima di mezzogiorno Gli chiesi di allontanarsi perché dovevo andare a servire le bambine in refettorio. Però, Signore, non ti dimenti­cherò lo stesso!» Gesù mi rispose. «- Va', di' alla Madre che sono con te e doman­dale ciò che bisogna fare. Andiamo insieme». Ella dice - Non vedi quanto mi costa di stare attenta ad altra cosa che a Te, e presto si accorgeranno...». «- Senti, Josefa: se un bambino piccolo si trovasse ai piedi di un'erta faticosa da salire, e suo padre gli fosse vicino lo lascerebbe cadere?». La sera Gesù ; «- Quello che oggi Mi ha consolato - Egli dice - è che tu non Mi hai lasciato solo, e quel che Mi piace in te è la tua piccolezza. Devi tenerMi sempre presente così. E più ti vedi miserabile e piccola, più puoi essere certa che sono contento di te. Non dimenticare che sarò il tuo divino tormento e che tu sei la vittima del mio Amore. Ma sono il tuo sostegno e finché rimarrai fedele, non ti abbandonerò».

Il giorno dopo, - scrive il martedi 23 novembre 1920 - nel momento stesso in cui Gli chiedevo di dare a tutte le mie sorelle, come a me, la gioia di sentirsi al suo servizio, venne e mi disse: «- Sei felice anche quando soffri?». «Sì, o Signore, perché è per Te». «- Vuoi portare il peso di altre anime?». «Sì, o Signore, perché Ti amino!». «- Ebbene, tu soffrirai perché sei la vittima del mio Amore, ma nell'amore, nella pace, nella letizia in tutto e sempre». In uno di quei giorni Gesù le disse: «- Unirò alla fedeltà tua quella di molte anime».

E per la prima volta, sempre in considerazione delle anime, la fa partecipare ai dolori della sua corona di spine. «Ero nella cappellina di S. Stanislao - scrive il venerdì 26 novembre 1920 - Egli mi chiedeva di consolarLo ed io cercavo ciò che avrei potuto fare per questo». «- Ti lascerò un momento la mia corona, Josefa, e proverai ciò che è la mia sofferenza». «In quell'istante sentii il mio capo come cerchiato di spine che vi si confissero profondamente». «- Non ti lamentare per questa sofferenza poiché nulla varrà a sollevartene, tu partecipi al mio dolore».

Domenica 28 no­vembre 1920: «Ieri è venuto nel guardaroba dove lavoravo, col Cuore ferito e l'aspetto di un Ecce Homo». «- Fino a che quest'anima non torna a Me - Egli disse - verrò a chiedere a te l'amore che mi rifiuta». «Lo seguii fino al dormitorio e Lo adorai con gran rispetto». «- Affinché tu comprenda meglio il mio dolore, Josefa, te ne farò partecipe». «La mia anima venne allora assalita da grande an­goscia. Gesù restava lì. Non diceva niente: Lo consolai come potei... quando mi disse: «- Mi hai riposato perché Mi hai dato amore».

«Il lunedì 29 novenbre 1920- scrive - durante la meditazione mi disse: «- Ti lascerò la mia corona di spine e me ne of­frirai il dolore per quest'anima. Se tarderà a ritornare, uniremo noi due il nostro desiderio ardente per il suo ravvedimento. Così il mio Cuore sarà consolato».

«Non posso esprimere ciò che soffro, prosegue il 29 novembre 1920. Mi sembra aver l'anima lontana da Lui e il corpo affranto e senza coraggio». Chiede al Maestro che cosa vuol fare di lei in quello stato di impotenza, di scoraggiamento. «- Ciò che voglio è che tu viva così unita al mio Cuore  che nulla sia capace di distaccartene». E incitando la sua generosità: «- Voglio riposarMi in te. Non rifiutarMi ciò che Mi appartiene!». Io che ho sempre tanta paura di vedermi mancare il tempo di lavorare - confessa Josefa - Gli dissi: ma, Signore, sarò in ritardo per il mio ufficio». «- Non sai dunque che sono il padrone del tuo cuore e di tutto il tuo essere?».

Sabato 4 dicembre 1920: «- Vieni, dimmi i tuoi timori». «E mostrandomi il Cuore: «Se non sai soffrire, vieni qua!... «Se temi di essere umiliata, vieni qua!... «Se hai paura, accostati ancor più a Me!... «Gli ho detto quanto queste grazie mi spaventino, poiché non le merito». «So che non le meriti, ma ciò che voglio è che tu le riceva».

«E’ venuta la Madonna– scrive - il lunedì 6 dicembre 1920, mentre durante la meditazione chiedevo a Nostro Signore perdono e amore». «- Figlia mia, non rattristarti così! Non sai ciò che Gesù è per te? E’ utile che tu soffra in silenzio, ma senza angustiarti; che tu ami molto, ma senza considerare se ami e senza sapere che ami. Se cadi, non affliggerti troppo. Siamo ambedue lì per rialzarti e io non ti abbandonerò mai!». «Le spiegai che la maggiore mia sofferenza sta nel non poter seguire interamente la vita comune e che ho paura di essere osservata». «- Non dimenticare che questo è per le anime. Il nemico mette tanto accanimento per farti tornare indietro perché vede in te come un ruscello che, nel suo corso, trascinerà le anime a Gesù». «Le ho chiesto di benedirmi e di non lasciarmi sola, poiché sa quanto sono debole!». «Si, ti benedico e ti amo!».

Il giorno seguente, martedì 7 dicembre 1920, Ella riappare: «- Se vuoi consolare Gesù, ti dirò piace: offrirai tutto per le anime, senza alcun ma unicamente per la gloria del suo Cuore», dolce Madre E aggiunge precisando l'atto da compiere: ciò che Gli tuo interesse, «Finché non ti dirò di cessare, reciterai ogni giorno nove Ave Maria con le braccia in croce. Lo farai umiliandoti e riconoscendo il tuo nulla, ma nello stesso tempo adorerai la divina volontà, lasciando al tuo Creatore piena libertà di disporre di te come vorrà. Confida nel suo Cuore e in Me, che ti sono Madre». «Durante il ringraziamento della Comunione, Gesù mi ricoprì con la fiamma del Suo Cuore dicendomi: «- Desidero che Mi lasci piena libertà per stabilire tra il mio Cuore e il tuo una corrente tale che tu viva in Me, senza vivere più affatto per te». «- Voglio che Mi aiuti con la tua piccolezza e la tua miseria a strappare al nemico le anime che costui tenta di divorare». «Verso mezzogiorno m'apparve con volto radioso: «- Vieni, riposa e gusta la gioia del mio Cuore... Un'anima di più è tornata a Me!».

  8 Dicembre 1920. Si avvicinava la festa dell'Immacolata Concezione e questo giorno non poteva sorgere senza che la Madonna lo illuminasse della sua presenza, fin dall'aurora. «- Figlia mia, non temere mai né sofferenze, né sacrifici, le vie di Dio sono fatte così. Se vuoi uscir vittoriosa dagli assalti del nemico, ti racco­mando due cose: prima di tutto umiliati, poiché sei un nulla e meriti nulla; tutto è grazia del tuo Dio. In se­condo luogo, quando ti trovi abbandonata, circondata da tentazioni, con l'anima fredda e senza forza per com­battere, non tralasciare mai la preghiera. Prega con umiltà e fiducia e va' subito ad aprire il tuo cuore a colei che mio Figlio ti ha dato per madre quaggiù. Credi, figlia mia, così non ti ingannerai mai. Ricevi la mia benedi­zione. Sai bene che sono la Madre tua!».

Il venerdì 10 dicembre 1920, dopo la Comunione, Ella le porta la corona di spine, pegno delle predilezioni di Gesù. «- Guarda - disse - sono Io che te la porto, perché ti sia più soave». «Ella stessa me la calò sul capo» scrive Josefa che di nuovo ripeté a Maria quanto temeva queste grazie. «- Se tu rifiuterai, figlia mia, ti esporrai a perderti. Se le accetti soffrirai, ma la forza non ti verrà mai meno. Io non ti abbandonerò perché sono tua Madre, e tutti e due ti aiuteremo».

Al mattino del giorno dopo, 11 dicembre 1920, Gesù: «- Oggi - le dice nel ringraziamento della Co­munione - voglio imprigionarti nel mio Cuore». «- Guarda il fuoco del mio Cuore... eppure ci sono anime così gelide che questa fiamma stessa non riesce a riscaldarle...». «Gli ho domandato come avviene che non si infiammino a contatto del suo Cuore». «- Perché non si avvicinano!» «- L'Amore non è amato: pensa a ciò e non Mi rifiutera più nulla!».

Venerdì 17 dicembre 1920, verso sera andai in Cappella e dissi a Gesù: Signore! non permettere che ti sia infedele e mettimi in fondo al tuo Cuore af­finché muoia senza separarmi da Te». Proprio in questo istante Gesù le appare, con il Cuore aperto e tutto ardente: «- Come vuoi che ti metta più in fondo, Josefa? Quando credi di esserMi lontana, proprio allora ti inabisso ancora di più nel mio Cuore, per cu­stodirti con sicurezza».

Sabato 18 dicembre 1920, le rivela l'Opera re­dentrice che si è effettuata con la sofferenza. «-Mi servo della tua miseria per salvare le anime, Josefa. Voglio che sia vittima di questo Cuore. Non ri­fiutarMi nulla: consolaMi ogni volta che ne ho bisogno e ricordati che Io non ho risparmiato niente per provarti il mio Amore». «- Figlia del mio cuore - le disse Maria Ss. apparendole qualche istante dopo - ti supplico di non rifiutare nulla a mio Figlio. Non soltanto la tua felicità, ma quella di molte anime dipendono dalla tua generosità. Se sarai fedele e ti abbandonerai, molte anime profitteranno delle tue sofferenze. Se sapessi ciò che vale un'anima! te lo ripeto: tu sei indegna di tante grazie, è vero, ma se Dio vuole servirsi della tua piccolezza hai tu il diritto di re­sistere?...». «Le chiesi la benedizione: essa mi pose la mano sulla fronte e scomparve».

La domenica 19 dicembre 1920, nella mattinata, ode la ben nota voce del Maestro: «- Josefa!». Guarda intorno e non vedendoLo prosegue nella sua oc­cupazione: ma giunta in fondo alle scale, vicino alla Cappella: «Mi sentii attratta   scrive - e salli al noviziato: era là! Dal suo Cuore sgorgava un torrente d'acqua». «- E la corrente dell'amore, Josefa, poiché il tuo martirio sarà di amore». Ella esclama: «Mio Dio! per guadagnarTi anime non indietreggerò più, soffrirò quanto occorre, purché non mi lasci mai uscire dal tuo Cuore». «- Così tu Mi consoli e non voglio da te altra cosa. Se tu sei povera, Io sono ricco; se tu sei debole, Io sono la forza stessa. Ciò che ti chiedo è di non rifiutarMi nulla». «Ascolta i palpiti di questo Cuore: sono per le anime che chiamo... Io le aspetto... le chiamerò di nuovo e finché non risponderanno le aspetterò con te. Soffriremo, ma verranno, sì, verranno presto».

«Ero al dormitorio rifacendo i letti delle alunne e ripetendoGli il mio amore - scrive il martedì 21 di­cembre 1920 - quando improvvisamente è venuto a cercarmi». «- Vieni, ho bisogno di te». «- Voglio che oggi ti offra come vittima e che tutto il tuo essere soffra per guadagnarMi queste anime. Umiliati e domanda perdono. Io sono con te». Allora, avvolgendola nel fuoco del suo Cuore, aggiunge: «- Coraggio! Soffrire è il dono migliore che possa farti, poiché è la via che ho scelto per Me».

L'indomani: «- Cerca oggi ciò che ti costa e ti mortifica e moltiplica per Me gli atti d'amore. Se le anime cono­scessero questo segreto, come si trasformerebbero! Come morirebbero a se stesse e quanto consolerebbero il mio Cuore!». «L'unica cosa che chiedo - scrive - è la fedeltà e il coraggio, poiché non voglio godere su questa terra». Gesù risponde alla sua preghiera: «- Io pure non ti chiedo che una cosa: amore e abbandono». «- Voglio che tu sia come un vaso vuoto che penserò Io a riempire. Lascia al Creatore di incaricarsi della sua creatura. In quanto all'amore, non aver limiti!».

La sera stessa, venerdì 24 dicembre 1920: «Stavo in guardaroba e udii la sua voce: «- Josefa, mia sposa». «Non Lo vedevo, ma Gli dissi: Che vuoi Signore?... Egli non rispose; poco dopo in Cappella, durante l'ado­razione mi chiamò ancora: «- Josefa, mia sposa». «Signore perché mi chiami sposa mentre non sono che novizia?».  «- Non ricordi il giorno in cui Io scelsi te e tu scegliesti me? Quel giorno ebbi compassione della tua piccolezza, non volli lasciarti sola e ci siamo uniti per sempre. Perciò non avrai altro amore che quello del mio Cuore... Io ti chiederò e ti darò ciò che mi piace. Tu non resisterMi mai!».

«Alla Messa di mezzanotte - scrive il sabato 25 di­cembre 1920 - ero già in mezzo alla Cappella per andare alla sacra Mensa, quando vidi venirmi incontro la Madonna. Teneva tra le braccia Gesù Bambino ricoperto di un velo bianco che tolse dopo che ebbi fatto la Comunione: Egli aveva una camicina bianca e le manine incrociate sul petto. Poi non L'ho più visto... Ritornata al mio posto la Madonna si è di nuovo avvicinata a me, ha sollevato leggermente il Bambino disteso tra le sue braccia. Egli ha aperto le braccine e ha accarezzato sua Madre. Quindi con la manina destra sembrò cercare la mia che Gli porsi: afferrò il mio dito e lo tenne stretto con la mano. Un profumo delizioso li circondava ambedue. La Madonna mi sorrideva e mi disse: «- Figlia mia, bacia i piedi di Colui che è il tuo Dio e sarà il tuo compagno inseparabile se tu non Lo respingi. Non temere... accostati, è tutto Amore!».

Fin dal mattino seguente Gesù le appare, splendente di bellezza, facendole conoscere che le anime attese così a lungo erano tornate al suo Cuore. «- Vedi, mia sposa, le abbiamo sal­vate! Le tue sofferenze hanno consolato il mio Cuore!».

Lunedì 27 dicembre 1920, ella nota la preghiera che incessantemente ri­volgeva a Gesù: «dopo la Comunione chiedevo l'amore!», preghiera a cui il Signore risponde sempre, anche nell'oscurità della fede. Essa lo sa. Ma oggi il Maestro dell'Amore si compiace di dargliene la prova, colmandola di grazie come raramente ha fatto finora. «Gesù venne - ella scrive con la consueta semplicità - e mi sono trovata come la prima volta, il 5 giugno, nella ferita del Suo Cuore!... Non mi ha detto nulla: tuttavia mai ho avuto l'anima così inondata di felicità! Poi, tutto è scomparso!». E subito dopo aggiunge: «Quella stessa sera Gesù mi ha lasciata sola!».

«Ho vissuto così dal 27 dicembre fino alla domenica 9 gennaio 1921, soffrendo più di quanto possa dire. «Ho promesso a Nostro Signore - scrive - di fare oggi molti atti di umiltà per attirare su di me la Sua Misericordia, e, alla Messa, al momento della Consa­crazione, ho ripetuto il mio atto di offerta con tutta la forza della mia volontà. Ad un tratto, prima dell'Eleva­zione del calice, ho visto Gesù col volto pieno di bontà, il Cuore molto infiammato. Mi sono prostrata per im­plorare il Suo perdono ed umiliarmi ai suoi piedi». «- L'Amore non si stanca mai di perdonare - Egli disse». E con una compassione incomparabile proseguì: «- Ma tu non Mi hai offeso, Josefa! Come tu dici, i ciechi inciampano... Vieni, accostati al mio Cuore e riposati in Lui! Se tu potessi capire quanto Mi hai consolato nei giorni scorsi!... Ti tenevo così vicina al mio Cuore, che non avresti potuto cadere se non in Lui!». E siccome ella Gli chiede perché permette tale oscurità e tante tentazioni: «- Ti sembra di non vedere niente e di cadere in un precipizio, ma che bisogno hai di vedere se sei guidata? Devi dimenticarti, abbandonarti, e non opporre resistenza ai miei disegni. Per merito degli atti da te compiuti durante la sofferenza parecchie di quelle anime, che più tardi vedrai, si sono avvicinate al mio Cuore. Erano lontane... anzi lontanissime... ora sono vicine e presto verranno a Me». «Gli dissi che quando mi trovo così tentata e sola, Lo cerco da tutte le parti, ma non Lo trovo». «- Quando non Mi trovi in nessuna parte cercaMi presso la tua Madre. Abbandonati a lei, poiché ella ti conduce a Me. Te l'ho data per questo e sappi che se tu fai ciò che ti chiede, tu Mi piaci come se obbedissi a Me direttamente. Ama, soffri, obbedisci, così potrò realizzare i miei disegni in te».

La sera stessa, le appare mentre ella prega davanti al Tabernacolo. «tenendo nella mano destra - scrive - una catenina di brillanti da cui pendono tre chiavine, dorate e gra­ziosissime». «- Guarda - dice - una... due... tre... sono d'oro. Sai che cosa rappresentano queste chiavi? Ciascuna cu­stodisce un tesoro, di cui voglio che tu ti impossessi. «Il primo di questi tesori è un completo abbandono a tutto quello che ti chiederò direttamente o indirettamente, affidandoti continuamente alla bontà del mio Cuore che sempre ha cura di te. Riparerai così i peccati di tante anime che dubitano del mio Amore. «Il secondo tesoro è una profonda umiltà che dovrà consistere nel riconoscere che tu sei nulla, nell'abbassarti davanti a tutte le tue sorelle e, quando te lo dirò, nel chiedere alla tua Madre che voglia umiliarti. Così riparerai l'orgoglio di tante anime. «Il terzo è il tesoro di una grande mortificazione nelle parole e nelle azioni. Voglio che ti mortifichi nel corpo, tanto quanto l'obbedienza ti consentirà, e che riceva con vivo desiderio le sofferenze che Io stesso ti invierò. Così riparerai l'immortificazione di molte anime e Mi consolerai delle offese che Mi vengono da tanti peccati di sensualità e di godimenti cattivi. «Infine, la catenina da cui pendono le tre chiavi è l'amore ardente e generoso che ti aiuterà a vivere ab­bandonata e immolata, umile e mortificata». … «- Non stancarti mai di soffrire - le ripete - se sapessi quanto la sofferenza giova alle anime!».

«Il lunedì 24 gennaio 1921 - scrive - ho invocato tutto il giorno la Madonna perché mi liberasse. Ad un tratto, durante l'adorazione del pomeriggio, mi sono trovata in una grande pace». La Madre celeste è li, sorridente con materna bontà: «- Eccomi, figlia mia, occorre che tu soffra. Ma l'amore e la sofferenza tutto possono ottenere... Non stancarti, è per le anime!».

«E venuto al principio della Messa - scrive il martedì 25 gennaio 1921. - Gli ho chiesto se Gli avessi ferito il Cuore. «- No, ascolta questa parola: L'oro si purifica nel fuoco, e così l'anima tua si purificherà nella tribolazione, e il tempo della tentazione giova assai a te e alle anime». «- Chi dunque potrà dubitare della tua vocazione, Josefa, se hai potuto resistere a tali tribolazioni?...». «- Le permetto per due fini, prima di tutto per convincerti che da sola non sei capace di nulla e che le mie grazie hanno origine solo nella mia bontà e nel mio grande Amore per te. «In secondo luogo perché voglio servirMi delle tue sofferenze per la salvezza di molte anime». «- Tu soffrirai per guadagnare delle anime perché sei la vittima scelta dal mio Cuore, ma nulla ti nuocerà, perché non lo permetterò mai...».

Il giorno seguente, mercoledì 26 gennaio 1921, Gesù … durante l'adorazione venne - scrive. - Non mi disse nulla, ma mi fece ascoltare i palpiti del suo Cuore. Gli chiesi di mantenermi fedele, di insegnarmi ad amarLo, e di non permettere che io contristassi il suo Cuore. «- L'anima amante desidera soffrire. La sofferenza accresce l'amore. L'amore e la sofferenza legano stret­tamente l'anima a Dio e la fanno una sola cosa con Lui». «- Non temere affatto: Io sono la stessa forza. Quando il peso della croce ti sembra superare le tue forze, chiedi aiuto al mio Cuore». «Non sai forse dove sono, Josefa, e con tutta si­curezza? Lasciati guidare! Tengo gli occhi fissi su di te, tu fissa i tuoi su di Me e abbandonati».

Il primo venerdì del mese, 4 febbraio 1921, anniversario della sua entrata ai Feuillants, Gesù le appare e mostrandole il Cuore infiammato: «Tutti i venerdì, e soprattutto il primo venerdì del mese, ti farò partecipe dell'amarezza del mio Cuore e soffrirai in maniera speciale i tormenti della mia passione». «In questi giorni in cui l'inferno si apre per travolgere tante anime, voglio che ti offra a mio Padre come vittima, per salvarne il più gran numero possibile».

La domenica delle quarantore, 6 febbraio 1921, Verso le tre del pomeriggio, mentre si trova in Cappella, Gesù la raggiunge: «Faceva compassione - scrive; - il volto, le braccia, il petto erano coperti di contusioni e di polvere e il capo grondava sangue, mentre il Cuore risplendeva di luce e di bellezza!». «- Sono ridotto così dalla mancanza d'amore, e dal disprezzo degli uomini che corrono come pazzi verso la perdizione». «Perché dunque, Signore, malgrado i peccati del mondo il tuo Cuore è oggi così bello e ardente?». «- Il mio Cuore non viene ferito se non dalle anime consacrate!».

Gesù le appare il martedì 8 febbraio 1921 alle otto di sera in Cappella, in atto di chi è oppresso da un pe­sante fardello. «- I peccati che si commettono, sono tanti e così gravi che la collera divina traboccherebbe se non fosse trattenuta dalla riparazione e dall'amore delle mie anime scelte. Quante anime si perdono! Ma un'anima fedele può riparare e ottenere misericordia per molte anime ingrate».

Il 9 febbraio 1921, mercoledì delle ceneri, … Gesù: «- L'Amore mio per le anime e specialmente per la tua è così grande che non posso più conte­nere le fiamme della mia ardente carità. Nonostante la tua indegnità e la tua miseria, mi servirò di te per effettuare i miei disegni». «- Vuoi darmi il tuo cuore?». «Si, o Signore, e più che il mio cuore...». «Gesù me lo strappò, - scrive, - lo prese e l'accostò al Suo... Come era piccolo accanto a quel Cuore! Quindi me lo rese, ardente come una fiamma. Da quel momento sento in me un intensissimo fuoco e bisogna che mi sforzi molto per contenermi affinché nessuno si accorga di nulla...».

Il giovedì 10 febbraio 1921, le appare dicendole: «- Senti Josefa, voglio che tu non nasconda niente alla Madre tua: essa ha ragione: devi scrivere».

Due giorni dopo, 12 febbraio 1921 «-  Di' sempre tutto alla Madre tua». «- Il tuo silenzio sarebbe orgoglio: la tua semplicità e la tua fiducia invece sono umiltà. Sappi dunque che se Io ti chiedessi una cosa e la Madre un'altra, preferirei che tu obbedissi a lei piuttosto che a Me».

«A mezzogiorno - scrive, - del lunedì 14 febbraio 1921 servivo in refettorio come al solito. Venne a mancare la prima portata e andai in cucina per prenderne: ma non ce n'era più! Non sapevo che fare, e siccome ho l'abi­tudine di dirGli tutto, esclamai: «Mio Gesù! Non c'è più niente da mangiare!». «Uscendo una seconda volta dal refettorio, Lo vidi ad un tratto che stava davanti alla fontana, presso la cucina, con le braccia stese, e mi disse sorridendo:«- E’ colpa mia, Josefa, se non c’è più niente?».

«Stavo davanti al Tabernacolo pregando per la mamma e mia sorella. Mi sentivo triste a loro riguardo e avrei voluto poterle consolare; pensavo a quello che avrei fatto se fossi stata con loro, e in quel momento non contavo abbastanza su Gesù. Improvvisamente Egli mi apparve col Cuore tutto infiammato e con voce grave e piena di maestà, mi disse: "- Da sola, che potresti fare per loro?". «E mostrandomi il Cuore: "- Fissa qui il tuo sguardo!". «E disparve».

La domenica 20 febbraio 1921, seconda di Quaresima, ella scrive: «Durante la santa Messa, dopo la Consacrazione, Gesù è venuto, bellissimo! "hermosisimo!" - superlativo in­traducibile che ella impiega spesso per descrivere quella beltà che la rapisce. «- Dimmi, Josefa, che cosa hai da offrirmi per le anime che ti ho affidate. Metti tutto nella piaga del mio Cuore, per dare alla tua offerta un valore infinito». «Gli ho detto di prendere tutto, poiché quello che ho è per le anime». «- Dimmelo nei particolari». «Allora Gli ho tutto enumerato: l'ora santa, le mie piccole penitenze e mortificazioni, la sofferenza della corona di spine, i miei respiri, il mio lavoro, i miei timori, la mia debolezza e miseria, tutto quello che faccio e che penso... Tutto è per amor Tuo e per le anime, Signore, ma è ben poca cosa!... «Alla Messa delle nove è ricomparso con il Cuore infiammato. "- Guarda queste anime... ora stanno proprio in fondo al mio Cuore"».

L'indomani, lunedì 21 febbraio, dopo la Comunione Gesù: «- Ti voglio così dimentica di te e abbandonata alla mia Volontà, che non lascerò passare la minima imper­fezione senza avvertirtene. Devi tenere sempre presente da una parte il tuo nulla e dall'altra la mia Misericordia. Non dimenticare che dal tuo niente sgorgheranno i Miei tesori». Nella mattinata del lunedì, mentre ella nel dormitorio delle educande metteva in ordine le uniformi della festa, Nostro Signore le apparve con le mani legate e la corona di spine sul capo insanguinato. «- Mi ami?», «- Voglio che la tua sete aumenti, che tu mi salvi molte anime, e che questo desiderio ti consumi!...».

Giovedì 24 febbraio 1921. Gesù: «- Domani tu offrirai al Padre mio tutte le tue azioni unite al Sangue che ho sparso nella mia Passione. Procurerai di non perdere un solo istante la divina Presenza e di rallegrarti per quanto ti sarà possibile di tutto ciò che dovrai soffrire. Non cessare mai di pensare alle anime, ai peccatori. Sì, ho sete di anime!». «Mi offrii per consolarLo e darGli anime... Signore! non dimenticare però che la mia è la più ingrata e la più miserabile di tutte!...». «- Lo so, ma io la lavorerò!». La sera è venuto: «- Il mondo ignora la misericordia del mio Cuore! Voglio servirmi di te per farla conoscere!» «- Ti voglio apostola della mia Bontà e della mia Misericordia. Ti insegnerò ciò che questo significa: tu dimenticati!». «Lo supplicai - scrive, - di aver compassione di me e di lasciarmi senza queste grazie di predilezione a cui non so corrispondere, e di scegliere altre anime più ge­nerose di me». Gesù rispose soltanto: «Dimentichi forse, Josefa, che sono il tuo Dio?».

Venerdì 25 febbraio 1921, durante la Messa, Egli torna. «Mi ha guardato - scrive, - e L'ho supplicato di lasciarmi come tutte le mie consorelle, senza cose stra­ordinarie, poiché così non posso vivere!». «- Se tu non lo puoi, Josefa, lo posso Io!». «Ma io non lo voglio - ella timidamente prosegue; - vorrei essere come le altre!». «- E Io lo voglio: non ti basta ciò?». «- Dove sta il tuo amore? «Ama e non temere nulla. Io voglio ciò che tu non vuoi, e posso ciò che tu non potrai! A te non tocca scegliere, ma abbandonarti!».

Qualche giorno dopo la data memorabile del 25 febbraio 1921, nota con confusione che non ha il coraggio di dire ciò che Gesù le comanda di trasmettere. «Allora ella aggiunge, - Egli è scomparso».

Venerdì 3 marzo 1921. «Durante l'ora santa (era il giovedì della terza setti­mana di Quaresima), mi gettai al Suoi piedi e non so ciò che Gli dissi... Ma mi sentii sollevata, benché l'anima mia restasse fredda come una pietra».

Il giorno seguente, primo venerdì, 4 marzo 1921, mentre la pace e la luce ritornavano in quell'anima, il demonio tenta uno sforzo che vorrebbe definitivo. Josefa si trova in giardino a cogliere qualche fiore per la cappellina di cui è sacrestana, quando improvvisamente si sente urtata con violenza e cade su di una vetrata che si spezza sotto di lei. Il sangue sgorga dal braccio destro profondamente ferito. Le cure immediate arrestano a poco a poco l'emorragia, ma il braccio rimane immobilizzato per vari giorni.

Mercoledì 9 marzo 1921 (quarta settimana di quaresima): «Durante l'adorazione è venuta la Madonna tanto buona e compassionevole: teneva le braccia aperte come una madre. Le ho chiesto perdono e Le ho detto il mio desiderio di sapere se potrò ancora consolare Gesù e guadagnarGli delle anime». Il suo pensiero dominante è sempre questo: «Poiché - ella aggiunge, - conoscendo il Suo Cuore non posso dubitare del Suo perdono!». «- Sì, figlia mia, tu sei perdonata, - risponde la Madre celeste. - Però la rabbia infernale ti prepara nuovi agguati... Ma, coraggio, non soccomberai...». «Mi diede la sua benedizione e disparve».

Venerdì 11 marzo 1921: «Stavo ridicendo alla Madonna quanto vorrei che Gesù dimenticasse tutto, quando, all'improvviso, è venuta e così buona! Teneva le mani incrociate sul petto. Mi sono in­ginocchiata e mi ha detto: «- Sì, figlia mia, Gesù t'ama come prima, e vuole che tu Gli dia delle anime». Poi, alludendo al braccio malato: «- Se il demonio avesse potuto ucciderti l'avrebbe fatto, ma non ne aveva il potere!».

«Il 14 marzo 1921, lunedì di Passione, dopo la Comunione, Egli è venuto: «- Non posso più resistere alla tua miseria» mi disse. «- Non dimenticare che la tua piccolezza e il tuo nulla sono la calamita che attira il mio sguardo verso di te». «La sera stessa mi trovavo in Cappella: «- Guarda, Josefa. Io sto sempre intercedendo per le anime e perdonando loro».  «- Sai tu davvero ciò che ho fatto per te?». «Allora vidi nuovamente tutte le Sue Grazie e tutte le mie ingratitudini. Dal profondo dell'anima mia Gli dissi che ero risoluta a compiere non solo ciò che mi avrebbe chiesto, ma tutto quello che sapessi poterGli piacere. Mentre parlavo, il Suo Cuore cambiò completamente, si dilatò, eruppero fiamme dalla sua ferita, ed il Suo Volto divenne splendente. «- Durante questi giorni ti farò assaporare l'amarezza della mia Passione e soffrirai in qualche modo gli oltraggi ricevuti dal mio Cuore. Unita a me, ti offrirai a mio Padre per ottenere il perdono a molte anime». «Mi guardò ancora come se volesse infondermi fiducia e scomparve».

«Il 15 marzo 1921, festa delle cinque piaghe e martedì di Passione, dopo la Comunione Gli domandavo ancora perdono - scrive. - Come un lampo passò davanti a me, arrestandosi un istante, e mi disse soltanto: «- L'amore tutto cancella!». … Verso sera, precedendo di qualche istante l'ora dell'adorazione generale, ella entra in Cappella dove era esposto il Santissimo. Nostro Signore le appare: «- Se ti occupi della mia gloria, Io mi occuperò di te. Renderò saldo in te il mio regno di pace e nulla potrà più turbarti. Stabilirò in te il mio regno d'Amore e nessuno potrà rapirti la tua gioia». «Si accostò a me, la ferita si aprì. Vidi una fila di anime prostrate in adorazione, e mi fece comprendere che erano quelle che io gli avevo chiesto quella stessa mattina».

Il giovedì di Passione, 17 marzo 1921, ricorre il ventesimo anni­versario del suo ritiro di Prima Comunione. «Vent'anni - scrive, - che Gesù mi ha scelta per Lui: mai sono stata così indegna del Suo Amore!». … gli mi è apparso con le braccia aperte. «- Sì, Josefa, ti ho chiamata in quel giorno e poi non ti ho più abbandonata. Ti ho custodita senza mai separarmi da te. Quante volte saresti caduta se non ti avessi sostenuta!... Oggi te lo ripeto una volta di più: Voglio che tu sia tutta mia... che tu mi sia fedele e cor­risponda al mio Amore. In cambio Io mi dono a te come sposo e ti amo come la sposa privilegiata del mio Cuore. Io farò tutto il lavoro: a te non resta che amare e ab­bandonarti. Poco m'importano il tuo nulla e le tue stesse cadute: il mio Sangue cancella tutto. Ti basti sapere che ti amo: tu abbandonati!».

Il martedì santo, 22 marzo 1921, dopo la Comùnione, Gesù le appare con le braccia aperte. «Vorrei chiederti tante cose, Signore!» - Gli dice. «- Non sai dunque, Josefa, ciò che sta scritto nel mio santo Vangelo? Chiedete e riceverete!». «Lo scongiurai d'avere compassione di tutto il mondo, e d'incendiarlo col fuoco del Suo Cuore divino...». «- Ah, se si conoscesse il mio Cuore!... Gli uomini ignorano la Sua Misericordia e la Sua Bontà: ecco il maggior dolore!».

Durante la meditazione, il mercoledì santo, 23 marzo 1921, mentre ella Gli chiede che cosa intenda per «salvare le anime». «- Ascolta, Josefa: ci sono delle anime cristiane, e anche pie, che un semplice attacco del cuore basta a ral­lentare nel cammino della perfezione. Però se un'altra anima offre per loro le proprie azioni, unite ai Miei meriti infiniti, può ottenere che escano da quello stato e ri­prendano la loro corsa nella via del bene. «Molte anime vivono nell'indifferenza, ed anche nel peccato. Aiutate anch'esse nella stessa maniera potranno ri­entrare in grazia e salvarsi un giorno. «Ve ne sono poi altre, e assai numerose, ostinate nel male e accecate nell'errore. Sarebbero dannate se le sup­pliche di qualche anima fedele non ottenessero che la grazia tocchi infine il loro cuore. Ma essendo estremamente deboli, correrebbero il rischio di nuove cadute: quelle le prendo senza ritardi nell'eternità, e così le salvo!». «Gli chiesi come potrei fare per salvarne molte». «- Unisci tutte le tue azioni alle mie, sia nel la­voro che nel riposo. Unisci al mio Cuore i palpiti del tuo e i tuoi respiri stessi. Quante anime potrai così guadagnare!».

Venerdì santo, 25 marzo 1921, la trascorre continuamente alla sua dolorosa Presenza. «Dopo aver finito di spazzare - scrive, - sono salita a fare una visitina alla Madonnina del noviziato. Appena entrata, Gesù è venuto con le mani legate e il capo co­ronato di spine, il volto sanguinante e contuso. Mi ha guardato soltanto con grande tristezza, poi è scomparso». «Verso le tre del pomeriggio lo rividi ancora - scrive, - e mi mostrò la piaga del costato, dicendomi: «- Guarda ciò che ha fatto l'Amore». «La ferita si aprì ed Egli continuò: «- Si è aperta per gli uomini, per te!... Vieni... avvicinati... ed entra!». Verso le cinque Josefa si trova nell'oratorio del noviziato: «Là, in silenzio, ai piedi della Madonna, riandavo col pensiero a ciò che avevo visto e compreso. Improvvisa­mente è venuta: aveva una veste di color violetto scuro, come il velo, e teneva tra le mani la corona di spine in­sanguinata. Me la mostrò dicendomi: «- Sul Calvario, Gesù mi ha dato per figli tutti gli uomini: vieni, poiché sei mia figlia! E tu, non sai già quanto io ti sia Madre?» «Le chiesi il permesso di baciare la corona, e mentre me la porgeva e mi metteva la mano sulla spalla, mi disse: «- Oh! qual ricordo Egli mi ha lasciato di sé dandomi le anime...».

L'alba del sabato santo, 26 marzo 1921: «- Sai con quale intento ti do le mie grazie con tanta abbondanza?» le domanda Nostro Signore, appa­rendole nella meditazione con le piaghe risplendenti di luce. «- Voglio fare del tuo cuore un altare, sul quale arda continuamente il fuoco del mio Amore. Però voglio che esso sia puro e che niente lo tocchi di ciò che potrebbe macchiarlo».

Mentre il giorno di Pasqua, 27 marzo 1921, si è levato ra­dioso, ella scrive: «Questa mattina durante la meditazione mi sono un po' lagnata con Gesù, poiché se mi tiene così assorta in Lui, come posso fare ad applicarmi al lavoro?... e c'è tanto da fare! Non sarei più al mio posto se mi trovassi in altro luogo?» Ha appena il tempo di finire il suo lamento che Gesù le appare con un'ombra di tristezza sul volto: «- Perché ti lamenti, Josefa, mentre ti ho attirata a questa porzione preferita dal mio Cuore?...».

«Il 6 aprile 1921, mercoledì dopo la domenica in Albis, dopo la Comunione, Egli è ricomparso, con le braccia aperte, mentre Gli dicevo il mio desiderio di amarLo davvero. Mi ascoltò in silenzio, come se volesse che Glielo ripetessi. Gli chiesi perdono dicendo: Signore, mi ab­bandono a Te! Mi guardò con grande bontà e disse: «- L'anima che si abbandona davvero a me, mi piace tanto che, nonostante le sue miserie e le sue im­perfezioni, trovo in lei il mio cielo e mi compiaccio di dimorare in lei. «Io stesso ti dirò ciò che mi impedisce di lavorare nell'anima tua per effettuare i miei disegni». «- Sì, il demonio si adopererà accanitamente per farti cadere; ma la mia grazia è più potente di tutta la sua malizia infernale. Affidati a mia Madre, abbandonati a me e sii sempre molto umile e semplice con la Madre tua».

«Lo supplicavo in modo speciale - scrive il giovedì 7 aprile 1921, - di insegnarmi ad umiliarmi e ad abbando­narmi nella maniera che Gli piace. «- Tu puoi umiliarti in vari modi, in primo luogo adorando la divina Volontà, che malgrado tu ne sia indegna, vuol servirsi di te per ef­fondere la sua Misericordia. Poi ringraziando di essere stata collocata nella Società del mio Cuore senza alcun tuo merito. Non lagnarti mai di ciò». «- Tu mi consolerai, mia Josefa, col ripetere spesso questa preghiera: O Cuore divino! Cuore del mio Sposo, il più tenero e delicato dei cuori, ti ringrazio che, mal­grado la mia indegnità, mi hai scelta per effondere sulle anime la Tua divina Misericordia!». Quella stessa sera Gesù viene inaspettato, ed aprendole il Cuore, ve la fa entrare: «- Qui troverai il perdono!».

«- Ciò che soprattutto temo, - venne a dirle la Vergine prima della Comunione di sabato 9 aprile 1921 - è che tu non sia abbastanza aperta con la tua Madre e così tu non ti accorga dei lacci del nemico. Non lasciarti andare, Josefa. Veglia sui tuoi pensieri per non dar adito alla tentazione. E se provi in te stessa qualche compiacenza, dilla subito ed umiliati. Ti raccomando di nuovo di essere molto semplice con la tua Madre. E l'unico modo per preservarti dalle astuzie diaboliche».

Il lunedì 11 aprile 1921, durante la meditazione, ella Gli ripete la preghiera imparata il giovedì precedente. «Subito è apparso. Con lo sguardo sembrava dirmi la sua compiacenza nell'ascoltarmi, ed io Gliela ripetei di nuovo». «- Ogni volta che tu Mi ripeti queste parole, le pongo nel mio Cuore in modo che esse siano per te e per le anime una nuova sorgente di grazie e di miseri­cordia».   «Gli ho domandato o piuttosto l'ho supplicato di usarmi compassione, poiché sono io la prima ad aver bisogno di misericordia!». «- Se è per mezzo tuo che voglio effondere i tesori della mia bontà, Josefa, come non li effonderei anzitutto su di te?». «- Tu devi imparare a dire ciò che ti umilia di più e nella maniera che più ti costa, - le dice. - Se non avessi voluto assoggettarti all'obbedienza, ti avrei lasciata nel mondo, ma ti ho condotta al mio Cuore, affinché tu non respiri che per obbedire».

Giovedì 14 aprile 1921, durante il ringraziamento della Comunione, Gesù: «- Se abbandoni tutto a me, ritroverai tutto nel mio Cuore».

Il venerdì 22 aprile 1921 ella riferisce che il demonio fa di tutto per toglierle la pace. «Sono salita all'oratorietto della Madonna in noviziato per supplicarla di non lasciarmi cadere. Subito Ella è comparsa e molto maternamente mi ha detto: «- Figlia mia voglio darti un insegnamento di grande importanza. Il demonio è come un cane furioso, ma ha la catena, cioè una libertà limitata. Non può dunque afferrare e divorare la preda, se non quando questa si avvicina a lui e, per attirarla, la sua tattica abituale è di trasformarsi in agnello. L'anima inesperta gli si avvicina a poco a poco, e comprende la sua malizia solo quando egli sta per afferrarla. Allorché ti sembra lontano, tu, figlia mia, vigila, poiché i suoi passi sono taciti e dissimulati, per riuscire inosservati». «Mi benedisse e sparì».

«Il lunedì 9 maggio 1921, spazzavo il corridoio delle celle, sempre col pensiero fisso al quaderno... (il diario, che avevo gettato via) ma avevo perduto la speranza di ritrovarlo!». Ad un tratto Josefa sente la nota voce della Madonna: «- Va' in cucina, lo troverai!». «Tuttavia, - ella scrive, - non volli badarci e con­tinuai a spazzare, pensando che avevo perduto la testa. Ma, una seconda volta, udii le stesse parole. Salii allora all'oratorio del noviziato, e una terza volta la voce si ripeté: «- Va' in cucina, là lo troverai!». In fretta scese le scale, giunse in cucina e là nella cassa della legna scorge il quaderno!... ricoperto di carta bianchissima e posato contro un lato della cassa. Josefa lo afferra e, con grande commozione, se lo porta via.

Il venerdì 13 maggio 1921, durante l'adorazione, Gesù, con le braccia aperte, le appare. «Subito Gli chiesi perdono», ella scrive. «- Lascia andare, - dice - il mio Cuore ha cancellato tutto». Poi continua: «- Non scoraggiarti poiché nella tua fragilità ri­splende meglio l'infinita mia misericordia». Allora ella lo supplica di non stancarsi di lei, della sua debolezza, delle sue stesse cadute!... «- Il mio Cuore non rifiuta mai il perdono all'ani­ma che si umilia, e soprattutto a quella che lo chiede con vera fiducia: comprendilo bene, Josefa! Io innalzerò un grande edificio sul nulla, cioè sulla tua umiltà, il tuo abbandono, il tuo amore».

Il giorno seguente, sabato 14 maggio 1921, mentre Josefa ter­minava la Via Crucis, Ella le apparve più bella del solito, con la veste scintillante di riflessi argentei e il volto radioso. Le annunziò l'ingresso nella patria beata di un'anima per la quale aveva chiesto a Josefa molti giorni di preghiera e di sofferenza. «Poi siccome era sul punto di andar via - scrive Jo­sefa, - la ringraziai nuovamente del quaderno ritrovato». «- Che cosa volevi dunque farne?» le domanda la Madonna. «Con dispiacere le ho detto la verità: Ahimé, stavo per bruciarlo !». «- Sono io che ti ho impedito di farlo, figlia mia. Quando Gesù pronunzia una parola, tutto il cielo l'ascolta con ammirazione». Josefa che più che mai capisce il valore degli accenti divini, non sa come esprimere la sua pena. «Le ho chiesto perdono e l'ho ringraziata di non aver permesso che quel quaderno andasse perduto». «- Quando l'hai gettato, l'ho raccolto Io... Le parole di mio Figlio, - aggiunge qualche giorno dopo, - non le lascio qui in terra che per il bene delle anime, altri­menti le riporto in cielo».

«Pensavo, - scrive il martedì di Pentecoste, 17 maggio 1921, - fino a qual punto la Madonna mi ama e di qual tenerezza mi circonda». «- Ah, figlia mia, come potrei non amarti? Mio Figlio ha sparso il suo sangue per tutti gli uomini... tutti sono figli miei. Ma quando Gesù fissa il suo sguardo su un'anima, Io riposo in essa il mio cuore».

Mercoledì 18 maggio 1921: «- Se tu sei un abisso di miseria, io sono un abisso di bontà e di misericordia!». Poi, tendendo le braccia verso di lei, aggiunse: «- Il mio Cuore è il tuo rifugio!».

Il mercoledì 25 maggio 1921, ricorre la festa di Santa Maddalena Sofia, che nel 1921 era solamente beata. Ad un tratto vidi davanti a me una Madre sconosciuta. Mi prese il capo tra le mani e, stringendolo con ardore, mi disse: «- Figlia mia, deponi tutte le tue miserie nel Cuore di Gesù, riposa nel Cuore di Gesù, sii fedele al Cuore di Gesù!». «Presi la sua mano per baciargliela, poi ella con due dita tracciò sulla mia fronte il segno di croce e disparve».

«Lo supplicai, - ella scrive il giorno della festa del Corpus Domini, giovedì 26 maggio 1921, - di darmi la forza di vincermi, poiché ancora non so umiliarmi nella maniera che Gli piace». Diceva questo durante la meditazione, quando il Signore le apparve. «- Non preoccuparti, Josefa, se getti un granello di sabbia in un vaso ricolmo d'acqua fino all'orlo, qualche goccia ne uscirà. Se ne getti un secondo, altre ne usciranno e, via via che il vaso si ri­empirà di sabbia, si svuoterà d'acqua. Nello stesso modo, a mano a mano che Io entrerò nell'anima tua, tu ti li­bererai di te stessa, ma un po' alla volta».

E tre giorni dopo, domenica 29 maggio 1921: «- Perché temi? So quello che sei, ma te lo ripeto una volta di più... poco m'importa la tua miseria! «Quando un fanciullino comincia a dare i primi passi, la mamma dapprima lo tiene per mano, poi lo lascia per incitarlo a proseguire da sé, ma gli tende le braccia perché non cada. Devi dire alla Madre tua che, più un 'anima e debole, più ha bisogno di sostegno. E chi è più fragile di te?... «Il mio Cuore trova la sua consolazione nel perdonare. Non ho desiderio più grande né gioia più grande che quella di perdonare! «Quando un'anima ritorna a me dopo una caduta, la consolazione che mi dà è per lei un guadagno, poiché la guardo con più grande amore». E aggiunse: «- Non temere di niente. Non sei che miseria e perciò voglio servirmi di te. Supplisco Io a quello che ti manca... lasciami agire in te».

«Un po' prima della festa del Sacro Cuore, - scrive Josefa, - Nostro Signore è venuto. Il suo Cuore era trafitto da tre nuove ferite e da ciascuna sgorgava il sangue in gran copia». «Guarda ciò che desidero per la mia festa!». «Sono tre sacerdoti che feriscono il mio Cuore. Offri per essi tutto ciò che farai». «Quanto più la tua miseria è grande, tanto più la mia potenza ti sosterrà. Ti farò ricca dei miei doni. Se mi sarai fedele, farò della tua anima la mia dimora e ivi mi rifugerò quando i peccatori mi respingeranno. Mi riposerò in te, e tu avrai vita in me! Tutto quello di cui hai bisogno vieni a cercarlo nel mio Cuore, anche se si tratta di ciò che ti chiedo. Fiducia e amore!».

Da quel momento, molte sofferenze d'anima e di corpo affliggono senza tregua Josefa fino al venerdì 3 giugno 1921, festa del Sacro Cuore. «Durante la meditazione   scrive   mi aprì il Cuore dicendomi: «Entra qui e continua ad affidarmi ciò che ti ho chiesto». «Mi ha riposato di tutte le angosce dei giorni trascorsi, poi è rimasto presso di me tanto bello e come se tra­boccasse di gioia. Gli domandai dei tre sacerdoti». «- Chiedili al mio Cuore. Non sono ancora tor­nati... ma si ravvicinano a me». Rapita davanti a così splendente bellezza, Josefa Gli parla di quella festa che deve darGli tanta gloria. «Il suo Cuore si è acceso maggiormente a queste parole, e mai l'avevo visto così...». «Sì, oggi è il giorno del mio Amore. Le anime, queste anime che amo tanto, mi riempiono di gioia ve­nendo a cercare forza e rimedio nel mio Cuore che de­sidera tanto arricchirle. Ecco quello che mi glorifica e mi consola di più!». … Come ringraziarLo di tutto quello che fa per me?». «Ora te lo dirò, Josefa! Prendi questo Cuore e offrilo al tuo Dio. Per mezzo suo puoi pagare tutti i tuoi debiti. Tu sai adesso ciò che ho voluto fare attirandoti qui. Desidero che tu corrisponda ai miei disegni con docilità, lasciandoti maneggiare, abbandonandoti al mio amore, che altro non cerca se non possederti e consu­marti. L'amore ti spoglierà del tuo io e non ti lascerà pensare che alla mia gloria e alle anime». «- Ora pregami, dimmi ciò che vuoi, chiedi!».

Alle 3 del pomeriggio «- Che vuoi? dimmelo!». «Ma Gesù mio, non lo sai forse? e i tre sacerdoti?... Te ne supplico, poiché lo desideri tanto... Tu solo puoi far ciò!...». «- Josefa, sono tornati al mio Cuore!». «- Se avessero respinto la mia grazia, sarebbero stati responsabili della perdita di molte anime». «- Tu ripeterai ogni giorno queste parole: O Gesù, per il tuo amatissimo Cuore, ti supplico d'infiammare dello zelo del Tuo amore e della Tua gloria tutti i sacerdoti del mondo, tutti i missionari e quelli che sono incaricati di annunziare la Tua parola divina affmché, accesi di un santo zelo, strappino le anime al demonio per condurle all'asilo del Tuo Cuore, dove possano glorificarTi in eterno».

«Il giorno 11 giugno 1921, «Ricordati le mie parole e credi. L'unico desiderio del mio Cuore è d'imprigionarti in esso, di possederti nel mio amore e di fare della tua piccolezza e fragilità un canale di misericordia per molte anime che si salveranno per mezzo tuo. Fra qualche tempo ti scoprirò gli ardenti segreti del mio Cuore che serviranno al bene di un gran numero di anime. Desidero che tu scriva e conservi tutto ciò che ti dirò. Tutto verrà letto quando tu sarai in cielo! «Non è per i tuoi meriti che voglio servirmi di te, ma perché le anime vedano come la mia potenza si serve di strumenti deboli e miserabili». «Gli domandai se dovevo dire anche tutto ciò e mi rispose: «Scrivilo, lo leggeranno dopo la tua morte».

Lunedì 13 giugno 1921 la Madonna le appare: «Ascolta, figlia mia, non badare a ciò che senti. Credi: più forte è la tua ripugnanza, più acquisti meriti agli occhi di mio Figlio. Vigila su questi tre punti, che sono quelli per cui il nemico cerca di farti cadere: prima di tutto, non lasciarti trascinare dagli scrupoli ch'egli ti suggerisce allo scopo di farti abbandonare la Comunione. «Poi, quando mio Figlio ti chiede qualche atto di umiltà, o altra cosa, devi compierlo con molto amore, ripetendogli di continuo: Signore, tu sai quanto ciò mi costi... ma Tu, prima di me! «In terzo luogo, non far caso della suggestione diabolica, la quale vorrebbe farti credere che la tua confidenza verso la Madre toglie qualche cosa alla te­nerezza per Gesù. Se il demonio vince su questo punto, ha tutto guadagnato. «Apri con fiducia l'anima tua e ama la Madre senza timore; manifestaLe con grande semplicità tutto ciò che pensi, ciò che ti agita, ciò che ti turba. Anche Gesù in terra ha voluto amare quelli che gli rappresentavano il Padre, e si compiace quando sei aperta e semplice. So­prattutto non dimenticare di non lasciare mai la Co­munione».

«Il martedì, 14 giugno 1921, durante l'adorazione, Gesù è venuto bellissimo – scrive - e aveva in mano la corona di spine. «- Vuoi consolarmi?». «Naturalmente ho risposto: sì...», «Voglio il tuo aiuto per ravvicinare al mio Cuore un’anima carissima. Metti l'intenzione di offrire tutto per lei. Presenta spesso al Padre mio il sangue del mio Cuore. Bacia la terra per adorare quel sangue oltraggiato e calpestato da questo peccatore a me molto caro! Col permesso della Madre tua ti dirò ciò che potrai fare per lui. Rispetterò pienamente l'osservanza della regola».

«- Hai il permesso della Madre?» le ripeté il giorno dopo, 15 giugno 1921, nel ringraziamento della Comu­nione. «Lo sai bene, Signore - rispose Josefa - che la Madre non desidera che di farTi piacere!». «- Lo so, ma tu devi sottometterti alla volontà della tua superiora, prima di fare ciò che ti chiedo». «- Al tuo svegliarti, entra subito nel mio Cuore e, penetratavi bene in fondo, offri al Padre celeste tutte le tue azioni unendole ai miei palpiti. Tutti i tuoi movimenti uniscili ai miei, affinché non sia più tu ma Io che agisco in te. Durante la santa Messa, presenta al Padre mio l'anima che voglio salvare, affinché faccia ricadere su lei il sangue della Vittima che si immola. «Quando ti comunicherai, offrigli la ricchezza divina di cui disponi per pagare il debito di quell'anima. «Durante la meditazione collocati vicino a me, al Getsemani. Partecipa alla mia angoscia, offriti al Padre come vittima pronta a soffrire tutto quello di cui è capace l'anima tua. «Quando prendi il cibo, pensa che tu offri a me quel sollievo, e così pure quando troverai soddisfazione in qual­siasi cosa. Non separarti da me neppure per un istante! «Bacia spesso la terra. «Non lasciare nemmeno un giorno la Via Crucis. «Se avrò bisogno di te, te lo dirò. «In quel che fai non mirare che alla mia volontà, e adempila con piena sottomissione. «Umiliati profondamente, unendo sempre all'umiltà la fiducia e l'amore. «Fa' tutto per amore, avendo sempre di mira ciò che ho sofferto per le anime. «Durante la notte riposerai nel mio Cuore, che ac­coglierà i palpiti del tuo come altrettanti atti di desiderio e di amore. «In questo modo mi ricondurrai quell'anima che mi offende tanto». «Nel pomeriggio, durante l'adorazione, è venuto con le mani e con i piedi sanguinanti e, fissando il cielo, mi ha detto: «- Offri al Padre per quest'anima la divina Vittima, offri il sangue del mio Cuore». «Ha ripetuto tre volte queste parole e io gli ho rin­novato il desiderio di consolarLo e di fare tutto quello che mi ha indicato». «- Non metterti in pena: per tutto questo hai il mio Cuore!». Quella stessa sera, al refettorio, Josefa fedele alla direzione del Maestro: «Offrivo il cibo che prendevo a Nostro Signore, come mi ha insegnato - scrive - ed ecco che ad un tratto apparve e mi disse: «- Sì, dammi da mangiare, perché ho fame... dammi da bere, perché ho sete!... «- Tu lo sai, di che cosa ho fame e sete?... delle anime... di quelle anime che amo tanto... Tu dammi da bere!». «Rimase lì tutto il tempo della cena - continua Josefa - poi disse: «- Vieni con me... non lasciarmi solo!».

Il giovedì 23 giugno 1921, alla S. Messa, le appare di nuovo: «- Voglio che oggi tu chieda il permesso di fare l'ora santa. Presenta questo peccatore al Padre mio, ri­cordandogli che per quell'anima ho sofferto l'agonia nell'orto. Tu gli offrirai il mio Cuore e le tue sofferenze unite alle mie... Dirai alla Madre che queste sofferenze sono un nulla paragonate alla gioia che quest'anima mi darà tornando a me».

Il giovedì 23 giugno 1921, alla S. Messa, Gesù le appare di nuovo: «- Voglio che oggi tu chieda il permesso di fare l'ora santa. Presenta questo peccatore al Padre mio, ri­cordandogli che per quell'anima ho sofferto l'agonia nell'orto. Tu gli offrirai il mio Cuore e le tue sofferenze unite alle mie... Dirai alla Madre che queste sofferenze sono un nulla paragonate alla gioia che quest'anima mi darà tornando a me». «Stanotte - continua Josefa - mi sono svegliata sotto la stretta del dolore e poco dopo è venuto Gesù coronato di spine». «- Vengo per soffrire insieme con te». «Congiunse le mani e pregò a lungo.

Martedì 28 giugno 1921: «- Ascolta ciò che sto per dirti: vuoi piacermi davvero? Non occuparti che di soffrire e di darmi ciò che ti chiedo senza voler sapere il "come" ed il "quando".

Nella notte del mercoledì 29 giugno 1921, verso le due, ad un tratto è comparsa la Madonna: «Io le ho parlato di quell'anima, - scrive Josefa supplicandola di voler chiedere a Gesù di allontanare da lei l'occasione del peccato e di infonderle la forza di rimettersi sul retto cammino. I Suoi occhi si sono riempiti di lacrime e ha detto: «- E’ caduto molto in basso! Si è lasciato ingannare come un agnello! Ma, coraggio! Fa' tutto quello che mio Figlio ti dice e chiedigli di far pesare su te ciò che merita quel peccatore. Così verrà risparmiato dalla giustizia divina. Non temere di soffrire, non ti mancherà la forza necessaria, e allorché non ne potrai più, Io ti darò co­raggio e ti aiuterò. Sono il rifugio dei peccatori: que­st'anima non andrà perduta!».

Il giorno seguente, giovedì 30 giugno, dopo la Comunione, Gesù, mostratosi a Josefa, le presenta le ferite delle mani e dei piedi, insegnandole a scoprirvi la ferita invisibile dell'amore: «Guarda le mie piaghe e adorale... ba­ciale... Non sono state fatte dalle anime, ma dall'amore!». «Sì, è l'amore mio per le anime... l'amore di com­passione che nutro per i peccatori... Ah! se sapessero!».

Il 1° luglio 1921, la Madre celeste; «- Adora il sangue divino di Gesù, figlia mia, e supplicalo che lo sparga su quell'anima per commuoverla, perdonarla, purificarla». «- Non cessare mai di unire i tuoi atti ai miei e di offrire al Padre mio il mio sangue prezioso». «- Non dimenticare che sei vittima del mio Cuo­re...».

Il venerdì, 8 luglio 1921, le affida altre due anime di cui le dice: «- Guarda come feriscono il mio Cuore e trafig­gono le mie mani!...». «Durante l'adorazione Gesù è tornato - ella scrive - dicendomi: «- Guarda il mio Cuore! E tutto amore e tenerezza, ma ci sono anime che non lo conoscono!...».

«Egli è venuto, bellissimo, durante l'adorazione - scri­ve sabato 9 luglio 1921 - e mi ha detto: «- Vedi, Josefa, una di quelle due anime finalmente mi ha dato ciò che mi rifiutava, ma l'altra sta molto vicina a perdersi se non riconosce il suo niente... «Sì, offriti per ottenerle il perdono. Se un anima si umilia, anche dopo aver commesso i più gravi peccati, acquista un gran merito. Ma l'orgoglio provoca lo sdegno del Padre mio che lo odia con odio infinito. «Cerco anime che sappiano umiliarsi per riparare quest'orgoglio».

Il martedì 12 luglio 1921 scrive di nuovo: «E’ ritornato verso le quattro del pomeriggio con l'a­spetto bellissimo e triste, col Cuore squarciato da una larga ferita». «- Dammi il tuo cuore, Josefa, affinché lo ricolmi dell'amarezza del mio e offriti continuamente per riparare l'orgoglio di quest'anima. Non rifiutarmi niente, Io sono la tua forza». «Quindi ha detto fissando il cielo: «- L'orgoglio l'accieca...! Essa dimentica che Io sono il suo Dio e che senza di me è nulla! Che vale elevarsi quaggiù?... Voglio che ti prostri continuamente davanti al Padre mio e che tu gli offra l'umiltà del mio Cuore. Non dimenticare che senza di me l'anima non è che un abisso di miseria... Innalzerò gli umili...: le loro debolezze, le loro stesse cadute, poco m'importano... ciò che voglio è l'umiltà e l'amore!».

«Erano, credo, circa le tre del mattino, scrive il 22 luglio 1921, venerdì - ed Ella è venuta improvvisamente, e mettendomi le mani sulle spalle mi ha detto: «- Figlia del mio cuore! Vengo per sostenerti poiché sono la Madre tua. Nulla di ciò che soffri è inutile. Avrai ancora da subire una grande prova per salvare quell'anima orgogliosa. Appena sentirai l'avvicinarsi della tentazione, manifestala subito. Poi obbedisci, obbedisci, obbedisci!». «Le ho detto che proprio quello che adesso mi costa tanto è parlare e obbedire». «- Ascolta, Josefa: questo è il momento buono di sottomettere il tuo giudizio all'obbedienza e con questo atto di umiltà, compiuto nel forte della tentazione, tu espierai l'orgoglio di quell'anima. Mentre tu combatti, il potere diabolico su quell'anima è meno forte». E insistendo maggiormente: «- Tu devi soffrire per le anime, devi essere tentata, poiché, comprendilo bene, il demonio ha paura della tua fedeltà... Ma, coraggio!». «Mi benedisse e mi lasciò».

All'alba di quella notte dolorosa Gesù venne: «Era bellissimo,   ella scrive, - nonostante la corona di spine sul capo e le piaghe sanguinanti». «Guarda le mie piaghe e baciale. Sai chi me le ha fatte? L'amore! Sai chi mi ha calcato questa corona?... L'amore! Sai chi ha aperto il mio Cuore?... L'amore! Se ti amo al punto di non avere nulla rifiutato per te, dimmi, Josefa, non potrai tu pure soffrire senza rifiutarmi nulla?... Abbandonati!».

La sera del lunedì 25 luglio 1921 Gesù ricorda la scambievole promessa del 5 agosto 1920. «Se mi sarai fedele, ti farò conoscere la ricchezza del mio Cuore. Tu gusterai la mia croce, ma ti consolerò come sposa privilegiata». Poi aggiunge: «Non manco mai alla parola data!». Quella stessa sera, notizie piene di speranza relative al peccatore giunsero indirettamente al convento dei Feuillants.

«Egli mi apparve (il martedì 6 luglio 1921) continua  e mi disse: «- L'opera non è del tutto compiuta. Manifesterò maggiormente la mia bontà per quell'anima. Ti chiedo una cosa sola: che tu mi sia fedele».

Il mercoledì 3 agosto 1921, verso le sette e mezzo di sera, Gesù apparve raggiante e finalmente disse: «Quel peccatore che mi ha fatto tanto soffrire, Josefa, ora sta nel mio Cuore!».

Il giorno dopo le ricorda l'anima il cui orgoglio continua a ferirlo profondamente: «Voglio che quest'anima ritorni al più presto a me! Vuoi soffrire per lei? Offri oggi tutto quello che farai per questa intenzione. Ritornerò presto». «Nel pomeriggio, verso le quattro, Gesù mi fece pre­sentire una sua visita - scrive, - e andai al coretto nel noviziato, dove mi raggiunse subito. Nel suo Cuore non appariva più la ferita che lo straziava dacché mi aveva parlato di quell'anima orgogliosa». «- Vieni! - mi disse, accostati e riposa! Quel­l'anima è nel mio Cuore...».

Il venerdì 14 agosto 1921 Nostro Signore confermerà definiti­vamente la salvezza di quelle anime che erano state acquistate a sì caro prezzo. «La sera - scrive Josefa, - Gesù è venuto, bellissimo, e mi ha detto: «Quell'anima che era rimasta in terra per puri­ficarsi interamente, ora è in cielo! In quanto a quel peccatore, il mio Cuore ha riportato su di lui una vittoria definitiva. D'ora innanzi mi consolerà e corrisponderà al mio amore. «E tu, - ha continuato il Maestro, - mi ami?... «Ho su di te i miei disegni e sono disegni di amore!... Non rifiutarmi nulla!».

 

Torniamo al martedì 26 luglio 1921, in cui, dopo la Comu­nione, Gesù chiedeva nuovamente alla sua sposa: «- Sei disposta ad essermi fedele?». «Gli dissi tutto quello che temo della mia debolezza, - scrive Josefa, - ma Egli sa bene i miei desideri!». «- Voglio adesso servirmi di te per un'opera grande. Tu devi ricondurre al mio Cuore una comunità che se n'è allontanata. Voglio che le mie spose ritornino qui». «Ed accennava al Cuore. Gli domandai ciò che aspettava da me». «- Continua a fare tutto ciò che ti ho insegnato per quel peccatore. Offri tutto il mio sangue divino, il cui prezzo è infinito». «A mezzogiorno è tornato carico di una gran croce - ella prosegue: «- Vengo a portarti la mia croce, - ha detto, - perché voglio che tu ne assuma il carico in vece mia». «Allora è rimasto senza croce e mi sono sentita op­pressa da tale sofferenza che, se Gesù non mi avesse dato una forza speciale, non avrei potuto sopportarla». «- Per quest'impresa, - Egli ha continuato, - ho scelto nove anime. Ora sono con te, poi ti lascerò e andrò da un'altra. Così sarà sempre una delle mie spose che mi consolerà». Dopo essere rimasto un istante in silenzio ha proseguito, come parlando a se stesso: «- Sì, è vero, molte anime mi feriscono con le loro ingratitudini, ma quante di più sono quelle in cui mi riposo e che formano la mia delizia!». Sotto il peso della croce Josefa si è rimessa al lavoro, in presenza del suo Signore che le dice: «- Lavora in mia compagnia».

Trovandosi sola, ogni tanto s'inginocchia per adorarLo ed offrirsi a lui: «- Voglio non soltanto che mi avviciniate quelle anime, - le spiega Nostro Signore, - ma che paghiate per loro affinché non abbiano più alcun debito verso il Padre mio». «Alle quattro, - ella prosegue, - mi ha detto: «- Ora me ne vado. Ritornerò quando sarà nuovamente il tuo turno». «Prese la croce e disparve; e sono rimasta senza sof­frire».

Il mercoledì 27 luglio 1921, dopo la Comunione, si manifesta a Josefa: «- Vengo a riposarmi in te: - le dice - voglio che tu ti dimentichi, che mi consoli e che pensi talmente a me, che mi ami con tale ardore da non avere nei tuoi pensieri e nei tuoi desideri altro che me! Non temere di soffrire... Sono abbastanza potente per prendermi cura di te». Ella gli parla subito dell'opera di amore intrapresa la vigilia. «Come se gli avessi ricordato una cosa penosa, - scrive, - mi rispose: «- Si tratta di una comunità tiepida e rilassata...». «Restò in silenzio e, un momento dopo, aggiunse: «- Ma diventeranno mie! ritorneranno al mio Cuore! per ricondurvele ho scelto nove vittime. Niente ha più valore della sofferenza unita al mio Cuore. Questa notte ti porterò la mia croce; sarò da te a mezzanotte, poiché è questa la tua ora di turno». Quella stessa sera apparve anche la Madonna per affidare Ella pure alla figlia sua un 'anima in pericolo: «- Fino a domani - le dice, - vorrei che tu mettessi tutto il tuo fervore a salvare una figliuola che amo!... Gesù la voleva per sé e le aveva dato il tesoro della vocazione, ma ella l'ha perduto con la sua infedeltà. Sta per morire domani, ma purtroppo (ecco quello che mi dispiace) ha respinto il mio scapolare. Quale conso­lazione sarebbe per il mio cuore di Madre se questa figlia si salvasse!». Mi benedisse e disparve.

Verso mezzanotte è venuto Gesù per darmi la sua croce, ed è rimasto accanto a me, senza la croce, che io sentivo gravare sul mio corpo come un peso che lo schiacciasse, mentre la mia anima era oppressa da un dolore inespri­mibile». Infatti il peso di quella croce invisibile che gravava sulla sua spalla destra la teneva piegata in due, come se la schiacciasse. Il respiro, già penoso per il dolore al fianco, diveniva ancora più difficile e nulla valeva a sollevarla. «- Soffri con coraggio, - le dice Nostro Signore, - affinché le mie spose si lascino penetrare dal dardo del mio amore». E dal suo Cuore uscì un raggio infuocato. «- Bacia le mie mani, bacia anche i miei piedi. Ripeti con me: Padre mio, il sangue del Figlio vostro non ha dunque abbastanza valore? Che desiderate di più? Il suo Cuore, le sue piaghe, il suo sangue... Tutto vi offre per la salvezza di quelle anime!». «Ripetevo queste parole con Lui - scrive Josefa il giorno dopo. - Egli stava in silenzio, e credo che pre­gasse, poiché teneva le mani giunte e guardava il cielo... Alle quattro del mattino mi ha detto: «- Ora ti lascio; un'altra delle mie spose mi aspetta. Come sai siete nove... le scelte del mio Cuore! Ritornerò domani all'una e ti lascerò nuovamente la croce, addio! Avevo sete e mi desti da bere. Sarò la tua ricompensa!».

Il venerdì 29 luglio 1921, all'una del pomeriggio, come aveva detto, Gesù ritornò con la sua croce. «- Eccomi, - disse - per farti partecipare alle sofferenze del mio Cuore oppresso e pieno di amarezze». Le affidò la sua croce e la immerse subito in quella angoscia sperimentata nei due giorni antecedenti. «Molto sangue sgorgava dalla ferita del Cuore», ella scrive. «- Ripeti con me: - Egli dice: Eterno Padre, guardate queste anime imporporate dal sangue del Figlio vostro Gesù Cristo, di quella Vittima che incessantemente si offre a Voi. Quel sangue che purifica, accende e consuma, non sarà abbastanza potente per commuovere queste anime?...». «Rimase in silenzio qualche minuto. Ripetei parecchie volte le sue parole. Poi disse con forza: «- Sì, voglio che ritornino a me! Voglio che s'in­fiammino di amore ardente mentre Io mi consumo per loro di amore doloroso». «Quindi aggiunse con tristezza: «Se le anime comprendessero fino a qual punto giunge il mio ardentissimo desiderio di comunicarmi ad esse!». «Ma quanto sono poche quelle che capiscono, e come il mio Cuore ne rimane ferito!». «L'ho consolato come ho potuto e gli ho detto di dimenticare un poco le ingrate e di pensare, piuttosto, alle anime che lo consolano e l'amano. Il suo Cuore parve dilatarsi a queste parole e disse: «Sono l'unica felicità delle anime, perché si al­lontanano da me?». «Signore, non tutte si allontanano, e, se cadiamo, spesso è per debolezza, lo sai bene!». «- Poco m'importano le cadute... conosco la miseria delle anime. Quello che voglio è che non siano sorde al mio richiamo e che non rifiutino le mie braccia al­lorché le tendo per rialzarle. ..».

La sera del sabato, 30 luglio 1921, ritorna la sua ora di turno. «Salivo la scala dell'educandato, - scrive - quando l'ho incontrato con la croce e mi ha detto: - Ti aspetto». Dopo avergli chiesto il permesso di rimettere a posto il lavoro che teneva tra le mani. «Andai, - scrive, - e lo trovai che mi aspettava». Allora ella Gli parlò dell'anima infedele alla vocazione, che le era stata affidata dalla Madonna. Già dal giorno precedente, in cui la rabbia diabolica si era duramente scatenata su di lei, ella sapeva dalla sua Madre celeste che quest'anima, così amata da Maria, era uscita trionfatrice degli assalti infernali. Ma la notte le era apparsa immersa nelle pene del purgatorio, supplicandola di intercedere affinché la sua sofferenza venisse abbreviata. Molto impressionata di questo primo incontro col purgatorio, Josefa confida al Maestro i suoi timori: «Signore, se tale è il tormento di un'anima del mondo, che cosa sarà di un'anima religiosa che non corrisponde alle grazie di cui è ricolmata?». «- E’ vero», risponde Gesù.  Poi, consolandola con bontà: «- Quando cade una delle mie anime care, sono sempre lì per rialzarla, se si umilia con amore. Poco m'importa la miseria di colei il cui unico desiderio è di glorificarmi e di consolarmi. Nella sua piccolezza ottiene grazie per molte altre... «Amo l'umiltà... e quante si allontanano da me per orgoglio!... «Voglio che i tuoi sacrifici e il tuo zelo attirino al mio Cuore le anime, e specialmente quelle a me consacrate; che questo desiderio di darmi anime e di vedermi amato ti consumi e che il tuo amore mi consoli». Gli parlai anche di un'anima che ha bisogno del suo aiuto». «- Se essa non cerca la forza nel mio Cuore, rispose, - dove mai la troverà?... L'amore dà la forza, ma bisogna dimenticare se stessi». «Allora gli dissi: «Signore, perdonaci, siamo tanto deboli». «Quando un'anima desidera con ardore di re­starmi fedele, Josefa, Io sostengo la sua debolezza e le sue stesse cadute invocano con maggior forza la mia bontà e la mia misericordia. Altro non chiedo se non che, dimentica di sé, si umilii e si sforzi non per soddisfazione propria, ma per darmi gloria».

Si è giunti al mercoledì 3 agosto 1921, in cui Gesù, terminata la conquista di quel peccatore, che era costato tanto a Josefa, si manifestò dicendole: «- Quel peccatore!... Ora è qui, nel mio Cuore!». La stessa sera, andando in dormitorio, trova il Maestro che sta ad aspettarla con la croce: «- Prendi la mia croce - le dice; - vengo a ri­posarmi in te. Se le anime religiose sapessero quanto le amo e come mi feriscono con la loro freddezza o tie­pidezza!... queste anime non comprendono il pericolo a cui si espongono facendo poco conto delle loro miserie. Cominciano con una piccola infedeltà e finiscono con la rilassatezza. Oggi si concedono un piccolo piacere, domani trascureranno un'ispirazione della grazia e, a poco a poco, senza accorgersene, si raffredderanno nell'amore». E per farle comprendere dove si trova la salvaguardia della fedeltà, le impartisce questa importante lezione: «- T'insegnerò, Josefa, come devi aprire l'anima alla Madre tua, con semplicità ed umiltà'. «Ti voglio santa, grande santa, e non lo sarai che percorrendo il cammino dell'umiltà e dell'obbedienza. Ti mostrerò ciò un po' alla volta». Poi, prima di lasciarla, aggiunge: «- Ti raccomando di avere sempre sotto gli occhi e radicate nel cuore queste due convinzioni: «Primo: che se Dio ha fissato il suo sguardo su di te, è stato per manifestare maggiormente la sua potenza innalzando un grande edificio sopra un abisso di miseria; «Secondo: se Egli vuole condurti a destra e tu volessi andare a sinistra, la tua rovina sarebbe sicura. «Infine, Josefa, tutto questo ti serva per avere una conoscenza più vera della tua miseria e un più completo abbandono nella mani di Dio».

Tra le note di Josefa si sono anche trovati i consigli seguenti custoditi gelosamente: «- Voglio farti conoscere le più delicate attrattive del mio Cuore. Ti ho già detto con quale semplicità devi confidarti alla Madre tua e aprirle l'anima, senza che la minima piega le rimanga nascosta. Oggi voglio racco­mandarti di star attenta a non perdere una sola occasione di umiliarti. Allorché ti trovi libera di fare o no uno di quei piccoli atti costosi, va' e compilo! «Voglio che tu renda conto fedelmente alla Madre degli sforzi che hai fatto e delle occasioni che hai perduto o di cui hai profittato. Quanto più conoscerai ciò che sei tu, tanto più saprai ciò che sono Io. «Non andare mai la sera al riposo con un'ombra sull'anima. Te  lo raccomando caldamente: appena commetti una mancanza, riparala immediatamente. De­sidero che l'anima tua sia pura come il cristallo. «Non turbarti se cadrai ancora più di una volta. L'agitazione e l'inquietudine allontanano l'anima da Dio. «Ti voglio piccola, piccola, molto umile e sempre sor­ridente. Sì, ti voglio sempre nella gioia, ma procura di farti sempre un po' carnefice di te stessa. Scegli spesso ciò che ti costa di più, restando allegra e contenta, poiché, ser­vendomi con pace e letizia, glorificherai maggiormente il mio Cuore».

«Durante la Messa - scrive il 5 agosto 1921, primo venerdì del mese, - è venuto splendente di bellezza. «- Voglio - mi disse - che tu ti consumi nel mio amore. Te l'ho già fatto comprendere: tu non troverai felicità che nel mio Cuore. Voglio che tu mi ami, giacché ho fame di amore, ma che tu bruci anche dal desiderio di vedermi amato e che il tuo cuore non abbia più altro alimento che questo desiderio. «Tutti i giorni dopo la Comunione, ripeti col massimo ardore possibile: "Cuore di Gesù, che il mondo intero si accenda del tuo amore!"».

Verso le sette di sera sale in dormitorio. Gesù è là che l'aspetta. «Prendi la mia croce, - le dice, - e andiamo a soffrire per le anime». Dopo un istante di silenzio, prosegue: «- Se le mie spose hanno ben meditato che io sono tutto amore e che il mio più gran desiderio è di essere amato, perché mi trattano così?». E spiegandole il valore che l'amore dà ad ogni minimo sforzo di virtù: «Quando un'anima compie un atto, sia pure costoso, ma per interesse o per piacere, e non per amore, ne ricava ben poco merito. Invece una minima azione offerta con grande amore consola il mio Cuore a tal punto che lo inclina verso quell'anima, dimenticando tutte le sue miserie. «! - ripete - l'ardente mio desiderio è d'essere amato. Se le anime sapessero l'eccesso del mio amore, potrebbero non corrispondervi? Perciò corro a cercarle e nulla risparmio per ricondurle a me!». «Diceva queste parole in modo commovente, era un grido d'amore! Quindi rimase per un lungo tempo in silenzio, quasi assorto in preghiera. Verso le undici di notte scomparve dopo aver detto: «- Soffri con grande amore... Offri continuamente il mio sangue per le anime... E ora rendimi la mia croce».

Il lunedì 8 agosto 1921 sarà ai Feuillants una di quelle giornate preziose per il Cuore di Gesù, in cui la Madre e le figlie, unite nello slancio di un solo e profondo sacrificio, offrono insieme la loro separazione. Dopo la Comunione, Gesù si manifesta a Josefa: «- Voglio che quelle anime ritornino a me al più presto. Prega continuamente affinché si lascino penetrare dalla grazia. Anche se tu non potrai fare altro che de­siderare di vedermi amato, sarà già molto. Il mio Cuore sarà consolato poiché questo desiderio è amore! «Presto, - continuò, - quelle anime religiose entre­ranno in ritiro. Offriti affinché si lascino trafiggere dal­l'amore». La sera verso le sette, Gesù tornò nello splendore radioso del suo Cuore e delle sue piaghe. Tornò, ma, questa volta, senza croce! Josefa non osa credere alla felicità che presagisce dall'aspetto luminoso del Maestro. Gli chiede la croce. «- No! - risponde - quelle anime non feriscono più il mio Cuore. E poi, - aggiunse, - oggi ho accet­tato per esse il sacrificio di questa casa ove ho trovato molto amore. «Domani quella comunità religiosa comincerà il ritiro e presto diverrà per il mio Cuore un rifugio di grande consolazione».

Il venerdì 26 agosto 1921, alle nove del mattino Josefa, fedele alla consegna ricevuta, va dalla sua superiora. E tutta immersa in un raccoglimento che fa sentire la presenza divina. Con poche parole chiede il permesso di seguire per un momento N. Si­gnore, poiché, ella dice: «Gesù sta qui». I suoi occhi bassi, la sua fisionomia, il suo atteggiamento di preghiera, lo sforzo stesso che fa per parlare, lo dicono più che le parole. «Quando l'ho lasciata, Madre mia,  - scrive - ho detto a N. Signore: ho il permesso. Egli camminava al mio fianco e mi ha condotta al coretto. Ho cominciato col dirGli ciò che lei mi ha raccomandato: se tu sei ve­ramente colui che credo, Signore, non offenderti se mi si obbliga ogni volta a chiedere il permesso di ascoltarTi e di seguirTi. Egli mi ha risposto: «Non ne sono offeso, anzi! Voglio che tu ob­bedisca sempre, e Io pure obbedirò». «Mentre diceva così pareva un povero. Quindi ha aggiunto: «Le tue Madri mi consolano volendo accertarsi con tanta premura che sono Io. Oggi rimani unita al mio Cuore e ripara per molte anime».

«Il giovedì 10 settembre 1921 dopo la Comunione, è venuto bellissimo, - ella scrive - e quando ha cominciato a parlare la sua voce era triste». «Desidero che tu mi consoli,   ha detto.   La freddezza delle anime è grande... e quante precipitano ciecamente nella perdizione! Se potessi come prima lasciarti la mia croce!». «Poi, dopo che ebbi chiesto il permesso, mi ha condotto nell'oratorietto di S. Stanislao e là mi ha detto: «Se non trovassi anime per consolarmi e attirare la mia misericordia, la giustizia divina non sarebbe più contenuta». Quindi ha soggiunto: «L'amore mio per le anime è così grande che mi consumo dal desiderio della loro salvezza. Ma quante si perdono! Quante altre aspettano, per uscire dallo stato in cui si trovano, che sacrifici e sofferenze ottengano loro questa grazia! Tuttavia, ho molte anime che mi appar­tengono e mi amano. Una sola di esse ottiene il perdono per molte altre fredde e ingrate. «Voglio che ti accenda  del desiderio di salvarmi delle anime, che ti getti nel mio Cuore e che non ti occupi più di altro che della mia gloria. «Ritornerò questa sera perché tu estingua la mia sete divorante e mi riposerò in te». «Infatti al principio dell'ora santa Egli ritornò e disse: «Offriamoci come vittime all'Eterno Padre. Pro­striamoci con profondo rispetto alla sua presenza... ado­riamoLo... presentiamoGli la nostra sete della sua gloria... Offri e ripara unita alla divina Vittima».

Dopo qualche giorno la Madonna è apparsa a Josefa per sostenerla, poiché le intime lotte non mancavano alla figlia sua. «Se sapessi quanto desidero, Io che ti sono Madre, che tu sia fedele - le ha detto. - Ma non rattristarti: la sola cosa che Gesù ti chiede è che ti abbandoni alla sua volontà. Il resto lo farà Lui». «Le risposi quanto mi costasse di dover dire tutte queste cose, non soltanto alla Madre assistente, ma ora anche alla mia Superiora». «Più Gesù ti chiede, più devi essere contenta, figlia mia, - rispose la Madre celeste: «Davanti ad un capolavoro - continuò, - non è il pennello, ma la mano dell'artista che si ammira. Così, Josefa, se accadesse che grandi cose si compissero per mezzo tuo, non attribuirti nulla, poiché è Gesù che agisce, Lui che vive in te e di te si serve. RingraziaLo per tanta bontà... Sii molto fedele nelle piccole cose e nelle grandi, senza badare se esse ti costano. Obbedisci a Gesù, ob­bedisci alle Madri e conservati molto umile e abbandonata. Gesù fa sua la tua piccolezza ed io ti sono Madre!».

Il giovedì 8 settembre 1921 N. Signore calma i suoi timori dandole il segreto per avere coraggio: «- Non occuparti d'altro che di amarmi: l'amore ti darà forza».

«- Ho un 'anima che molto mi offende - le dice Gesù apparendole il martedì 13 settembre - e vengo da te per consolarmi. Va' a chiedere il permesso di rimanere un momento con me. Non ti tratterrò a lungo. Non temere se ti sentirai smarrita, poiché ti farò condividere l'angoscia del mio Cuore. Povera anima, come si precipita verso l'abisso!...».

«Durante tre ore, nella notte dal 14 al 15 settembre 1921, mi ha lasciato la sua croce e la corona», aggiunge Josefa. Così pure durante le notti seguenti e in tal modo ella coopera per parecchi giorni al ritorno della pecorella smarrita.

Al termine della notte, dal 24 al 25 settembre 1921, notte terribile di angoscia e di sofferenza... «Ad un tratto - scrive ancora Josefa - ogni pena è scomparsa. Una pace immensa subentrò nell'anima mia. Gesù era lì, risplendente di luce, bellissimo, con la tunica che sembrava d'oro e il Cuore come un incendio!». «- Quell'anima, - Egli mi ha detto, - l'abbiamo conquistata!». «Lo ringraziai e adorai con rispetto profondo, poiché in Lui traspariva la maestà di Dio. Gli chiesi perdono dei miei peccati e lo supplicai di mantenermi sempre fedele, poiché mi vedo così debole!... Tuttavia sa bene che non desidero altro che amarlo e consolarlo!». «- Non ti affliggere per la tua miseria. Il mio Cuore è il trono della misericordia in cui i più miserabili sono i meglio accolti, purché vengano a sprofondarsi in questo abisso di amore. «Ho fissato su te il mio sguardo perché sei piccola e misera. Io sono la tua forza! E adesso andiamo a con­quistare altre anime!... Ma prima riposa un poco sul mio Cuore!».

Il giovedì 20 ottobre 1921, N. Signore le appare col Cuore in­fiammato. Le mostra una coppa che tiene in mano, e le dice: Non ne hai bevuto che una parte, Josefa. Ma sono pronto a difenderti».

La Madonna le appare «piena di tenerezza» - scrive Josefa - la sera del lunedì 24 ottobre 1921. «- Non temere di soffrire, - dice. - Se vedessi quante anime si sono ravvicinate al suo Cuore nel tempo della tentazione!».

25 ottobre 1921: «- Vengo perché mi hai chiamato!». Nello sbigottimento a cui il demonio la spinge con le sue insidie, Josefa, che teme sempre di aver ceduto alla tentazione, chiede a Gesù ciò che può fare per riparare. «- Quello che devi fare, lo sai: amare, amare, amare!».

Il martedì 22 novembre 1921, nella mattinata Josefa al solito spazza la stanza di cui è incaricata. «Improvvisamente   ella scrive   due mani si po­sarono dolcemente sulle mie spalle. Mi volsi e vidi la Madonna, così bella e così materna. Mi disse teneramente: «Figlia mia! povera piccola!». «Le chiesi perdono e la supplicai di intercedere per me presso Gesù». «- Non temere di nulla, Josefa, - rispose la Madre celeste - Gesù ha fatto con te un patto di amore e di misericordia. Tu sei interamente perdonata ed io ti sono Madre». «Mi sono sentita così traboccante di gioia che non so ciò che le ho risposto. E sempre più Madre! L'ho rin­graziata e le ho chiesto di ottenere da Gesù che mi re­stituisca la sua corona». «- Sì, figlia mia, te la renderà, e se non te la porterà Lui stesso, verrò a portartela io». «La sera durante l'adorazione, Gesù è venuto, bellis­simo, - scrive - e teneva in mano la corona di spine. Appena lo vidi Gli chiesi perdono e supplicai che avesse compassione di me. «Si avvicinò con bontà e posandomi sul capo la co­rona, disse: «- Voglio che tu penetri profondamente le parole della Madre mia: ho fatto con te un'alleanza d'amore e di misericordia. L'amore non si stanca, la misericordia non si esaurisce mai».

Il venerdì 25 novembre 1921: «Mi mostrò il Cuore tutto infiammato; la ferita si aprì e mi disse: «- Vedi come il mio Cuore si consuma di amore per le anime, tu pure devi infiammarti dal desiderio della loro salvezza. Voglio che oggi tu entri ben a fondo in questo Cuore e che ripari in unione con Lui. Si, dob­biamo riparare - ripeté. - Io sono la grande Vittima e tu una piccolissima vittima; ma, unita a me, tu puoi essere ascoltata dal Padre mio». «Rimase ancora un istante e poi scomparve».

Il sabato 26 novembre 1921, verso le tre del pomeriggio, Josefa cuciva col solito ardore le uniformi per le educande nel labo­ratorio del noviziato. Gesù improvvisamente la raggiunse: «- Voglio – disse - che tu chieda alla Madre il permesso ch'io resti un momento con te». «Sono andata subito a chiedere il permesso, quindi alla cappella delle Opere, dove Egli mi ha raggiunta con la sua croce». «Ti ho lasciata riposare un poco, Josefa. Ora lascia ch'Io riposi in te. Desidero darti per qualche istante la mia croce: la vuoi? «Ho tante anime che mi abbandonano, e tante che si perdono. Ma ciò che mi addolora di più è che sono proprio le mie anime, quelle sulle quali ho fissato i miei sguardi e che ho ricolmato dei miei doni. In ricambio esse non hanno per me che freddezze e ingratitudine. Ah! quanto poche ne trovo che corrispondano al mio amo­re...». Le consegnò la croce e sparì senza aggiungere parola.

Il lunedì 28 novembre 1921 riferisce laconicamene la prova che d'ora in poi non la lascerà più in riposo. Al demonio è stato dato un nuovo potere. Per la prima volta ascolta la voce diabolica che ormai la perseguiterà giorno e notte nei corridoi, al noviziato, al laboratorio, al dormitorio: «Tu sarai nostra... sì, tu sarai nostra!... ti stancheremo... ti vinceremo... ecc.». Questa voce la terrorizza, ma non le toglie il coraggio. Scrive la sera di quel giorno: «Durante l'adorazione Gesù è venuto con la Croce. Gliel'ho chiesta e mi ha risposto: «- Sì, vengo per dartela. Voglio che tu mi riposi e che ripari ciò che le mie anime rifiutano al mio Cuore. Quante di esse non sono quelle che dovrebbero essere!». «Mi lasciò per un'ora la croce, e quando tornò per riprendersela mi disse soltanto: «Ritornerò presto». «La notte, credo verso mezzanotte, mi sono svegliata di colpo. Egli era lì: «Ti porto la croce e ripareremo insieme». Josefa confessa umilmente di essersi sentita mancare sotto il gran peso che l'opprimeva. «L'ho supplicato di aiutarmi - scrive    poiché sa bene quanto sia piccola!». «Josefa, non considerare la tua piccolezza. Considera la forza del mio Cuore che ti sostiene. Io sono la tua forza e il riparatore della tua miseria. Ti darò coraggio per tutto quello che ti chiederò di soffrire». «Allora mi ha lasciata sola ed è ricomparso verso le tre». «Rendimi la croce, te la riporterò presto».

Già all'alba del martedì 29 novembre 1921, alla meditazione, Egli gliela riporta. Pesa molto sulla spalla di Josefa mentre Gesù la segue al lavoro e l'accompagna alla Messa. Dopo la Comunione le ricorda il segreto della generosità: «Ora hai la vita in me: Io sono la tua forza. Coraggio, porta la mia croce!».

Nella notte della domenica 4 dicembre 1921 le sopravvenne una nuova prova. Strappata violentemente dal letto, venne gettata a terra, sotto i colpi del nemico invisibile che la ricopriva d'ingiurie. Trascorsero così lunghe ore e il martirio si rinnovò, anche più accentuato, nelle due notti seguenti. «Al termine di una notte terribile - scrive nella mattinata del martedì 6 dicembre, - non sapendo più che fare, sono rimasta in ginocchio ai piedi del letto. Im­provvisamente, ho udito uno stridore di denti e un grido di rabbia. Poi tutto è finito, ed ho visto, bellissima, davanti a me la Madonna». «Non temere di nulla, figlia mia, sono qui Io». «Le ho detto quanta paura avevo del demonio che mi tormenta tanto». «Può martoriarti, ma non ha il potere di nuo­certi. E furibondo per le anime che gli sfuggono... valgono tanto le anime... Se tu sapessi il prezzo di un'anima!...». «Quindi mi ha benedetta aggiungendo: «Non temere di nulla». «Le ho baciato la mano e se ne è andata».

Josefa per obbedienza ricomincia a scrivere: «Il 10 gennaio 1922 - narra - durante la Messa delle nove, poco dopo l'Elevazione, udii una voce infantile che mi fece sobbalzare di gioia: «-Josefa!... mi riconosci?». «Subito vidi davanti a me Gesù come un bambino di circa un anno, con una tunica bianca, ma più corta del solito. Aveva i piedini nudi e i capelli d'un biondo ac­ceso... Era incantevole. Lo riconobbi subito e gli dissi: Certo che ti riconosco: sei il mio Gesù; ma come sei piccolo, Signore mio! Sorrise e rispose: «- Si, sono piccolino, ma il mio Cuore è grande!». «Dicendo queste parole mise la sua manina sul petto e vidi il suo Cuore. Non posso dire ciò che il mio  provò a quella vista... Oh, Signore! se tu non avessi il Cuore che hai, non potrei amarti come ti amo, ma il tuo Cuore mi rapisce! Con una tenerezza indicibile Egli mi disse: «- Perciò ho voluto fartelo conoscere, Josefa, e per questo ti ho collocata nel più profondo di questo Cuore». «Gli ho chiesto se ormai tutte quelle sofferenze erano finite». «- No, occorre che tu soffra ancora». Ed ha aggiunto: «Ho bisogno di cuori che amino, di anime che riparino, di vittime che s'immolino... ma soprattutto di anime che si abbandonino!». Poi, alludendo alla parola che più d'una volta nei giorni scorsi l'ha fortificata: «- Le tue Madri hanno trovato le parole dell'ab­bandono - disse. - Il demonio non ha altro potere che quello che gli vien concesso dall'alto. Di' loro che Io sono al di sopra di tutto». «Vedi come mi sono fatto piccolo, Josefa! L'ho fatto per aiutarti a divenire piccola piccola anche tu. «Mi sono umiliato fino a questo punto per insegnarti ad umiliarti a tua volta». «Con la Sua manina mi ha benedetta ed è scomparso».

Il 12 gennaio 1922, durante il ringraziamento della Comunione, Gesù stesso le si mostra e, alludendo al voto pronunciato la vigilia: «Josefa, sposa mia: - dice - sai ciò che i tuoi superiori hanno ottenuto con questo voto?... Hanno obbligato il mio Cuore a prendere cura di te in modo speciale. Di' loro che questo atto mi ha dato molta gloria». «Gli ho chiesto se la prova era passata». «Voglio che ti abbandoni e che tu sia sempre pronta tanto a subire i tormenti del demonio come a ricevere le mie consolazioni».

Gesù insiste di nuovo su questa raccomandazione che cor­risponde al desiderio del suo Cuore: «Josefa, hai ben compreso i consigli che il Padre ti ha dati? Si, desidero che tu sia piccola piccola». «Voglio - ha continuato con forza - che tu sia umiliata e stritolata. Lasciati fare e disfare secondo i piani del mio Cuore». Quella stessa sera per la prima volta la Madonna le fa intrave­dere che il suo passaggio qui in terra sarà presto compiuto. Josefa Le esprime il suo desiderio di non voler mai ritirare il sacrificio della patria.  «Sì,   le risponde la Madre immacolata   morirai qui in Francia, in questa casa di Poitiers: non passeranno dieci anni che sarai già in cielo».

Dal venerdì 13 gennaio 1922 il demonio riprende i suoi assalti senza però giungere a smuoverla e la sentono rispondere alle minacce del nemico con queste energiche parole: «Ebbene uc­cidimi!». Allora, come narra ella stessa, il demonio si trasforma in angelo di luce e per meglio sedurla le si presenta sotto l'aspetto di Nostro Signore. Dapprima sbigottita, comprende tosto l'impostura.

Domenica 12 febbraio 1922, dopo la Be­nedizione, avvolta nella luce e molto vicina a lei compare la Madonna. Josefa trasalisce di gioia. Da tanto tempo non vedeva la sua Madre celeste. Esita, teme... Ma una gran pace che non inganna accompagna la nota voce materna: «- Non temere, figlia mia, sono la Vergine im­macolata, la Madre di Gesù Cristo, del tuo Redentore, del tuo Dio!». L'anima di Josefa vorrebbe slanciarsi verso di lei: ma, fedele all'obbedienza e per sventare i tranelli sempre possibili del diavolo: «Se tu sei la Madre di Gesù,   dice - permettimi di rinnovare davanti a te il voto di verginità che ho fatto fino al giorno in cui avrò la felicità di pronunziare i voti di religione nella Società del Sacro Cuore, e rinnovare anche tra le tue mani il voto di restare in questa caris­sima Società fino alla morte e di morire piuttosto che essere infedele alla mia vocazione». Mentre parla non stacca gli occhi dalla dolce visione che la fissa con tenerezza. La Vergine, stendendo la mano destra sul capo della figlia sua prosegue: «- Non temere di niente, Gesù è qui per difenderti e così pure la tua Madre». Poi traccia sulla sua fronte il segno della croce, le dà la mano da baciare e scompare.

La mattina di lunedì 13 febbraio 1922, ode la chiamata del suo Signore: «- Vieni, non temere, sono Io!». «Non ero certo che fosse Lui - riprendono gli ap­punti. - Andai ad avvertire le Madri e quindi mi recai al coretto ed Egli già vi si trovava: «- Sì, sono Io, Gesù, il Figlio della Vergine Im­macolata!». Mai il demonio, malgrado la sua audacia infernale, riuscirà a pronunciare simili parole. «Signore, unico amore mio, - risponde - se sei tu, degnati di permettere ch'io rinnovi alla tua presenza i voti fatti per te». Mi ha ascoltata con compiacenza e appena ebbi finito, rispose: «- Di' alle tue Superiore che, siccome sei stata fedele a fare la mia volontà, Io pure vi sarò fedele. Di' loro che questa prova è passata, e quanta gloria ne ha ricevuto il mio Cuore. Tu, Josefa, riposa in me, nella mia pace, come Io mi sono riposato nelle tue sofferenze!».

«Il martedì 14 febbraio 1922, durante la Messa - scn­ve - mi preparavo alla santa Comunione con una vera fame di Lui! Poco dopo l'elevazione Egli mi apparve e mi disse: «Se hai fame di ricevermi, Io pure ho fame di essere ricevuto dalle mie anime. Provo tanta gioia nel discendere in esse!». «Dopo la Comunione venne: «- Non credere che Io abbia per te più amore adesso che ti consolo che quando ti chiedo di soffrire. «D'altra parte, non posso lasciarti senza soffrire. Ma l'anima tua deve restare in pace, anche in mezzo alla sofferenza».

«Povera Josefa! - le dice la sera del venerdì 17 febbraio 1922, apparendole mentre ella si umilia delle proprie debolezze davanti al tabernacolo. - Che faresti se non avessi il mio Cuore? Ma più trovo miseria in te e più ti amo con tenerezza...». «L'ho supplicato di darmi un vero amore - scrive il giorno dopo, sabato 18 febbraio 1922 - perché mi pare che se sapessi amarlo saprei meglio vincermi. Stavo facendo la meditazione e Gesù è venuto ad un tratto e mi ha detto: «Sì, Josefa, il tuo cibo sia l'amore e l'umiltà. Ma non dimenticare che ti voglio anche abbandonata e sempre felice perché il mio Cuore ha di te una cura tenerissima». «Allora gli manifestai la mia pena di non sapermi vincere, né corrispondere a tanta sua bontà». «Non temere, gettati nel mio Cuore!... Lasciati ben guidare... questo basta».

L'indomani, domenica 19 febbraio 1922, dopo l'elevazione, Gesù le mostra le sue piaghe risplendenti di luce: «Qui attiro le mie anime per purificarle e in­fiammarle nel vortice dell'amore! Qui trovano la vera pace e da loro Io aspetto la vera consolazione». «Gli ho chiesto come si fa per consolarlo allorché siamo piene di miserie e di debolezze. Rispose mo­strandomi il suo Cuore: «Poco importa, purché le anime vengano qui con amore e fiducia: supplisco Io alla loro fragilità».

Il giovedì 23 febbraio 1922 Josefa sta nella stireria con le con­sorelle quando Gesù improvvisamente le appare e le dice: «Vorrei che tu venissi con me». Sempre fedele, avverte il Maestro che deve chiedere il permesso, ed Egli la segue fino alla cella della superiora. «Bussai due volte - scrive, - ma nessuno rispose. Stavo per andarmene, ma Egli insistette: «- Picchia un'altra volta». «Ottenuto il permesso mi recai al coretto mentre Gesù mi camminava al fianco. Strada facendo, Gli chiesi perdono di lasciar passare tanti piccoli atti di virtù che Egli desiderava e promisi d'essere fedele nelle piccole cose che gli piacciono: Se Tu, o Signore, vuoi di più, dimmelo che lo farò». «Ama, Josefa: l'amore consola, l'amore s'umilia, l'amore è tutto!... «Durante questi giorni in cui ricevo tante offese voglio averti per cireneo. Sì, tu mi aiuterai a portare la croce. E la croce dell'amore... La croce del mio amore per le anime! Tu mi consolerai e tutt'e due soffriremo per esse».

Il giorno dopo, venerdì 24 febbraio 1922 la Madonna conferma l'invito del Figlio.  «Sì, figlia mia, se sei docile e generosa consolerai il suo Cuore ed il mio, e Gesù si glorificherà nella tua miseria». «Poi posandomi la mano sul capo ha continuato: «Guarda come il suo Cuore viene oltraggiato nel mondo! Non perdere la minima occasione di riparare in questi giorni. Offri tutto per le anime e soffri con grande amore».

Il sabato 25 febbraio 1922, verso le otto della mattina, mentre va a chiudere le finestre del chiostro delle celle, scorge nell'oratorio di S. Stanislao Gesù carico della croce. «Sono entrata - scrive - e mi ha detto: «Josefa, consolami perché le anime mi crocifiggono un'altra volta. Il mio Cuore è un abisso di dolore. I peccatori mi disprezzano, mi calpestano... Niente per essi è meno degno di amore di Colui che li ha creati». «Mi ha lasciato la croce ed è scomparso. «Questa notte - continua - è tornato con una pe­sante croce sulle spalle, la corona di spine sul capo e il volto rigato di molto sangue». «- Guarda, in che stato mi trovo. «- Quanti peccati si commettono, quante anime si perdono! Questo è il motivo per cui vengo a cercare sollievo presso le anime che vivono unicamente per consolarmi». «Rimase un momento in silenzio con le mani giunte; i Suoi occhi parlavano più che le labbra. Poi disse: «- Le anime corrono verso la rovina ed il mio sangue è perduto per esse! «Ma le anime che mi amano, si immolano e si con­sumano come vittime di riparazione attirando la miseri­cordia divina e questo salva il mondo». «Ciò detto è sparito e credo fosse l'una di notte: ho avuto la croce fino a poco dopo le quattro».

«Durante la Messa delle nove - scrive in quella domenica del 26 febbraio 1922 - Gesù è venuto con il Cuore risplendente di luce. Lo si sarebbe detto un sole». «Ecco quel Cuore che dà la vita alle anime ha detto. Il fuoco di quest'amore è più forte dell'in­differenza e dell'ingratitudine umana. «Ecco quel Cuore che dà alle sue anime scelte l'ardore per consumarsi e per morire, se occorre, per provarmi il loro amore». «Queste parole avevano una tal forza che penetravano nell'intimo dell'anima. Poi mi ha guardato ed ha prose­guito: «I peccatori mi straziano e mi ricolmano di amarezza... Non vorrai tu, piccola vittima che ho scelta, riparare tanta ingratitudine?». «Gli ho chiesto ciò che voleva da me, poiché ben conosce la mia piccolezza». «Voglio che oggi tu entri nel profondo del mio Cuore. Là troverai la forza per soffrire. Non pensare alla tua piccolezza: il mio Cuore è abbastanza potente per sostenerti. E a tua disposizione: prendi in lui tutto ciò che ti occorre. Consumati in lui. Offri al Padre celeste quel Cuore e quel sangue. Non vivere più che di questa vita di amore, di sofferenza, di riparazione». «Nel pomeriggio verso le tre è tornato e mi ha detto: «Vengo a rifugiarmi qui poiché le anime fedeli sono per il mio Cuore come i baluardi per una città: mi difendono e mi consolano. «Il mondo corre alla rovina. Cerco anime che riparino tante offese fatte alla Maestà di Dio e il mio Cuore si consuma dal desiderio di perdonare... Sì, perdonare a questi figli carissimi per i quali ho versato tutto il mio sangue. Povere anime, quante se ne perdono, quante precipitano all'inferno...». Di fronte a così infiammato dolore, Josefa non sa come esprimere il suo desiderio di soffrire e di riparare. «Non preoccuparti. Se non ti separerai da me sarai forte della mia stessa forza, e la mia potenza sarà tua!». «Allora è scomparso e mi ha lasciato la croce».

Nella mattinata di martedì 28 febbraio 1922 si trova alla la­vanderia come al solito, ma dopo qualche ora: «Il dolore al fianco è divenuto così forte che non riuscivo più a respirare», scrive. Si ritira nella mansarda dove ha il proprio letto, già con­sacrato da tante sofferenze e da tante visite divine. «Gesù è venuto subito - prosegue, - sempre così bello e col Cuore tutto fiammante». «- Quanto mi offendono le anime!... Ma ciò che mi strazia di più il Cuore è di vederle da se stesse precipitare ciecamente nella perdizione... Comprendi, Josefa, ciò che soffro per la perdita di tante anime che mi sono costate la vita? Ecco il mio dolore: il mio sangue è inutile per esse! Mettiamoci tutt'e due a riparare e a risarcire il Padre celeste di tanti oltraggi che riceve». «Allora mi sono unita al suo Cuore offrendoGli le mie sofferenze». Josefa nota l'atteggiamento supplichevole del Maestro: le mani giunte, gli occhi volti al cielo, il silenzio, tutto in Lui esprime la divina e continua offerta al Padre. «- Dirai alle tue Madri - Egli prosegue con bontà - che questa casa è il mio giardino di delizia. Vengo qui per consolarmi quando i peccatori mi fanno soffrire.. Di' loro che in questa casa sono veramente il padrone e che in questo rifugio il mio Cuore si riposa!... «Non cerco e non chiedo cose grandi. Ciò che desi­dero, ciò che mi consola, è l'amore che spinge ad agire, si, l'amore solo e questo le mie anime me lo danno». Nel pomeriggio, durante la benedizione del Santissimo, Gesù le appare di nuovo circonfuso della luce che irraggia dal Cuore. «- Un piccolo gruppo di anime fedeli ottiene mi­sericordia per un gran numero di peccatori - ha detto. - Il mio Cuore non può rimanere insensibile alle loro suppliche... Ho cercato chi mi consolasse e l'ho trovato».

Il 10 marzo 1922, mercoledì delle Ceneri, durante l'adorazione del pomeriggio, Gesù le appare col volto sanguinante e le dice: «- Non c'è al mondo creatura così oltraggiata e disprezzata quanto Io lo sono dai peccatori. «Povere anime: Io ho dato loro la vita ed esse cercano di darmi la morte! Queste anime che mi sono costate così care non solo mi dimenticano, ma giungono fino al punto di farmi oggetto dei loro scherni e del loro disprezzo! «Tu, Josefa, accostati a me, riposati nel mio Cuore, partecipa alla sua amarezza, consolalo col tuo amore. Sono tante le anime che lo ricolmano di dolore... «Ripara per quelle che dovrebbero farlo e non lo fanno». «A questo punto - scrive - la campana ha segnato il termine dell'adorazione e sono uscita dalla cappella. Gesù camminava al mio fianco». «- Va, Josefa, va a chiedere il permesso ch'io resti con te mentre lavori». Quando lo ebbi ottenuto andai un momento al coretto e poi ripresi il mio lavoro in guardaroba, perché credo che sia ciò che Gli piace di più. Gesù era là e mi diceva: «- Chiedi perdono per i peccati del mondo... Quanti peccati... quante anime si perdono... anime che mi co­noscono e che nel passato mi hanno amato... E ora preferiscono al mio Cuore i godimenti e i piaceri... «Perché mi trattano così? Non ho forse dato loro più volte prova del mio amore? Ed esse mi hanno anche corrisposto! Oggi invece mi calpestano, mi fanno oggetto di derisione e rendono vani i miei disegni su loro... Dove troverò consolazione?...» «Gli ho detto: - Signore, in questa casa, nelle nostre anime. Ci sono ancora, dappertutto, molte anime che ti amano». «- Sì, lo so, ma Io desidero quelle anime. Le amo infinitamente!». «Mi offersi di nuovo a soffrire per esse. Gesù rimaneva lì e di tanto in tanto ripeteva: «- Raccogli il sangue che ho sparso nella mia passione. Chiedi perdono per tutto il mondo... per quelle anime che, pur conoscendomi, mi offendono, e offriti in riparazione di tanti oltraggi». «E’ rimasto fin verso le undici di notte, poi se n'è andato lasciandomi la croce, il dolore al fianco e l'an­goscia nell'anima. Poco prima delle tre tutto è cessato e mi sono addormentata perché ero sfinita».

Il 2 marzo 1922, primo giovedì di Quaresima, essa umilmente confessa che verso sera alla richiesta del Maestro: «- Vorrei che tu mi consolassi» ha resistito nell'anima sua. «Poiché - scrive - non avevo ancora terminato il mio lavoro in guardaroba avendo dovuto spazzare la cappellina». «- Va' subito a chiedere il permesso - insiste il Signore. - Ho bisogno di vittime che mi consolino e riparino, e se non le trovo qui, dove andrò?». «Sono andata a chiedere il permesso, ma Gesù non è tornato. Anche la croce e la corona erano sparite... e non so dire tutta la mia angoscia, poiché desidero vivere solo per consolarlo; ma sono tanto debole!».

Il giorno seguente, primo venerdì del mese, 3 marzo 1922, lo trascorre addoloratissima. Durante l'intera giornata Josefa supplica Nostro Signore e soprattutto la Madonna di perdonarle, «perché - ella scrive - sanno bene che è colpa della mia debolezza più che della volontà». Maria non resiste all'ansia della sua figliuola e viene a rassicurarla mentre essa sta terminando la Via Crucis: «- Rimani in pace, figlia mia. Se lo vuoi, Gesù continuerà a consolarsi in te: lo desidera tanto! Ma non dimenticare che il tuo amore è libero». Allora essa prosegue la confessione di quella colpa che chiamerà sempre la più grande della sua vita. Quella sera stessa, al principio della notte, Gesù comparve. Era bellissimo come sempre, ma con una certa espressione di tristezza negli occhi. «- Ti riporto la mia croce e la mia corona, Josefa. Riposami: tante anime mi offendono... tante si perdono... queste anime che amo tanto!». E siccome essa implora perdono e si offre ad assecondare i suoi desideri: «- Sì! - le dice - non rifiutarmi mai la conso­lazione che aspetto da te. Ho molte anime che mi amano e mi consolano, è vero: ma nessuna può occupare il posto che ti ho riservato, poiché su di te ho fissato in maniera speciale il mio sguardo». A queste parole Josefa, che conserva in fondo all'anima il timore invincibile di tale straordinaria predilezione, sente in­sorgere in lei, come una forte ondata, l'opposizione che riesce a dominare con tanta difficoltà. Quest'istante in cui indietreggia, lo chiamerà poi «la sua ingratitudine». Gesù, che vede il fondo delle anime, scorge in quella di Josefa questo timore che ella non riuscirà mai a vincere interamente. «- Se tu misurassi le offese che ricevo, non rifiu­teresti la mia croce - le dice. - Sai quale è questa croce?... E la libertà che devi darmi di prenderti quando ho bisogno di te, senza riguardo all'occupazione, al luogo, all'ora: bastandoti sapere che ti chiedo di consolarmi. Se sono con te, che importa che tutti ti vadano contro?». «A questo punto - scrive lealmente Josefa - dirò per mia maggior confusione che l'ho supplicato di lasciarmi fuori da questa via straordinaria; Mi ha guardato tri­stemente e mi ha detto: «- Non posso abbandonarti, perché il mio Amore per te è senza misura. Ma poiché tu vuoi così, sia fatto come desideri. La ferita del mio Cuore nessuno, invece di te, la potrà chiudere...». Ha preso la croce e la corona ed è scomparso.

 

Le discese all’inferno

La domenica 12 marzo 1922 scrive alla sua Superiora, lontana per qualche giorno dai Feuillants per un viaggio verso Roma. «Madre mia, se sapesse con quanta pena vengo a lei! Dal 2 marzo non ho più nessuno dei miei gioielli (così chiama la corona di spine e la croce di N. Signore) perché un'altra volta ho ferito Gesù, tanto buono per me. Tut­tavia spero che anch'Egli un'altra volta avrà compassione di me: ma intanto ora la pago ben cara perché dalla notte del primo venerdì la più grande sofferenza ha sostituito il demonio, dopo avermi battuta, è scomparso e mi ha lasciata libera... Non posso esprimere ciò che ho provato nell 'anima mia quando mi sono accorta di essere viva e di poter ancora amare Dio! «Per evitare quest'inferno, quantunque abbia una gran paura di soffrire, non so che cosa sarei pronta a sop­portare! Vedo chiaramente che tutti i patimenti terreni sono un nulla a paragone del dolore di non poter più amare, poiché laggiù non si respira che odio e sete della perdita delle anime». …

«Domenica 19 marzo 1922, terza domenica di Qua­resima. Sono nuovamente discesa in quell'abisso e mi è sembrato dimorarvi lunghi anni. Vi ho molto sofferto, ma il maggior tormento è di credermi per sempre incapace di amare N. Signore. Cosicché quando ritorno alla vita sono pazza di gioia. Mi pare di amarLo come mai L'ho amato e di essere pronta a provarglieLo con tutte le sofferenze che Egli vorrà. Mi sembra soprattutto di stimare ed amare pazzamente la mia vocazione». E, un po' più sotto aggiunge: «Quello che vedo laggiù mi dà un gran coraggio per soffrire. Comprendo il valore dei minimi sacrifici. Gesù li raccoglie e se ne serve per salvare anime. Accecamento grande è quello di evitare la sofferenza, anche nelle cose più piccole, poiché, oltre ad essere molto preziosa per noi, serve a preservare molte anime da così grandi tormenti». Josefa ha tentato, per obbedienza, di narrare qualche cosa di quelle discese all'inferno, così frequenti in quel periodo. Tutto non può essere raccontato qui, ma qualche altra pagina servirà d'insegnamento prezioso. Esse inciteranno le anime a consacrarsi ed a sacrificarsi per la salvezza di quelle che ogni giorno e ad ogni ora sono sull'orlo dell'abisso. «Quando arrivo in quel luogo - scrive domenica 26 marzo 1922 - odo grida di rabbia e di gioia satanica perché un'anima di più viene a sprofondarsi tra i tormenti... In quel momento non ho più coscienza di essere scesa altre volte nell'inferno: mi sembra sempre che sia la prima volta e mi sembra di esservi per l'eternità, ciò che mi fa tanto soffrire, poiché ricordo che conoscevo ed amavo Nostro Signore... che ero religiosa... che Dio mi aveva fatto grandi grazie e dato numerosi mezzi per salvarmi. Che cosa ho dunque fatto per perdere tanti beni?... Perché sono stata così cieca?... Ed ora non c’è più rimedio... Mi ricordo pure delle mie comunioni, del mio noviziato. Ma ciò che mi tormenta di più è il ricordo che amavo tanto il Cuore di Gesù! Lo conoscevo ed era tutto il mio tesoro... Non vivevo che per Lui... Come vivere ora senza di Lui?... senza amarLo?... circondata da tante bestemmie e da tanto odio? «L'anima mia rimane oppressa e schiantata a tal segno da non potersi esprimere perché è indicibile». Spesso anche assiste agli sforzi accaniti del demonio e dei suoi satelliti per strappare alla misericordia divina qualche anima che Dio è sul punto di conquistare. Si direbbe che, nei disegni di Dio, le sue sofferenze siano il riscatto di quelle povere anime, che le dovranno la grazia vittoriosa dell'ultimo istante. «Il demonio - scrive giovedì 30 marzo 1922 -   è più furioso che mai perché vuole perdere tre anime. Ha gridato rabbiosamente agli altri: «- Che non sfuggano!... se ne vanno... su! su! tenete fermo!». «Udivo grida di rabbia che rispondevano di lontano». Per due o tre giorni consecutivi Josefa fu testimone di questa lotta. «Ho supplicato Nostro Signore di fare di me tutto ciò che vorrà perché quelle anime non vadano perdute -scrive di ritorno dall'abisso sabato 10 aprile 1922. - Mi sono rivolta anche verso la Madonna che m'infonde una gran pace, perché mi sento disposta a soffrire qualsiasi cosa per salvarle. Credo che Ella non permettera al demonio di riportare vittoria».

Il 2 aprile 1922, domenica di Passione, scrive nuovamente: «Il demonio gridava: «- Non lasciatele andare... State attenti a tutto quello che può turbarle... che non sfuggano!.. fate in modo che si disperino...» «Era una confusione orribile di grida e di bestemmie. Improvvisamente, emettendo urla di rabbia, gridò: «- Poco importa! Me ne restano ancora due! Togliete loro la fiducia!». «Compresi che una di quelle anime gli era sfuggita per sempre!». «- Presto, presto! - ruggiva; - che le altre due non vi sfuggano! Afferratele... che si disperino! Presto... ci scappano!». «Allora nell'inferno si udì un digrignare di denti e con un furore indescrivibile il demonio ruggì: «- Oh, potenza... potenza di questò Dio!... che ha più forza di me... Me ne resta una; e quella non me la lascerò scappare!...». «L'inferno non fu più che un grido solo di bestemmia, confusione di gemiti e di lamenti. Compresi che quelle anime si erano salvate! Il mio cuore ne fu pieno di gioia, benché nell'impossibilità di fare un solo atto di amore... Tuttavia non provo quell'odio verso Dio che hanno le anime infelici che mi circondano, e quando le odo be­stemmiare e maledire, ne sento un tale dolore che sop­porterei qualsiasi patimento perché Dio non sia così offeso e oltraggiato. Soltanto ho paura di diventare anch'io, col tempo, come quegli altri. Ciò mi tortura, perché ricordo quanto L'ho amato e quanto era buono verso di me! «Ho molto sofferto - continua - specialmente in questi ultimi giorni. Sentivo come un rivolo di fuoco passarmi dalla gola e attraversarmi tutto il corpo, mentre avevo la persona stretta tra assi infuocate, come ho già detto altra volta. Mi sembra allora sentirmi uscire gli occhi dall'orbita come se fossero strappati, i nervi stirati; il corpo piegato in due non può muoversi e un odore fetido invade tutto 1~~ E tuttavia questo è nulla in pa­ragone di quello che prova l'anima che conoscendo la bontà di Dio si trova obbligata ad odiarlo, sofferenza tanto più grande se essa lo ha molto amato».

NOTA: Questo intollerabile odore avvolgeva Josefa al termine di queste discese all'inferno, come pure nei rapimenti e nelle persecuzioni dia­boliche: odore di zolfo e di carne putrida e bruciata, che restava percepibile attorno a lei, dicono i testimoni, per lo spazio di un quarto d'ora o mezz 'ora: essa però ne serbava molto più lunga.

 

Il Purgatoprio

Quaresima 1922, mentre giorno e notte porta il peso di tali persecuzioni, Dio la mette in contatto con un altro abisso di dolore, quello de purgatorio.

«L'importante non è l'ingresso in religione, ma l'ingresso nell'eternità!». «- Se le anime religiose sapessero come bisogna scontare qui le piccole carezze prodigate alla natura...», diceva un'altra chiedendo preghiere. «- Il mio esilio è terminato, ora salgo all'eterna patria». Un sacerdote diceva: «Quanto infinita è la bontà e la misericordia divina che degna servirsi delle sofferenze e dei sacrifici di altre anime per riparare le nostre grandi infedeltà. Quale alto grado di gloria avrei potuto conquistare se la mia vita fosse stata diversa!». Un'anima religiosa, entrando in cielo, confidava ancora a Josefa: «- Come si vedono diversamente le cose terrene, quando si passa all'eternità! Le cariche non sono niente agli occhi di Dio: solo conta la purità d'intenzione con cui vengono adempiute, anche nelle più piccole azioni. La terra e tutto ciò che contiene sono poca cosa... tuttavia quanto è amata!... Ah, la vita, per lunga che sia, è nulla in paragone dell'eternità! Se si sapesse ciò che è un istante solo passato in purgatorio e come l'anima si strugge e si consuma per il desiderio di vedere Nostro Signore!». Anche altre anime, sfuggite per misericordia divina all'estremo pericolo, venivano a supplicare Josefa di affrettare la loro li­berazione. «Sono qui per l'infinita bontà di Dio, - diceva una di esse - perché un orgoglio eccessivo mi aveva portata sull'orlo dell'inferno. Tenevo sotto i piedi molte persone: ora mi precipiterei ai piedi dell'ultimo dei poveri! «Abbi compassione di me, fa' degli atti d'umiltà per riparare il mio orgoglio. Così potrai liberarmi da questo abisso. «- Ho passato sette anni in peccato mortale - confessava un'altra - e sono stata tre anni ammalata. Ho sempre rifiutato di confessarmi. Mi ero preparato l'inferno e ci sarei caduta se le tue sofferenze di oggi non mi avessero ottenuto la forza di rientrare in grazia. Sono ora in purgatorio e ti supplico, poiché hai potuto salvarmi: liberami da questa prigione tanto triste!» «- Sono in purgatorio per la mia infedeltà non avendo voluto corrispondere alla chiamata di Dio, veniva a dirle un'altra anima. - Dodici anni ho resistito alla vocazione e ho vissuto in gran pericolo di perdermi, perché per soffocare il rimorso mi ero data in braccio al peccato. Grazie alla bontà divina che si è degnata di servirsi delle tue sofferenze ho avuto il coraggio di tornare a Dio... e ora fammi la carità di liberarmi di qui!». «- Offri per noi il sangue di Gesù - diceva un'altra nel momento di lasciare il purgatorio. Che sarebbe di noi se non ci fosse nessuno per sollevarci?». I nomi delle sante visitatrici, sconosciuti a Josefa, ma accuratamente annotati, con la data e il luogo della morte, furono a sua insaputa controllati minuziosamente più di una volta.

La sera del giovedì santo, 13 aprile 1922, Josefa scriveva: «Verso le tre e mezzo mi trovavo in cappella quando davanti a me vidi qualcuno vestito come Nostro Signore, ma un poco più alto di statura, molto bello, con un'e­spressione di pace nella fisionomia che attraeva. Indossava una tunica di colore rosso violaceo scuro. In mano aveva una corona di spine simile a quella che Gesù mi portava nel passato». «- Sono il Discepolo del Signore - disse. - Sono Giovanni l'Evangelista e ti porto uno dei gioielli più preziosi del divino Maestro». «Mi diede la corona ed egli stesso me la posò sul capo».  Josefa lì per lì fu turbata da questa apparizione inaspettata, ma a poco a poco si rassicurò sentendosi pervasa da una dolce pace. Si fece ardita e osò confidare al celeste visitatore l'angoscia che l'opprimeva per tutto ciò che il demonio le faceva soffrire. «- Non temere. L'anima tua è un giglio che Gesù custodisce nel suo Cuore», le risponde l'Apostolo vergine. Poi continua: «Sono stato mandato per rivelarti qualcuno dei sen­timenti che traboccavano dal Cuore del Maestro in questo gran giorno. «L'amore stava per separano dai suoi discepoli dopo di averlo battezzato con un battesimo di sangue. Ma l'amore lo spingeva a rimanere con essi e l'amore gli fece inventare il sacramento dell'Eucaristia. «Quale lotta sorse allora nel suo Cuore!! Come si sarebbe riposato nelle anime pure! Ma quanto la sua passione si sarebbe prolungata nei cuori contaminati! «L'anima sua esultava all'avvicinarsi del momento in cui sarebbe ritornato al Padre, ma come fu stritolata dal dolore vedendo uno dei Dodici, scelto da lui, tradirlo a morte e, per la prima volta, rendere inutile il suo sangue per la salvezza di un'anima! «Il suo Cuore si consumava di amore, ma la poca corrispondenza delle anime da Lui tanto amate immergeva questo stesso amore nella più profonda amarezza... E che dire dell'ingratitudine e della freddezza di tante anime consacrate?» «Così dicendo, disparve in un lampo».

 

Le bruciature

Il sabato Santo, 15 aprile 1922, verso le quattro del pomeriggio, dopo aver trascorso i due giorni precedenti in dolorosi com­battimenti, ode, mentre è occupata nel cucire, i rumori che preannunziano l'inferno. Sostenuta dall'obbedienza resiste con la più grande energia per sottrarsi al demonio che si avvicina e infine l'atterra. Allora, come sempre, il suo corpo sembra restare inanimato. Inginocchiate vicino a lei, le Madri pregano chiedendo al Signore di non lasciare incertezze sul mistero che si svolge sotto i loro occhi. Improvvisamente, al lieve sussulto abituale, si accorgono che Josefa sta per riprendere vita. Il suo viso disfatto lascia intuire ciò che ha visto e sofferto. Ad un tratto, portando vivacemente la mano al petto grida: «Chi mi brucia?». Ma non vi è nessun fuoco lì. L'abito religioso è in­tatto. Si spoglia rapidamente; un odore di fumo acre e fetido si diffonde nella cella e si vede bruciarle addosso la camicia e la maglia! Una larga ustione resta «vicino al cuore», come dice lei, attestando la realtà di quel primo attentato di Satana. Josefa ne è sconvolta: «Preferisco partire - scrive nel primo momento - che essere più a lungo lo zimbello del demonio!». La fedeltà divina nel manifestare tangibilmente la potenza diabolica sarà di conforto nei mesi seguenti. Dieci volte Josefa sarà bruciata: questo fuoco lascerà tracce non solo sugli abiti, ma ancor più sulle sue membra. Piaghe vive, lente a chiudersi, imprimeranno sul suo corpo cicatrici che ella porterà con sé nella tomba. Vari oggetti di biancheria bruciati si conservano ancora e attestano la realtà della rabbia infernale e il coraggio eroico che sostenne quegli assalti per rimanere fedele all'opera di Amore.

16 aprile 1922, Pasqua. Fin dal mattino, durante la santa Messa, Josefa lo vede apparire, per la prima volta dopo il 3 marzo. «Era splendente di bellezza e di luce - scrive - ma Gli dissi subito che non avevo il permesso di parlarGli». «- Non hai il permesso, Josefa? - rispose con bontà. - E per guardarmi?...». «Non sapevo che dire... e continuò: «- Guardami e lascia che ti guardi. Questo ci ba­sta». «Lo guardai ed Egli fissò i suoi occhi su di me con tale amore che non so ciò che avvenne nell'anima mia. Dopo un istante mi disse: «- Quando la Madre ti chiamerà, tu chiedile il permesso di parlarmi». «E disparve». L'obbediente figliuola, sebbene incontri pochi istanti dopo la sua Superiora, aspetta secondo il comando di Nostro Signore di essere chiamata. «Verso le undici e mezzo - continua - la Madre mi chiamò ed ebbi il permesso. Andai in cappella e Gesù venne subito». «- Eccomi, Josefa!... Perché volevi che Io tornassi, almeno per una sola volta?». «Oh, Signore! per chiederti perdono perché ne ho bisogno. Allora gli ho raccontato tutte le mie debolezze, le mie miserie, ed Egli, con un amore inesprimibile, mi ha risposto: «Colui che non ha avuto mai bisogno di perdono non è il più felice, ma piuttosto chi molte volte ha do­vuto umiliarsi». … Gli espone anche la sua in­quietudine perché dubita che sia stato proprio Lui ad inviarle la corona di giovedì scorso per riprendergliela subito dopo. Gesù la rassicura: «Sì, sono stato io che ti ho affidato quel prezioso tesoro del mio Cuore. Ma per te, Josefa, era troppa consolazione e tu mi hai consolato assai più accettando questa incertezza che portando sul capo la mia corona». «Allora Gli ho parlato della bruciatura di sabato scorso e gli ho detto che ero rimasta molto sconvolta per essermi sentita lo zimbello del demonio. Egli con forza ha risposto: «Dov'è la tua fede? Se permetto che tu sia lo zimbello del demonio, sappi che lo faccio per dare una prova irrefutabile dei disegni del mio Cuore sopra di te».

Ella scrive il lunedì 17 aprile 1922: «Oggi il Vangelo era quello dell'apparizione ai discepoli d'Emmaus. Mentre io Gli dicevo: «Signore, resta con me, perché si fa tardi», mi è apparso ad un tratto bellissimo, e mi ha detto: «Sì, resterò con te. Sarò la luce dell'anima tua. Hai ragione: si fa tardi... Dimmi, che faresti senza di me?...».

Il venerdì, 21 aprile 1922, dopo una notte in cui il ritorno del demonio e dei tormenti dell'inferno hanno sconcertato la sua speranza di trovarsi finalmente libera, scrive così: «Questa mattina durante la Messa Nostro Signore è venuto. Siccome avevo creduto che tutti quei supplizi fossero ormai finiti, lo supplicai di lasciarmi libera per poter lavorare un poco. Gesù risponde con autorità: «- Ascolta, Josefa. Ti ho già detto che voglio servirmi di te come di uno strumento della mia misericordia per le anime. Ma se tu non ti abbandoni interamente alla mia volontà, che vuoi ch'Io faccia? Ci sono tante anime bisognose del mio perdono! Il mio Cuore vuole servirsi di vittime che l'aiutino a riparare gli oltraggi del mondo e a diffondere la sua misericordia. Che t'importa il resto se Io ti sostengo? Io non ti abbandono mai: che vuoi di più?».

«E venuto durante la Messa, così bello!...    scrive il sabato 22 aprile 1922. - Ho rinnovato i miei voti, e mi sembra che ciò Gli piaccia, poiché il suo Cuore fiam­meggiava con ardore».  Ella Gli esprime le sue ansie per quelle anime dell'al di là che vengono ad implorare da lei preghiere e sacrifici. Nostro Signore la rassicura con la sua abituale bontà, facendole in­travedere le grazie di salvezza acquistate con tanti dolori. «- Ti faccio sapere tutte queste cose - Egli dice - affinché tu non indietreggi davanti ad alcun sacrificio e ad alcuna sofferenza. Non dubitare mai: quando tu soffri di più mi consoli maggiormente, ed è quando meno te ne rendi conto che tu riesci ad avvicinare un maggior numero di anime al mio Cuore». E siccome ella confida al divino Maestro l'esaurimento fisico a cui l'han ridotta le terribili settimane trascorse: «- Non ho bisogno delle tue forze, ma del tuo abbandono. - La vera forza è quella del mio Cuore. Rimani in pace e non dimenticare che la misericordia e l'amore agiscono in te».

«Da vari giorni - scrive il lunedì 24 aprile 1922 - il demonio mi trascina nell'inferno, alla stessa ora, e là mi tiene press'a poco il medesimo tempo ogni volta. Ciò mi turba e mi chiedo se ne sono in qualche modo responsabile». Infatti questa è la prima cosa che espone a Nostro Signore quando le appare quella stessa mattina dopo la Comunione: «- Non turbarti - le risponde. - C'è un'anima che dobbiamo strappare al demonio e questa è l'ora del pericolo. Ma con la sofferenza la salveremo. Sono tante le anime in pericolo di perdersi... Ma ce ne sono anche tante che mi consolano e tante che ritornano al mio Cuore!» «Allora gli ho chiesto che cosa avremmo potuto fare per la conversione di un peccatore che è stato racco­mandato alle nostre preghiere e che dà molto scandalo». «- Bisogna mettere il mio Cuore tra questo pec­catore e il mio eterno Padre, Josefa. Il mio Cuore mi­tigherà la sua collera e inclinerà verso quell'anima la divina clemenza. Addio: consolami col tuo amore e col tuo abbandono».

Il martedì 2 maggio 1922, verso le dieci della mattina, mentre sta spazzando la cappella delle Opere, Gesù improvvisamente le appare nella sua luminosa bellezza. «Era in piedi in mezzo ai banchi», scrive. «- Josefa, vuoi che venga con te?... non t'impedirò di lavorare...». «Rinnovai i miei voti e Gli dissi che dovevo prima chiedere il permesso». «- Sì, vai!». «Disparve, e corsi subito a dirlo alla Madre. Quando tornai in cappella, Lo vidi dalla porta aperta: era sempre allo stesso posto come se mi aspettasse... talmente pieno di tenerezza che non so ridire... Una tenerezza di Padre che non si può esprimere...». «- Desidero tanto venire a te, Josefa... e tu vorresti ricusarmi l'entrata?...». Questa domanda è come un dardo che le trapassa il cuore. Ella gli espone la sua debolezza di fronte al demonio che si accanisce per impedirle di fare la Comunione. «Ma non sai che può tormentarti, ma non può nuocerti? Chi dunque fra lui e me è più potente?».

Il mercoledì 3 maggio 1922, dopo la Comunione, Gesù appare improvvisamente. «- Josefa!». «Gli chiesi il permesso di rinnovare i miei voti e poi, come sempre quando lo vedo, sentii il bisogno di dirGli tutte le mie debolezze». «- Non puoi sapere - rispose   quanto il mio Cuore si compiace di perdonare quelle colpe che non sono altro che fragilità. Non ti preoccupare. Appunto perché sei così debole ho fissato gli occhi su di te». Egli è così buono, così condiscendente, che Josefa osa esporGli il suo ardente desiderio: vorrebbe tanto, malgrado tutte le prove delle sue giornate, seguire gli esercizi comuni. «- Lasciami disporre di te secondo la mia volontà - risponde il Signore. - A chi credi che la vita comune piaccia di più? A te o a me?...».

«Nel pomeriggio, all'adorazione e mentre veniva cantato O Crux Ave! essendo la festa dell'Invenzione della Santa Croce, fui presa da un ardente desiderio di baciare le piaghe di Gesù. Baciai il mio Crocifisso e chiesi alla Madonna di farlo per me. «Ella venne ad un tratto, con le mani incrociate sul petto, e dolcemente mi disse: «- Che vuoi, figlia mia, che vuoi?». «Oh! Madre mia, baciare i piedi e le mani di Gesù e, se tu me lo permetti - continua esitando un poco - baciare anche la tua mano». «E porgendomi la mano aggiunse: «- Vorresti baciare le piaghe di Gesù?...». «Non mi lasciò neppure il tempo di rispondere... Gesù era già lì, bellissimo, con le piaghe fiammeggianti». «- Che vuoi, Josefa?». «Baciare le tue piaghe, Signore». «- Baciale!». Egli stesso le mostrò i piedi, quindi le mani e infine il suo Cuore: «- Questa piaga è tua, ti appartiene. Vedi che non ti rifiuto niente. E tu mi rifiuteresti qualcosa?...». … «- Sì, il mio cuore ti ama e si compiace della tua miseria. Sai che cosa puoi fare per consolarmi?... Amarmi e soffrire per le anime senza rifiutarmi nulla».

«Gli avevo detto quanto desiderio avevo di riceverLo - scrive il giovedì 11 maggio 1922 - perché ho fame di Lui, e quanto più mi sento miserabile, tanto più Lo supplico di recarmi Lui stesso il rimedio per tanta miseria. Lo vidi dopo la Comunione con le braccia tese. «- Desidero imprigionarti tutta nel mio Cuore - le disse - poiché il mio Amore per te è infinito. E nonostante le tue colpe e le tue miserie mi servirò di te per far conoscere a molte anime il mio Amore e la mia miseri­cordia. Ce ne sono tante che ignorano la bontà del mio Cuore! ed è il mio unico desiderio che queste anime si gettino e si perdano nell'abisso senza fondo del mio Cuore». «- Quando sentirai la tua debolezza e la paura ti invaderà, vieni qui a cercare la forza! Addio».

Il venerdì 19 maggio 1922 l'esame canonico richiesto per l'am­missione ai voti religiosi trascorre nella pace di una mattinata in cui il demonio non compare. Josefa prova l'intima gioia di aver potuto affermare la sua volontà di seguire Nostro Signore e di esserGli fedele fino alla morte.

Il foglio di am­missione porta la data: Roma, 5 giugno. Questa coincidenza la riempie di ammirazione, poiché proprio il 5 giugno, due anni prima, Gesù le aveva mostrato per la prima volta il suo Cuore.

La sera di quel primo venerdì e il sabato 8 luglio 1922 segnarono il punto culminante degli sforzi diabolici. Sono le cinque del pomeriggio; Josefa è seduta nella piccola cella ove ha trascorso le ore terribili di quella giornata e appare sfinita. Sembra non udire le Ave Maria che sommessamente si moltiplicano vicino a lei, per ricordare alla Madonna il potere dei suoi dolori e supplicarla di accorrere in aiuto della sua figliuola. Ad un tratto il viso contratto si distende, le labbra si aprono e a poco a poco mormorano la stessa preghiera. Allora nella tranquillità che va riacquistando, le Madri cercano di rileggerle alcune delle parole della Madonna che Josefa ha conservato nei suoi appunti. Quando si giunge a queste: «- Figlia mia, non è vero che non abbandonerai mai mio Figlio?». «No, Madre mia, mai!». Così dicendo si precipita in ginocchio col volto illuminato. Davanti a lei, ormai libera, sta la Madonna Immacolata!... In un trasporto d'amore ben difficile a descrivere ripete con ardore: «No, Madre mia, mai!».

16 luglio 1922 Josefa prende i voti. «Prendete Gesù Cristo per vostro sposo li­beramente e con tutto il cuore?», l'anima sua vibra tutta nella risposta: «Sì, Padre, con tutto il cuore!». Riceve la croce sulla quale è confitto Colui che ormai deve essere il suo modello e l'unico oggetto del suo amore, e il velo nero di cui si dice: «Ricevi il giogo del Signore, poiché dolce è il suo giogo e leggero il suo peso». Incomincia poi la santa Messa e al momento solenne della Comunione, sola alla sacra mensa, mentre il Sacerdote tiene elevata davanti a lei l'Ostia Santa, Josefa pronunzia lentamente, in tutta la pienezza della sua volontà e del suo amore, i voti che la uniscono per sempre al Sacro Cuore di Gesù... «Dopo l'esortazione - scrive, - sono avanzata verso l'altare per ricevere il Crocifisso dei voti e il velo nero. Allora improvvisamente ho visto la Madonna, bellissima, tutta vestita di luce. Teneva tra le mani un velo e quando ritornai all'inginocchiatoio Ella lo posò sul mio capo. Intorno a Lei vidi apparire come a farle corona molte testoline risplendenti. Si sarebbero detti visetti di bimbi, con gli occhi e il volto illuminati di gioia. Con dolcezza incomparabile Ella mi disse: «Figlia carissima, mentre tu soffrivi queste anime tessevano per te questo velo! Tutte quelle che desideravi hanno lasciato il purgatorio e sono ora in cielo per l'e­ternità! Là esse ti proteggono». … «Quindi giunse il momento di leggere, e con quanta gioia e con quanta emozione, la formula dei voti. Poi feci la Comunione. Allora vidi Gesù, così bello! Aveva il Cuore infiammato e la ferita tutta aperta; ne usciva come una forza che mi attirò, mi fece entrare fino in fondo e mi trovai perduta in quel Cuore. «- Ora sono contento - disse - perché ti tengo prigioniera nel mio Cuore. Da tutta l'eternità sono tuo: ora tu sei mia per sempre! Tu lavorerai per me, Io la­vorerò per te. I tuoi interessi sono i miei, i miei sono i tuoi. Vedi come ti sono stato fedele! «Ed ora sto per cominciare l'opera mia». «Quindi scomparve».

Martedi 18 luglio 1922 Nel momento in cui entra nell'oratorio di S. Maddalena Sofia, improvvisamente Nostro Signore le appare: «- Josefa, mia sposa, non temere! Io sono tanto contento come se tu stessi con me. Vedimi in loro, e vivi in pace!».

«Il sabato 22 luglio 1922, al principio della Messa, Egli è venuto bellissimo - scrive. - Con una mano sosteneva il suo Cuore, con l'altra mi faceva cenno di avvicinarmi». «- Ecco la prigione che ti ho preparata da tutta l'eternità, - disse. - Nel mio Cuore vivrai inabissata e nascosta per sempre!». «Dopo la Comunione aggiunge: «- Josefa, mia sposa, lascia che mi dilati in te. La mia grandezza farà sparire la tua piccolezza. Ormai la­voreremo sempre uniti. Io vivrò in te e tu vivrai per le anime». E siccome gli ricorda quanto è debole... «- Lasciati condurre!... Il mio Cuore farà tutto, la mia misericordia agirà e il mio amore annienterà tutto il tuo essere».

«Ieri - scrive ancora, - la Madonna è venuta nella mattinata». Questa Madre veglia infatti quasi temesse che la figlia possa dimenticare i pericoli sempre nascosti sul suo cammino. «- Sta' in pace, figlia mia - disse. - Non riser­varti nulla e non occuparti che del momento presente. Gesù condurrà te e le tue Superiore. Non separarti mai da loro, conservati fedele e sottomessa al volere di mio Figlio, soprattutto nelle ore difficili». Quindi dopo qualche raccomandazione aggiunge: «- Il mio divin Figliuolo vuol servirsi di questo piccolo strumento per la sua gloria e ciò malgrado tutti gli sforzi del nemico».

«Il mercoledì 26 luglio 1922, confidavo alla Madonna questa mia grande pena - scrive. - La pregavo di chiedere perdono a Gesù, di ripeterGli la mia felicità di appar­tenerGli e che il mio unico desiderio è di amarLo! Ma che si degni considerare la piccolezza mia!... Le parlavo così a cuore aperto, quando Gesù comparve improvvi­samente, mi si accostò e disse: «- Non temere! Sono il tuo Salvatore e il tuo Sposo! Oh, quanto le anime poco comprendono queste due parole! Ecco l'opera che voglio compiere per tuo mezzo: il desiderio più ardente del mio Cuore è la sal­vezza delle anime, e voglio che le mie spose, specialmente quelle del mio Cuore, sappiano bene con quanta facilità possono darmi anime. Farò loro conoscere per tuo mezzo il tesoro che così spesso disperdono perché non appro­fondiscono bene queste due parole: Salvatore, Sposo».

Il giorno dopo, giovedi 27 luglio 1922, la Madonna le si manifesta durante la preghiera della sera: «- Figlia mia cara, non affliggerti per le tue mancanze. Cadrai ancora più di una volta ma l'amore ti rialzerà sempre, poiché sei sostenuta da uno sposo che ti ama e che è il tuo Dio».

Dopo alcuni giorni, la sera della domenica 30 luglio 1922, Maria annuncia alla sua figliuola la croce di Gesù: «- Questa notte Egli ti porterà la croce!». «E, appoggiandomi la mano sulla spalla - scrive Josefa, - aggiunse: «- Non considerare la tua piccolezza: pensa al te­soro che ti appartiene; poiché se sei tutta sua, Egli è tutto tuo!». Poche ore dopo, nella notte, Gesù, circonfuso di luce ra­diosa, le porta quella croce che da parecchio tempo non le aveva più dato. «Josefa, mia sposa, vuoi condividere la croce del tuo sposo?». «E posandola sulla mia spalla destra: «- Ricevila con gioia e portala con amore, poiché è per le anime che amo tanto! Non ti sembra meno pesante ora che nel passato?... Adesso siamo uniti per l'eternità, e niente può più separarci!».

«Nella notte tra il sabato 5 e la domenica 6 agosto 1922 -scrive, - mi ero già addormentata quando la sua voce mi ha svegliata: «- Josefa, sposa mia». «Era lì, tanto bello, in piedi con la croce, tutto cir­confuso di luce! Subito mi sono alzata». «- Vengo a portarti la mia croce». «La depose sulla mia spalla: Gli dissi la mia gioia e il mio desiderio di darGli sollievo, malgrado la mia piccolezza». «- Te la porto di notte perché durante il giorno la do alle mie spose». Allora Josefa gli parla subito delle anime e soprattutto dei peccatori, suo pensiero dominante: «Sì: molte anime mi offendono, molte si perdono; - risponde con tristezza - ma quelle che feriscono più il mio Cuore sono anime che amo tanto e che tuttavia si riserbano sempre qualche cosa e non si danno inte­ramente a me. Eppure, non do loro prove sufficienti di amore?... non do loro tutto il mio Cuore?». «Gli ho chiesto perdono per quelle anime e per me, che tanto spesso mi riservo qualcosa: - prosegue umilmente - l'ho supplicato di ricevere in riparazione gli atti e l'amore di quelle anime che desiderano consolarLo, ed Egli con bontà mi ha risposto: «- Questo è ciò che voglio: riparare le miserie delle une con gli atti delle altre».

Domenica 6 agosto 1922 «Dopo la Comunione, Gesù è venuto bellissimo. Il suo Cuore era dilatato e la ferita largamente aperta. Mi guardò dapprima, poi con una grande compassione mi disse: «Miseria, nulla: questo è il tuo nome. Piccola vuol dire ancora qualche cosa, ma tu, Josefa, sei niente!». «Diceva queste parole con tanto amore che l'anima mia si aprì alla fiducia e: «Sì, è vero, o Signore, sono niente e vorrei essere ancora meno, perché il niente non ti resiste né ti offende, giacché non esiste, ed io, ti resisto... ti offendo!...». «Durante la seconda Messa è ritornato e accostandomi al suo Cuore ha proseguito: «- Sei proprio convinta del tuo nulla?... Ormai le parole che ti dico non si cancelleranno mai più!». «Ho risposto quanto abbia paura che Egli voglia mettere nelle mie mani l'Opera d'amore, perché sono capace di guastar tutto, malgrado i miei buoni desideri. Dal suo Cuore scaturì allora una fiamma che m'infuocò». «- Incomincia l'Opera mia aggrappata alla mano di mia Madre! Non basta ciò per darti coraggio?». Il cuore di Josefa sussultò di gioia a questa domanda. «Sì, o Signore, - risponde con slancio - un gran coraggio e una grande fiducia! Dimmi ciò che potrei fare per ottenere da questa Madre cara che non mi lasci mai tradire l'Opera tua, che mi conservi sempre fedele ai tuoi disegni, che mi protegga e che il tuo Cuore mi sostenga perché è il mio unico desiderio!». Allora, dopo un istante di silenzio, Gesù risponde come se si raccogliesse prima di pronunziare parole di somma impor­tanza: «- Poiché il mio Cuore vuole servirsi di vili strumenti per compiere la più grande Opera del suo amore, ecco ciò che farai in preparazione ad essa, durante i giorni che precedono l'Assunzione di mia Madre: «Approfondirai bene il nulla dei miei strumenti. «Ti affiderai interamente alla misericordia del mio Cuore e prometterai con tutta l'anima di non resistere mai alle mie richieste per quanto possano sembrarti crocefiggenti. «Giovedì farai l'ora santa per consolare il mio Cuore delle resistenze delle anime scelte. «Venerdì ti chiedo un atto di riparazione per le offese e le pene che ricevo da queste anime». La sera mentre scrive queste righe, Josefa è colpita dal ricordo dell'accento grave e solenne con cui il Signore le ha parlato. Non osa proseguire temendo di non ricordarsi esat­tamente le sue parole e di alterare così il pensiero del Maestro. Ecco che improvvisamente le appare e: «Lui stesso - scrive, - mi ha detto così: «- Poco m'importa! Quando tu scriverai Io ti dirò tutto. Nessuna delle mie parole andrà perduta! Niente di ciò che ti dico verrà mai cancellato. Poco importa che tu sia miserabile e piccola fino a questo punto! Sarò Io che farò tutto! «Dimostrerò che l'Opera mia poggia sul niente e sulla miseria e che questo è il primo anello della catena di Amore che preparo alle anime da tutta l'eternità. Mi servirò di te per mostrare che amo la miseria, la piccolezza, il niente. «Farò conoscere alle anime fino a qual punto il mio Cuore le ama e le perdona, e come mi compiaccio delle loro stesse cadute... sì, scrivilo... me ne compiaccio! Leggo nel fondo delle anime e vedo il loro desiderio di piacermi, di consolarmi, di glorificarmi... e l'atto di umiltà che sono costrette a fare vedendosi così deboli, è proprio quello che consola e glorifica il mio Cuore. «Poco importa la loro debolezza: supplisco Io a tutto ciò che loro manca. «Farò conoscere come il mio Cuore si serve della stessa debolezza per dare vita a molte anime che l'hanno perduta. «Farò conoscere che la misura del mio amore e della mia misericordia verso le anime cadute non ha limite. Desidero perdonare, mi riposo perdonando. Sono sempre pronto, aspettando con amore che le anime vengano a me. Non si scoraggino! Vengano e si gettino nelle mie braccia! No, non temano affatto: sono il loro Padre! «Molte mie spose non comprendono abbastanza quello che possono fare per attirare al mio Cuore delle anime immerse in un abisso d'ignoranza, senza sapere quanto Io desidero avvicinarle a me per dar loro la vita... la vera vita. «Sì, t'insegnerò i miei segreti di amore, Josefa, e tu sarai un esempio vivente della mia misericordia, poiché se ho tanto amore e predilezione per te, che non sei che miseria e niente, che cosa non farò per altre anime molto più generose di te?». «Mi ha permesso di baciarGli i piedi ed è scomparso».

«Il lunedì 7 agosto 1922, dopo la Comunione - dice - Gesù è venuto bellissimo». «- Che vuoi dirmi, Josefa?». «Signore, per obbedire, rinnoverò i miei voti alla tua presenza». (Ricordiamo l'ordine che le era stato dato da parecchi mesi per evitare ogni inganno del demonio). «Mentre li rinnovavo, Egli mi guardava con tenerezza e compassione. «- Vieni: poiché sei niente, entra nel mio Cuore. E così facile al niente di perdersi in questo abisso di amore!». «Allora mi ha fatto entrare nel suo Cuore» - con­tinua Josefa, impotente ad esprimere qualcosa di quel misterioso privilegio. Allorché esce da quell'abisso imperscrutabile, Egli dice: «- In questo modo consumerò la tua piccolezza e la tua miseria. Agirò in te, parlerò per tuo mezzo, mi farò conoscere per mezzo di te. Quante anime troveranno la vita nelle mie parole! Quante riprenderanno coraggio compren­dendo il frutto dei loro sforzi! Un piccolo atto di generosità, di pazienza, di povertà... può divenire un tesoro capace di acquistare al mio Cuore un gran numero di anime... Tu, Josefa, presto sparirai, ma le mie parole rimarranno». «Allora gli ho esposto i miei timori, poiché ho sempre paura di non essere fedele. Mi ha fissato e con una bontà inesprimibile ha aggiunto: «- Non temere. Ti maneggerò come converrà meglio alla mia gloria e al bene delle anime. Abbandonati all'Amore, lasciati guidare dall'Amore, e vivi perduta nel­l'Amore!»

 

LIBRO SECONDO

IL MESSAGGIO DELL'AMORE

Preliminari

«Occorre – le aveva detto un giorno Gesù - che essendo così piccola, ti lasci condurre dalla mia mano paterna, potente e infinitamente forte (26 maggio 1923). Ti adopererò come conviene alla mia gloria e al bene delle anime (7 agosto 1922). Non temere affatto, poiché ti custodisco con cura gelosa, come la più tenera delle madri il suo bambino! (3 maggio 1922). «Il mio Cuore è vostro, prendetelo e riparate per mezzo suo» (15 ottobre 1923). «- Quante anime riprenderanno co­raggio comprendendo il frutto dei loro sforzi (7 agosto 1922) e quanto grande sia il valore di una giornata di vita divina!» (2 dicembre 1922). «Il mio Cuore è vostro, prendetelo e riparate per mezzo suo» (15 ottobre 1923). «Padre buono, Padre santo, Padre misericordioso! Ricevi il sangue del Tuo Figlio... le sue Piaghe... il suo Cuore! Guarda il suo capo trafitto di spine... non permettere che quel sangue sia una volta di più inutile... (26 settembre 1922). Non di­menticare che ancora non è giunto il tempo della giustizia, ma quello della misericordia!» (11 febbraio 1922). «Non sai che cosa sia la mia Opera? Essa è opera d'amore. Voglio servirmi di te per manifestare sempre più la misericordia e l'amore del mio Cuore. Le parole e i desideri che trasmetto per tuo mezzo risveglie­ranno lo zelo di molte anime e impediranno la perdita di molte altre, e sempre più si verrà a conoscere che la misericordia del mio Cuore è inesauribile» (22 novembre 1922). «Di tempo in tempo   dirà un'altra volta    ho sete di fare udire un nuovo invito d'amore. (29 agosto 1922) E’ vero che non ho alcun bisogno di te... ma lascia che ti chieda amore, e che per mezzo tuo Mi manifesti una volta di più alle anime» (15 dicembre 1922). «Allorché le anime conosceranno i miei desideri non risparmieranno nulla, né fatiche, né sforzo, né sofferenza!» (5 dicembre 1923).

 

VII

LA PREFAZIONE AL MESSAGGIO

Martedì 15 agosto 1922 «Mia diletta, Io sono il sole che ti scopre la tua miseria. Più la vedi grande e più devono crescere la tua tenerezza e il tuo amore per Me. Non temere: il fuoco del mio Cuore consuma le tue miserie. Se l'anima tua è una terra infetta incapace di fruttificare, Io sono il giardiniere che la coltiva, manderò un raggio di sole per purificarla... e la mia mano seminerà... Rimani piccola, molto piccola!... Io sono abbastanza grande; sono il tuo Dio, sono il tuo Sposo! e tu la miseria del mio Cuore!». Quel giorno anche la Madonna appare improvvisamente. «Vestita - scrive Josefa - come nel giorno dei miei voti, il capo coronato di diadema, le mani incrociate sul petto e il cuore circondato da una corona di piccole rose bianche». «- Questi fiori - disse guardando le novizie in­ginocchiate attorno alla sua statua - si cambieranno in perle assai preziose per la salvezza delle anime!». E voltandosi verso Josefa: «- Sì, le anime... ecco ciò che Gesù ama di più! Io pure le amo, perché sono il prezzo del suo sangue e quante di esse si perdono!... Figlia mia, non resistere ai suoi disegni, non rifiutargli niente! abbandonati tutta al­l'Opera del suo Cuore che non è altro che la salvezza delle anime!» Poi dopo qualche consiglio personale aggiunge: «- Non temere, figlia mia! La volontà di Gesù si adempirà! L'Opera sua si farà!».

Il sabato 19 agosto 1922, mentre lavora di cucito, Gesù appare e la chiama: «- Va' e chiedi il permesso!». Poco dopo la raggiunge nella cella ove, inginocchiata, rinnova i suoi voti. Di fronte a tanta bellezza essa non sa come esprimere il suo amore. «- Sì, ripetimi che Mi ami - risponde - Mi compiaccio nella tua miseria!». E siccome Josefa Gli espone la ripugnanza che non riesce a vincere, allorché deve manifestare alle sue Madri i desideri ch'Egli le rivela: «Ciò che t'impongo di dire per quanto ti sembri duro, Josefa, è per il bene delle anime... Non si può sapere quanto Io ami le anime!». Allora il suo Cuore si dilata e prosegue: «- Non si può sapere quanto ami questa casa... Qui ho fissato i miei occhi; qui ho trovato la miseria per farne strumento del mio Amore. Ho affidato la mia croce a questo gruppo di anime, ed esse non la portano da sole perché Io sono con loro e le aiuto. L'Amore si prova con le opere. Ho sofferto perché le amo: tocca a loro di soffrire per amor mio!».

«Comprendilo bene - le dice il lunedì 21 agosto 1922 - sono Io che conduco tutte le cose e non permetterò mai che tu sia guidata per un cammino che non sia il mio. Affidati, e non guardare che Me, la mia mano che ti conduce e la mia tenerezza che ti avvolge con amore di Padre e di Sposo».

Il giovedì 24 agosto 1922, durante la meditazione, Gesù le appare e non le dice che queste parole: «Chiedi per Me il permesso di parlarti!». Josefa chiede il permesso, ma il Maestro non torna. Ciò non la turba, perché si abbandona alla libertà di Colui che solo desidera.

Il martedì 29 agosto 1922, nella mattinata, mentre essa cuce da sola nella sala comune delle sorelle, una voce ben nota la fa trasalire: «Sono Io!». Si getta in ginocchio e Gesù è là. Si prostra, adora, e lascia traboccare il suo cuore: «Tu, mio Signore! Ti attendevo fin dall'altro giorno e cominciavo a temere di averTi cagionato dispiacere!». «- No, Josefa; Io godo quando le anime aspettano. Ce ne sono tante che non pensano a Me!». «- Va' nella tua cella: verrò anch'Io». Josefa si dirige subito nella stanzetta ove Gesù l'ha prece­duta. «Gli ho chiesto se era contento che rinnovassi i miei voti» - scrìve. « ogni volta che tu li rinnovi stringo con più forza i vincoli che ti legano a me». «- Le tue miserie, Josefa, non Mi allontaneranno mai. Sai bene che sono esse che hanno attirato i miei occhi su di te!». «- Scrivi in qual modo le mie anime faranno conoscere il mio Cuore di Padre per i peccatori». Mentre Gesù parla Josefa scrive inginocchiata al suo tavolino: «Io conosco il fondo delle anime, le loro passioni, la loro propensione per il mondo e i suoi piaceri. Da tutta l'eternità so quante anime ricolmeranno il mio Cuore di amarezza, e che per molte saranno inutili le mie sof­ferenze e il mio sangue... Tuttavia così come le amavo, le amo ancora... Non è il peccato che maggiormente fe­risce il mio Cuore... ciò che lo strazia è che, dopo averlo commesso, le anime non vengono a rifugiarsi in Me. «Sì, desidero perdonare e voglio che le mie anime scelte facciano conoscere al mondo come il mio Cuore, tra­boccante di amore e di misericordia, aspetti i peccatori!». «- So che le anime lo sanno ma di tanto in tanto ho bisogno di far udire un nuovo invito d'Amore. Ora è di te, piccola e vile creatura, che voglio servirmi. Tu non hai da fare altro che amarMi ed abbandonarti alla mia volontà. Ti terrò na­scosta nel mio Cuore e nessuno potrà scoprirti. Le mie parole saranno lette solo dopo la tua morte. «- Gettati nel mio Cuore: Io ti sostengo con immenso amore. Ti amo, non lo sai? non te ne ho date prove bastanti?». «Le ho viste (le tue mancanze) da tutta l'eternità e perciò appunto ti amo!».

Due giorni dopo, il 31 agosto 1922, Gesù: «- Voglio che tu scriva, Josefa!». «Voglio parlarti delle anime che amo tanto. Voglio che esse possano sempre trovare nelle mie parole il rimedio alla loro infermità».

«La sera del primo venerdì del mese, 1° settembre 1922 -scrive Josefa - al momento di coricarmi, mentre baciavo il mio crocifisso dei voti, Gesù è improvvisamente apparso bellissimo e mi ha parlato con grande amore delle anime, soprattutto di tre che ci ha affidate qualche giorno fa: «- Due di esse sono ancora lontane, molto lontane da Me!... Ma quella che mi cagiona strazio maggiore è la terza! La mia giustizia non può agire con altrettanto rigore verso le due prime perché Mi conoscono meno: ma questa è un'anima consacrata, un religioso, un sacerdote... un'anima che Io amo... Essa stessa scava l'abisso ove cadrà se si ostina!».

La domenica 3 settembre 1922, dopo la Comunione Josefa rivede il Maestro, splendente; Egli abbassa lo sguardo sulle religiose immerse nel ringra­ziamento della Comunione, «- Ora sono sul trono che Io stesso mi sono preparato. Le mie anime non possono capire fino a qual punto riposano il mio Cuore accogliendolo nel loro, piccolo e misero certamente, ma tutto mio!... Poco M'importano le miserie, quello che voglio è l'amore. Poco M'importano le debolezze, ciò che voglio è la fiducia. «Queste sono le anime che attirano sul mondo la misericordia e la pace: senza di esse la giustizia divina non potrebbe essere contenuta... Ci sono tanti peccati!». «Allora - dice Josefa - il suo Cuore mi sembrò oppresso e ben presto fu tutto una ferita!... Ho tentato di consolarLo; mi ha guardato tristemente e ha continuato: «- Sì: i peccati che si commettono sono innume­revoli ed innumerevoli le anime che si perdono... Ma ciò che strazia il mio Cuore riducendolo in questo stato sono le mie anime scelte... E quella che Mi offende!... Io l'amo ed essa Mi disprezza! Debbo sottometterMi fino a scendere sull'altare alla sua voce... a lasciarMi toccare dalle sue dita contaminate... e, malgrado lo stato orribile di quel cuore, penetrare in quel covo di peccati! Lascia che Mi nasconda nel cuore tuo, Josefa! «Povera anima!  Povera anima!  Se sapesse quali tormenti si prepara per l'eternità!». «L'ho supplicato di avere pietà di lei e Gli ho ricor­dato quanto il suo Cuore desideri perdonare. Gli ho offerto l'amore e i meriti della Santissima Vergine, dei Santi, di tutte le anime giuste della terra, anche le afflizioni della casa, in questo momento assai grandi!... Mi ha risposto: «La mia giustizia non agirà fin tanto che troverò delle vittime che riparino». Egli allora annunzia a Josefa che le farà sperimentare i tormenti dell'inferno riservati alle anime consacrate e infedeli. «Così ecciterò il tuo zelo e le mie anime sapranno poi le pene a cui rischiano di esporsi». «Anima che amo, perché mi disprezzi? Non è già troppo che i laici Mi offendano?... Ma tu, che Mi sei consacrata, perché Mi tratti così? Quale dolore per il mio Cuore ricevere tanti oltraggi da un'anima che ho scelto con tanto amore!».

Il lunedi 4 settembre 1922, Josefa conobbe, secondo il preavviso del Maestro, l'inesprimibile dolore dell'inferno per le anime religiose. «Non posso esprimere ciò che è stata questa sofferenza: perché se il tormento di un 'anima del mondo è terribile, tuttavia è nulla di fronte a quello di un'anima religiosa». «Hai pronunziato liberamente i voti, in piena cono­scenza di ciò che esigevano... Tu stessa ti sei legata, e l'hai voluto! e la tortura inesprimibile dell'anima è di ripetersi continuamente: "L'ho fatto ed ero libera!"...». «L'anima si ricorda continuamente di aver scelto Dio per Sposo e di averLo amato al di sopra di tutto... di aver rinunziato per Lui ai più legittimi piaceri e a tutto quello che aveva di più caro al mondo... che all'inizio della vita religiosa aveva gustato la dolcezza, la forza e la purezza di quest'Amore celeste, e adesso, per una passione non domata, deve odiare eternamente quel Dio che l'aveva scelta per amarLo! «Questa necessità di odiare è una sete che la con­suma... Non un ricordo che possa dare il più piccolo sollievo... «Uno dei tormenti più dolorosi è la vergogna che ricopre quell'anima. Sembra che tutti i dannati che la circondano gridino di continuo: "Che ci siamo perduti noi che non avevamo gli stessi soccorsi di te, nulla di straordinario... ma tu!... Che ti mancava?... vivevi nel palazzo del Re, mangiavi alla tavola dei pri­vilegiati..."».

Il mercoledì 6 settembre 1922, durante la Messa il Maestro le appare con un aspetto bello e triste insieme che la colpisce. Il Cuore di Gesù è largamente ferito. «Non chiedo che il tuo cuore per potermici na­scondere e dimenticare l'amarezza di cui Mi colma quell'anima allorché devo scendere in lei. «Che le anime predilette Mi trattino così: ecco il mio dolore!». «Tu, amata come la pupilla degli occhi, na­scondiMi bene nel tuo cuore!». «- Poco importa che sia piccolo: Io lo ingrandirò! Ciò che voglio è che sia tutto mio!». Gesù le fa fare il ringraziamento della Comunione: «- ConsolaMi... AmaMi... GlorificaMi mediante il mio Cuore... Ripara per suo mezzo e soddisfa alla giu­stizia divina... PresentaLo al Padre mio, come una vittima di amore per le anime... e, particolarmente, per quelle a Me consacrate». «- Vivi con Me, Io vivrò con te. Nasconditi in Me, Io Mi nasconderò in te». «- Ci consoleremo vicendevolmente, poiché la tua sofferenza sarà la mia, e la mia la tua».

La sera del venerdì 8 settembre 1922, Egli è venuto, scrive Josefa, «come un povero che ha fame». «, estingui la mia sete di essere amato dalle anime, specialmente da quelle che ho scelto. «Quell'anima dimentica quanto Io l'ami - alludendo al sacerdote infedele. - La sua ingratitudine Mi riduce in questo stato». «Allora Gli ho chiesto di accettare tutti i piccoli atti che si fanno qui, le tribolazioni di questa casa, e so­prattutto il desiderio che tutte abbiamo di consolarLo e di accontentarLo. Egli si degni purificare e trasformare tutto per dare valore a queste piccole cose». «Io non guardo l'azione, considero solo l'inten­zione. Il più piccolo atto compiuto per amore acquista tanto merito e tanto Mi consola... Non cerco che l'amore, non chiedo che l'amore!».

Sabato 9 settembre 1922: Maria Ss.: «- Figlia mia, soffri con coraggio e con forza. - La sofferenza ottiene a quell'anima di non cadere in colpe più gravi ancora».

«- TieniMi dentro al tuo cuore e partecipa all'a­marezza che Mi consuma - le ripete il 12 settembre 1922 durante il ringraziamento della Comunione. - Non posso più sopportare gli oltraggi che ricevo da quell'anima... Ma Io l'amo, l'aspetto! Desidero perdonarle!... Con quale amore Io l'accoglierò quando ritornerà a Me!... «Tu, Josefa, consolaMi, accostati al mio Cuore, condividi la mia sofferenza». «- Questo è il momento del mio dolore: partecipa a questo dolore che è anche tuo!». «La sera di quel 12 settembre - racconta Josefa - al momento in cui ci alzavamo da tavola dopo la cena, vidi improvvisamente Nostro Signore. Stava in piedi in fondo al refettorio, splendente di bellezza; la sua tunica bianca spiccava luminosa nella penombra della sera. Teneva la mano destra alzata come benedicesse.: «- Sono qui tra le mie spose, perché in loro trovo conforto e riposo». «Coraggio, ancora qualche sforzo e poi quell'a­nima tornerà a Me!».

13 settembre 1922: «- Molte anime Mi accolgono bene quando le visito con la consolazione. Molte Mi ricevono con gioia nella Comunione. Ma poche sono quelle che Mi aprono vo­lentieri quando busso alla loro porta con la croce. «Allorché un'anima si stende sulla croce e vi si ab­bandona, essa Mi glorifica... Mi consola... è la più vicina a Me!». «La sofferenza delle mie spose ottiene che quel sacerdote non cada in un pericolo maggiore; ma bisogna soffrire ancora molto per lui! «Quando sarà tornato a Me ti farò conoscere i miei segreti d'amore per le anime, poiché voglio che tutte sappiano quanto il mio Cuore le ama!».

Venerdì 15 settembre 1922, la Madonna viene vestita di una tunica color viola pallido e tiene le mani giunte sul petto. «- Figlia mia, quel sacerdote strazia il Cuore di mio Figlio... Però egli si salverà, ma occorreranno molte sofferenze ancora. Non invano Gesù ne incarica le sue spose... Felici le anime su cui fissa i suoi sguardi per affidar loro questo prezioso deposito!».

«Non temere: quell'anima non andrà perduta - le ripete Nostro Signore il 21 settembre 1922 - ritornerà presto al mio Cuore; ma per salvare un 'anima occorre molto soffrire!». E infatti le discese nell'inferno si ag­giungono alle altre espiazioni dolorose ed ogni notte la croce di Gesù viene a pesare fortemente sulle sue spalle!

Il lunedì 25 settembre 1922, al termine di una notte più penosa del solito, appena riavuta, vede ad un tratto apparire il Maestro. «Il suo Cuore era senza ferita ed irraggiava bellezza e splendore». «Guarda!... Quell'anima è tornata a Me: la grazia l'ha ferita e il suo cuore si è lasciato commuovere. AmaMi e non rifiutarMi niente per ac­quistarMi l'amore di molte altre anime!».

« - ripeté Gesù il giorno dopo, martedì 26 settembre 1922 - quel sa­cerdote si è gettato nelle mie braccia e ha confessato la sua colpa... Continua a offrire con Me le tue sofferenze per ottenergli la forza di risalire il pendio fino al termine».

Qualche giorno dopo il Signore, traboccante d'amore, ag­giungerà: «Quell'anima Mi cerca... Io l'aspetto con tenerezza per colmarla dei miei più dolci favori».

Infine, il 20 ottobre 1922: «Ora quell'anima sta in fondo al mio Cuore, e nel suo non rimane che il merito del doloroso ricordo della sua caduta».

«La sera del martedì 26 settembre 1922 - scrive - Lo incontrai vicino alla cappella con il capo coronato di spine, il volto insanguinato e il Cuore infiammato». «- Josefa, non dimenticare la Via Crucis». «Sono andata a chiedere il permesso e dopo che l'ebbi terminata, Egli è riapparso e mi ha detto: «- Abbiamo due anime da strappare ad un grave pericolo. Mettiti in stato di vittima». «- Per far ciò, lasciaMi disporre di te come voglio». «Subito l'anima mia fu assalita da angoscia e da sofferenza, e non sapevo che altro offrire per la salvezza di quelle anime». Essa ottiene il permesso di fare qualche penitenza e non cessa di unirsi al sangue redentore. Verso sera Gesù la raggiunge nella sua cella; «Egli giunse le mani - scrive - e volgendo lo sguardo al cielo disse con voce grave e distinta: «- Eterno Padre, Padre misericordioso! Ricevi il sangue del tuo Figlio. Ricevi le sue piaghe. Ricevi il suo Cuore, per quelle anime!». Tacque un istante, poi ricominciò: «- Eterno Padre, ricevi il sangue del tuo Figlio! Prendi le sue piaghe, prendi il suo Cuore! Guarda quel capo coronato di spine. Non permettere una volta di più che quel sangue sia inutile! Vedi la mia sete di darTi quelle anime... O Padre mio, non permettere che quelle anime vadano perdute!... Salvale affinché Ti glorifichino in eterno!...».

All'alba del mercoledì 27 settembre 1922 Gesù, bellissimo, le appare nel ringraziamento della Comunione. Sempre fedele al­l'obbedienza ella rinnova i suoi voti. «- Dimmi una volta ancora che Mi ami… Io pure ti voglio confidare un segreto del mio Cuore. Ascolta Josefa!... AiutaMi in quest'Opera d'amore!». «-Ci sono anime che soffrono per ottenere ad altre la forza di resistere al male. Se quelle due anime fossero ieri cadute nel peccato, si sarebbero perdute per sempre! I piccoli atti che avete moltiplicato hanno ottenuto loro il coraggio di resistere». «- Sì, il mio Cuore dà un valore divino alle piccole offerte poiché ciò che voglio è l'amore». «- Io cerco l'amore. Amo le anime e attendo la risposta del loro amore. Perciò il mio Cuore rimane ferito, poiché tanto spesso invece di amore non incontro che freddezza. DateMi amore e dateMi anime! Unite strettamente le vostre azioni al mio Cuore. Dimorate in Me che sono con voi. Sì, Io sono tutto Amore e non desi­dero che amore! se le anime sapessero come le aspetto pieno di misericordia! Io sono l'Amore degli amori! Non trovo riposo che perdonando!».

 

INVITO ALLE ANIME PRESCELTE 1° ottobre - 21 novembre 1922

Le anime che ho prescelto sanno forse abbastanza di quale tesoro privano se stesse ed altre anime al­lorché mancano di generosità? (Nostro Signore a Josefa - 20 ot­tobre 1922).

Il 6 ottobre 1922, primo venerdì del mese, scrive in uno di quei momenti di sofferenza più acuta: «Mi sentivo stanca di soffrire e pensavo all'inutilità di tutte quelle discese nell'inferno, quando ad un tratto vidi davanti a me una luce abbagliante, come quella del sole che non possiamo fissare e intesi la voce di Gesù: «La santità di Dio è offesa e la sua giustizia esige soddisfazione. No, niente è inutile! Ogni volta che tu sperimenti le pene infernali il peccato trova la sua espiazione e si placa la collera divina. Che sarebbe il mondo senza la riparazione di tante colpe?... Mancano le vittime! Mancano le vittime!...». «Come riparerò,  o Signore? - risponde Josefa esponendo al Maestro le proprie infedeltà. - Io stessa sono piena di miserie e di colpe!». «Poco importa! Questo sole d'amore ti purifica e rende le tue sofferenze degne di riparare per i peccati del mondo!».

Dieci giorni dopo, il lunedì 16 ottobre 1922 «Questa mattina verso le dieci cucivo a macchina, e avevo posato vicino a me la corona, dicendo durante il lavoro qualche Ave Maria. Mi sentivo angustiata come nei giorni scorsi e sfinita per i dolori che mi trafiggevano il capo e il fianco. Non ne potevo più e dicevo a me stessa; Come farei se tutto dovesse continuare così? D'improvviso vidi la Madonna in piedi davanti alla macchina da cucire. Essa rapiva con la sua bellezza ed aveva le mani incrociate sul petto. Con la mano sinistra prese la mia corona dalla parte della croce e, tenendola così sospesa, lentamente la fece passare nella sua mano destra. Allora mi appoggiò tre volte la croce sulla fronte dicendo: «Sì, figliola mia, tu puoi ancora soffrire di più. Tu patisci per le anime, per consolare Gesù!». Ed ecco il prodigio: nel momento stesso in cui la Vergine santissima compiva il gesto materno tre magnifiche gocce di sangue si impressero nel punto stesso in cui per tre volte la croce si era appoggiata sulla benda che copriva la fronte di Josefa. Essa però non se n'era accorta. «Senza lasciarmi il tempo di proferir parola, la Ma­donna rimise la corona sul tavolino della macchina e sparì, lasciandomi nell'anima un gran coraggio di soffrire». Dopo pochi istanti una novizia che cuce vicino a lei si accorge delle gocce di sangue e ne avverte Josefa che, com­mossa, si alza e corre alla sua cella... Confusa per l'accaduto vorrebbe far sparire quel segno così palese del favore celeste ma, come sempre, si rimette interamente alla guida delle sue Madri. La benda porta visibili, sulla parte esteriore della larga orlatura, tre macchie di sangue rosso vivo, mentre la parte interna, a contatto con la testa di Josefa, è intatta. La fronte di lei non mostra alcuna traccia di ferita.

Il giorno dopo, martedì 17 ottobre 1922, Gesù dirà alla sua privilegiata: «- Tu non puoi capire fino a che punto Io ti ami! Ricorda ciò che ieri ho fatto per te... Sì il mio Sangue! Custodiscilo come una carezza della Madre mia. Esso ti pu­rifica e ti infiamma. In esso troverai la forza e il coraggio».

Il 23 febbraio 1923, la piccola benda disparve e le ricerche per ritrovarla furono vane, fino a che Nostro Signore stesso non venne a rassicurare Josefa: «- Non temere! -  le disse due giorni dopo, la domenica 25 febbraio 1922 - il demonio se n'è impadronito, ma il mio Sangue non è esaurito». Quindi rispondendo ai timori di lei di fronte alle minacce del nemico che si vantava di bruciare i quaderni dove per obbedienza trascriveva le parole del Maestro, Egli proseguì: «Sì, la sua astuzia diabolica ordisce mille piani per far sparire le mie parole. Ma non vi riuscirà e fino al termine dei secoli molte anime vi troveranno la vita».

La sera del successivo 15 marzo 1923, giorno della festa delle Sante Piaghe, la Madonna rinnoverà alla figlia diletta il dono delle tre gocce del Sangue preziosissimo di suo Figlio. E mentre appoggerà sulla fronte di Josefa la croce della sua corona con lo stesso gesto della mano verginale, «Offriti per tergere le ferite che Gli cagionano i peccati del mondo! «Tu sai quale gioia provi il suo Cuore quando le anime consacrate si offrono a Lui per consolarLo».

Un'altra volta, il 19 giugno 1923, per mezzo della Madre sua, Nostro Signore darà a Josefa la stessa prova della sua infinita bontà. Le due sottocuffie contrassegnate col Sangue divino sono religiosamente conservate e la Santa Fondatrice il giorno se­guente dirà di questa grazia insigne: «La Società conservi questi due tesori e il ricordo del giorno in cui Gesù le ha lasciate tali preziose reliquie. Saranno in avvenire una delle prove che accrediteranno la bontà del suo Cuore in quest'Opera».

Il venerdì 20 ottobre 1922, verso le sette di sera, essa sta ter­minando la sua adorazione davanti al Santissimo, quando ad un tratto Gesù appare portando la croce. «Josefa  partecipa al fuoco che consuma il mio Cuore: ho sete della salvezza delle anime... che le anime mie si accostino a Me!.. che le anime mie non abbiano paura di Me!... che le anime abbiano fiducia in Me». Il suo Cuore si dilata e s'infiamma, come se non potesse contenere questo fuoco. «Sono tutto Amore, non posso trattare con severità le anime che amo. Tutte indub­biamente sono care al mio Cuore, ma ve ne sono molte che sono le mie preferite. Le ho scelte per trovare in esse la mia consolazione e per ricolmarle dei miei favori. Poco M'importa se hanno difetti... ciò che desidero far loro sapere è che la mia tenerezza aumenta se, dopo le loro mancanze e cadute, si gettano umilmente nel mio Cuore: allora le perdono e le amo sempre». «Gli ho chiesto se è per questo che mi ama tanto, perché quando Gli domando perdono subito mi dimostra con nuove prove d'amore che mi ha perdonato». «Non sai dunque, Josefa, che più le anime sono misere e più le amo?... Se più di altre hai rapito il mio Cuore, è stato a causa della tua piccolezza e miseria!». «Allora L'ho supplicato di darmi la croce e Gli ho domandato perché oggi Egli la portasse... Forse per qualche anima che L'offendeva?». «Porto la croce perché fra le anime che prediligo ve ne sono parecchie che Mi oppongono qualche piccola resistenza e l'insieme di queste resistenze forma la mia croce... «Vuoi sapere la causa di quelle resistenze? E’ la mancanza di amore... Sì, mancanza di amore per il mio Cuore... eccessivo amore di sé!». «Quando un'anima è abbastanza generosa da concederMi tutto quel che le chiedo, ella accumula tesori per sé e per le anime, strappandone un gran numero dal cammino della perdizione. «E’ per mezzo dei loro sacrifici e del loro amore che le anime predilette del mio Cuore hanno incarico di spandere sul mondo le mie grazie. « il mondo è pieno di pericoli... Quante anime trascinate verso il male hanno un bisogno continuo di un aiuto visibile o invisibile!... Ah! lo ripeto, le mie anime scelte sanno di quale tesoro si privano e privano altre anime, quando mancano di generosità? «Non intendo dire che un'anima sia liberata dai suoi difetti e dalle sue miserie per il fatto stesso che Io l'ho scelta. Quest'anima può cadere e cadrà ancora più di una volta; ma se si umilia, se riconosce il suo niente, se cerca di riparare la sua mancanza con piccoli atti di generosità e d'amore, se di nuovo confida e si abbandona al mio Cuore... ella mi dà più gloria e può fare maggior bene alle anime che se non fosse caduta mai! «Poco M'importano la miseria e la debolezza, ciò che chiedo alle anime mie è l'amore!». «Sì, un'anima anche se misera può amarMi fino alla follia!... Comprendi però, Josefa, che intendo solo parlare di mancanze inavvertite di fra­gilità, ma non di colpe premeditate e volontarie». «Sì, custodisci nel tuo cuore il desiderio di ve­derMi amato. Offri la tua vita, quan­tunque imperfetta, affinché tutte le mie anime com­prendano bene la missione così bella che possono com­piere nell'esercizio delle azioni giornaliere e dei loro sforzi quotidiani. Si ricordino sempre che non le ho preferite ad altre a causa della loro perfezione, ma solo per la loro miseria!... Io sono tutto amore e il fuoco che Mi con­suma brucia ogni loro debolezza». «Non temere di nulla! Se ho scelto te così misera è perché si sappia una volta di più, che non cerco la grandezza né la santità... Cerco l'amore e tutto il resto lo faccio da Me!... «Ti dirò ancora i segreti del mio Cuore, Josefa... ma il desiderio che Mi consuma è sempre lo stesso: che le anime conoscano sempre più il mio Cuore!».

Le chiede il giorno dopo, sabato 21 ottobre 1922. «Gesù, Tu sai che non voglio se non ciò che Tu vuoi!... e Gli parlai delle anime... di tante anime che si perdono». Egli risponde con dolore: «Povere anime! molte non Mi conoscono, è vero. Ma più grande è il numero di quelle che Mi conoscono e Mi abbandonano per condurre una vita di piacere. Quante anime sensuali si trovano nel mondo! E perfino tra le anime mie predilette ce ne sono tante che cercano di godere!... Così esse si sviano, perché la mia via è fatta di sofferenze e di croci! L'amore solo infonde la forza di seguirMi per essa. Perciò cerco l'amore». E mentre le porge la croce: «Consolami tu che Io amo. Appunto perché sei piccola hai potuto penetrare così profondamente nel mio Cuore».

Il lunedì 23 ottobre 1922: «Ci sono anime molto amate dal mio Cuore che Mi offendono... Non Mi sono abbastanza fedeli! E proprio perché sono anime che amo maggiormente Mi fanno tanto soffrire!». «Ma, Signor mio, Tu vedi ciò che sono!... Non ho che desideri, non so tradurli in atto!... «- Ti tengo, Josefa, talmente unita al mio Cuore, che il tuo desiderio è quello stesso che Mi consuma per le anime!... Il mio Cuore si riposa quando può comu­nicarsi: perciò vengo a riposarMi nel tuo quando un'anima Mi addolora e il mio desiderio di farle del bene passa in te e diviene tuo. «Ci sono è vero molte anime che Mi offendono... ma altresì molte in cui trovo consolazione e amore!». «- Quando due persone si amano la minima indelicatezza di una basta a ferire l'altra. Così accade al mio Cuore. Perciò voglio che le anime le quali aspirano a diventarMi spose si temprino bene, per poi più tardi nulla rifiutare all'amore!».

Mercoledì 25 ottobre 1922, la Madonna le fa comprendere come quell'atto di sincerità rientri nei disegni divini su di lei. «Figlia mia, vengo a dirti da parte di Gesù, quanta gloria hai dato quest'oggi al suo Cuore... Com­prendilo bene... tutto ciò che Egli permette che tu veda o soffra nell'inferno non è solo per purificarti, ma anche perché tu lo faccia sapere alle tue Madri. Non pensare a te stessa, ma unicamente alla gloria dei Cuore di Gesù e alla salvezza di molte anime».

Il 5 novembre 1922 Josefa scrive dolorosamente: «Ho visto cadere le anime a gruppi serrati... in certi momenti è impossibile calcolarne il numero!...» Ella ne rimane sconvolta e insieme sfinita. «Senza un aiuto speciale non sarei più capace né di lavorare, né di far niente».

Quella domenica, dopo una notte terribile di espiazione, le appare Nostro Signore. Ella non può contenere il suo dolore e Gli parla di quel numero incalcolabile di anime perdute per sempre. Gesù l'ascolta col volto improntato a grande tristezza; poi, dopo un istante di silenzio: «Tu hai visto quelle che cadono, ma non hai ancora visto quelle che salgono!». «Allora scorsi una fila interminabile di anime strette le une alle altre. Entravano in un luogo spazioso, scon­finato, pieno di luce, e si perdevano in quella immensità». Il Cuore di Gesù si infiammò ed Egli disse: «Queste anime sono quelle che hanno accettato con sottomissione la croce del mio amore e della mia volontà». «In quanto al tempo in cui ti faccio sperimentare i dolori dell'inferno non lo credere inutile e perduto! Il peccato è un'offesa fatta alla Maestà infinita e grida vendetta e riparazione infinita. «Quando tu scendi nell'abisso, le tue sofferenze im­pediscono la perdita di molte anime, la divina Maestà le accetta in soddisfazione degli oltraggi che riceve da quelle anime e in riparazione delle pene che i loro peccati hanno meritato. Non dimenticare mai che è il mio grande Amore per te e per le anime che permette quelle discese!».

Il martedì 21 novembre 1922, nonostante le minacce del demonio, Josefa rinnova ufficialmente per la prima volta i voti pronunziati quattro mesi prima.

 

IL SENSO REDENTORE DELLA VITA QUOTIDIANA

(22 novembre - 12 dicembre 1922)

 

Nel mattino del mercoledì 22 novembre 1922 Gesù appare a Josefa poco prima dell'Elevazione della Messa. Il Cuore è infiammato e pare sfuggirGli dal petto; ha nella mano destra la corona di spine. «Josefa, Mi riconosci? Mi ami? Sai quanto ti ama il mio Cuore?». «Non temere, Josefa, malgrado la tua piccolezza e talvolta anche le tue resistenze, compio l'Opera mia in te e nelle anime». «Signore, non capisco che cosa sia quest'Opera di cui parli sempre!». «- Non sai che cosa sia la mia Opera? E’ Opera di Amore. Voglio servirMi di te, che sei un niente e vali niente, per manifestare sempre più la misericordia e l'amore del mio Cuore! Perciò Io sono glorificato quando mi si dà la libertà di fare di te e in te ciò che voglio! Intanto la tua piccolezza e le tue sofferenze salvano molte anime... Ma più tardi le parole e i desideri che trasmetto per tuo mezzo, ecciteranno lo zelo di molte altre e im­pediranno la perdita di un gran numero di esse; si co­noscerà sempre meglio che la Misericordia e l'Amore del mio Cuore sono inesauribili... Non chiedo grandi cose alle mie anime, chiedo loro soltanto l'amore!». «Prendi la mia corona! essa ti ricordi a ogni istante la tua piccolezza... Ti amo e ho così grande compassione di te che non ti abbandonerò mai! AmaMi, consolaMi, abbandonati!». Quella sera mentre Josefa faceva la Via Crucis, Nostro Signore le apparve all'undicesima stazione e mostrandole la sua croce: «Josefa, sposa del mio Cuore! ecco la croce che ho portata per amor tuo! Dimmi ancora una volta che vuoi portare per amor mio la croce della mia volontà».

Il giorno dopo, 23 novembre 1922 «Nel mio Cuore le anime che sanno rinunziare a se stesse per mio amore trovano la vera pace». «Chiedi alle tue Madri di concederti ogni giorno un momento in cui tu possa scrivere ciò che ti dirò».

Il sabato 25 novembre 1922, nella mattinata, Gesù le dice: «Voglio che nel rinnovare i voti tu ti offra con piena sottomissione. Occorre che Io mi senta libero e che non trovi in te alcun ostacolo ai miei disegni... Adesso scrivi...». Ella allora ascolta e trascrive le parole. «Parlerò anzitutto per le anime scelte e per tutte quelle che Mi sono consacrate. Occorre che esse Mi conoscano per poi insegnare a quelle che loro affiderò la bontà e la tenerezza del mio Cuore e dire a tutte che se Io sono un Dio infinitamente giusto, sono anche un Padre pieno di misericordia! Le mie anime scelte, le mie spose, i miei religiosi, i miei sacerdoti facciano com­prendere alle povere anime quanto il mio Cuore le ama! «Tutto ciò te lo insegnerò a poco a poco e così Mi glorificherò nella tua miseria, nella tua piccolezza e nel tuo nulla. «Non ti amo per quello che sei, ma per quello che non sei, cioè per la tua miseria e il tuo nulla, perché ho trovato così ove collocare la mia grandezza e la mia bontà». «- Addio Josefa. Ritorni domani, non è vero? «Continuerò a parlarti e tu trasmetterai alle anime le mie parole con ardente zelo. LasciaMi agire poiché Io mi glorifico e le anime si salvano... Ricordati che voglio essere servito con gioia e non dimenticare quanto lo strumento sia inutile! Solo il mio amore può chiudere gli occhi sulla tua debolezza... AmaMi ardentemente per corrispondere alla mia bontà». Al cader della notte Gesù le porta la croce. «- Quanti peccati! - dice - e quante anime questa notte cadranno nell'inferno!». «- Tu almeno consolaMi e ripara tante ingratitudini. Quanto soffre il mio Cuore nel vedere l'inutilità di ciò che ho fatto per tante anime!... Condividi questa sofferenza... Prendi la mia croce e restaMi unita, ché non sei sola».

Sul far del mattino di domenica 26 novembre 1922 Gesù ritorna. «Povere anime!  Quante sono andate perdute per sempre!... Quante altre, però, ritorneranno in vita! Tu non puoi calcolare, Josefa, il valore redentore della sofferenza... «Se acconsenti ti farò condividere spesso l'amarezza del mio Cuore. Così tu Mi consolerai e molte anime si sal­veranno. Addio! pensa a Me, alle anime, al mio Amore». Nel pomeriggio, mentre Lo sta adorando davanti al tabernacolo, le appare ad un tratto por­tando la croce: «Sposa mia, Josefa! Vengo in te a riposarMi!... Non puoi comprendere ciò che è il mondo per il mio Cuore! I peccatori Mi feriscono senza compassione, e non soltanto i peccatori, ma quante altre anime Mi trafiggono con frecce che procurano gran dolore!». «L'ho supplicato di venire qui, da noi, poiché quan­tunque siamo così miserabili (lo dico per me), desideriamo tanto amarLo e consolarLo!». «Tu sai bene che lo faccio! Non vedi come vengo qui per riposare il mio Cuore?... «Ascolta; quando ti chiedo riposo e consolazione non credere che tu sia sola a darmeli. Se sapessi quale gioia prova il mio Cuore quando le anime Mi lasciano libertà e mediante le opere loro Mi dicono: "Signore, Tu sei il padrone!". Credi forse che ciò non Mi consoli?... Che ciò non Mi glorifichi?... «Prendi la mia croce e non pensare di essere tu sola a portarla. Mi riposo e Mi glorifico in te, ma anche nelle mie anime... in quelle anime che con amore e sottomissione ricevono e adorano la mia volontà, senza altro interesse che di darMi gloria. «Prendi la mia croce, Josefa: chiedi misericordia per i peccatori, luce per le anime cieche, amore per i cuori indifferenti. ConsolaMi, amaMi, abbandonati. Un atto di abbandono Mi glorifica più che molti sacrifici!».

Il giorno seguente, lunedì 27 novembre 1922, alle otto del mattino, essa è al suo posto in attesa «Dacché Nostro Signore ha chiesto alle mie Madri di concedermi ogni giorno un momento in cui possa scrivere le sue parole - ella nota - mi ha detto di venire in cella, tra le otto e le nove del mattino. A quell'ora le postulanti sono occupate nelle loro faccende, e così posso scrivere senza che ciò m'impedisca di cucire e di preparare il loro lavoro». Sta sul punto di andarsene, quando improvvisamente le si mostra: «Va' a lavorare, Josefa! Domani dirò alle mie anime che il mio Cuore è un abisso di Amore. Pensa continuamente a Me. Le anime Mi glorificano molto quando si ricordano di Me!».

Alle prime ore del martedì 28  novembre 1922 Gesù: «Non temere, ti conosco!... Ma ti amo tanto che nessuna miseria può distogliere da te lo sguardo del mio Amore». In un mirabile ri­assunto Gesù rivela alle anime nel succedersi della sua vita redentrice, il filo conduttore dell'Amore infinito. «Sono tutto Amore! il mio Cuore è un abisso di Amore! L'Amore creò l'uomo e tutto ciò che esiste al mondo per metterlo al suo servizio. «L'Amore spinse il Padre a dare l'unico suo Figlio per la salvezza dell'uomo perduto a causa del peccato. «L'Amore condusse una Vergine purissima, quasi bambina, a rinunziare alle attrattive della vita al Tempio, per consentire a divenire la Madre di Dio, accettando tutte le sofferenze che la divina maternità doveva farle provare. «L'Amore mi fece nascere nel rigore dell'inverno, povero e sprovvisto di tutto. «L'Amore Mi tenne nascosto trent'anni nella più completa oscurità, occupato nei più umili lavori. «L'Amore Mi fece preferire la solitudine e il silenzio... vivere da tutti sconosciuto e sottomesso volontariamente agli ordini di mia Madre e del mio Padre adottivo. «Il mio Amore vedeva che nel corso dei secoli molte anime Mi avrebbero seguito mettendo la loro gioia nel conformare la loro vita alla mia! «L'Amore mi fece abbracciare tutte le miserie della natura umana. «L'Amor del mio Cuore vedeva molto lontano e sa­peva quante anime in pericolo, aiutate dagli atti e dai sacrifici di altre, avrebbero ritrovato la vita. «L'Amore Mi fece sopportare i disprezzi più obbrobriosi e i più terribili tormenti... Mi fece spargere tutto il mio sangue e morire sulla croce per salvare l'uomo e riscattare il genere umano. «L'Amore vide anche nell'avvenire il gran numero di anime che avrebbero unito ai miei dolori e imporporato col mio sangue le loro sofferenze e le loro azioni, anche le più comuni, per darMi così un gran numero di anime! «Io t'insegnerò, Josefa, con chiarezza tutto questo, affinché si sappia fino a qual punto arrivi l'amore del mio Cuore per le anime! «Ora ritorna al tuo lavoro, e vivi in Me, come Io vivo in te».  Josefa esce dalla sua cella e rimette alle sue Madri le preziose pagine, appena scritte.

Il giorno seguente, mercoledì 29 novembre 1922, mentre lavora aspettando Nostro Signore, la sua cella si riempie d'un tratto di un dolce splendore. Non è Gesù, ma l'Apostolo prediletto del suo Cuore. L'ho subito riconosciuto   scrive. - Teneva tra le sue braccia la croce di Gesù. Ho rinnovato i voti ed egli mi ha detto: «- Anima prediletta dal divino Maestro, io sono Giovanni l'Evangelista e vengo a portarti la croce del Sal­vatore. Essa non ferisce il corpo, ma fa spargere il sangue del cuore... I patimenti che la croce ti arreca diminuiscono l'amarezza con cui i peccatori straziano il nostro Dio e Si­gnore... Il sangue del tuo cuore sia un vino delizioso che faccia conoscere a molte anine le dolcezze e le attrattive della verginità... Il tuo cuore stia unito in tutto al Cuore di Gesù! Custodisci bene queste preziose testimonianze del suo Amore! Tieni fissi gli occhi al cielo, poiché ciò che è di quaggiù non vale niente! La sofferenza è la vita dell'anima e l'anima che ne ha compreso il valore vive della vera vita». Josefa aveva già osservato il giovedì santo 1922 l'espressione celeste del volto di S. Giovanni,

Il giovedì 30 novembre Gesù è là alle otto del mattino, «Scrivi per le anime: «L'anima che vive una vita costantemente unita alla mia Mi glorifica e lavora molto al bene delle anime. Forse il suo lavoro è di per sé insignificante?... se lo bagna nel mio sangue, o l'unisce a quello che ho fatto Io durante la mia vita mortale, quale frutto non produrrà nelle anime!... più grande forse che se avesse predicato a tutto il mondo... E ciò sia che studi, sia che parli o scriva, che cucia, spazzi, si riposi... purché l'azione sia prima di tutto regolata dall'obbedienza o dal dovere e non dal capriccio; inoltre che sia fatta in intima unione con Me, ricoperta del mio Sangue, e con grande purità d'intenzione. «Desidero tanto che le anime comprendano questo! Non è l'azione in sé che ha valore, ma l'intenzione con cui è fatta! Quando spazzavo e lavoravo nell'officina di Nazaret davo tanta gloria al Padre come quando predi­cavo durante la mia vita pubblica. «Ci sono molte anime che agli occhi del mondo hanno cariche importanti e procurano al mio Cuore una grande gloria: è vero. Però ho anche molte anime nascoste che nei loro oscuri lavori sono operaie assai utili alla mia vigna, poiché sono mosse dall'amore e sanno bagnare le minime azioni nel mio Sangue, e così ricoprirle con l'oro so­prannaturale. «Il mio Amore tanto può che dal nulla fa ricavare alle anime immensi tesori. Allorché unendosi a Me al mattino offrono tutta la loro giornata con l'ardente desiderio che il mio Cuore se ne serva per il vantaggio delle anime... quando con amore compiono ogni loro dovere ora per ora, momento per momento, quali tesori non accumulano in un giorno! «Scoprirò loro sempre più il mio Amore... Esso è inesauribile ed è molto facile per l'anima che ama lasciarsi guidare dall'Amore!». Gesù tace e Josefa posa la penna e resta un istante in adorazione… «Addio! Torna al tuo lavoro, ama e soffri poiché l'amore non può separarsi dalla sofferenza. Abbandonati alla cura del migliore dei padri, all'amore del più tenero degli sposi!».

Sabato 2 dicembre 1922 « Scrivi per le anime». Essa s'inginocchia davanti al tavolino, vicino a Gesù che le dice: «Il mio Cuore è tutto amore e questo amore abbraccia tutte le anime; ma come potrò far comprendere alle mie anime scelte la predilezione del mio Cuore che vuol servirsi di esse per salvare i peccatori e tante anime esposte ai pericoli del mondo? «Perciò voglio che sappiano quanto il desiderio della loro perfezione Mi consuma e come questa perfezione consista nel fare tutte le azioni comuni e quotidiane in intima unione con Me. Se esse capiscono bene questo, possono divinizzare la loro vita e tutta la loro attività mediante questa intima unione al mio Cuore, e qual valore ha una giornata di vita divina! «Quando un 'anima è infiammata dal desiderio di amare, nulla le è difficile; ma se è fredda e inerte, tutto le diventa penoso e duro. Venga il mio Cuore ad at­tingere coraggio! Mi offra l'abbattimento in cui si trova! Lo unisca all'ardore che Mi consuma e rimanga sicura che la sua giornata avrà un valore incomparabile per le anime! Il mio Cuore conosce tutte le miserie umane e le compatisce assai. «Ma non desidero soltanto che le anime stiano unite a Me in maniera generale: voglio che questa unione sia costante e intima, come quella di coloro che si amano e vivono insieme; poiché se anche essi non si parlano sempre, almeno si scambiano sguardi e si usano vicen­devolmente le delicatezze ed attenzioni ispirate dall'amore. «Se l'anima si trova calma e in consolazione certo le è facile pensare a Me. Ma se è oppressa dalla desolazione e dall'angoscia non tema! Mi basta uno sguardo; la ca­pisco e quello sguardo solo otterrà dal mio Cuore le più tenere delicatezze. «Ripeterò di nuovo alle anime quanto il mio Cuore le ami... Voglio che esse Mi conoscano a fondo per poterMi far conoscere a quelle che il mio amore loro affida. «Desidero ardentemente che tutte le anime da Me scelte fissino gli occhi su di Me, senza più distoglierli... che in esse non vi sia mediocrità, ciò che spesso proviene da una falsa comprensione del mio amore. No, amare il mio Cuore non è cosa difficile e dura, ma soave e facile. Non occorre nulla di straordinario per giungere a un alto grado d'amore: purità d'intenzione nelle azioni piccole e grandi... unione intima al mio Cuore e l'Amore farà il resto!» Gesù tace un istante, poi chinatosi verso Josefa che si è prostrata ai suoi piedi: «- Va' e non temere! Sono il giar­diniere che coltiva questo fiorellino affinché non avvizzisca. «AmaMi nella pace e nella gioia!». La sera di questo primo sabato del mese: «- Ricordati di ciò che un giorno dissi ai miei discepoli: perché non siete del mondo, il mondo vi odia. «Oggi ve lo ripeto: perché non siete del demonio, il demonio vi perseguita! Ma il mio Cuore vi custodisce e per mezzo di queste sofferenze si glorifica. «Ama e soffri, Josefa, è per un'anima!». E ancora una volta le affida un'anima consacrata..

Tre giorni dopo, il martedì 5 dicembre 1922. «- Si, sono quel Gesù che ama teneramente le anime. Ecco quel Cuore che non cessa mai di chiamarle, di custodirle, di prender cura di loro! Ecco quel Cuore infiammato dal desiderio d'essere amato dalle anime, ma soprattutto dalle anime da Lui prescelte...». «Scrivi, scrivi di nuovo per esse: «Il mio Cuore non è soltanto un abisso di Amore, ma è anche un abisso di Misericordia! E siccome conosco tutte le miserie umane da cui neppure le anime più amate vanno esenti, ho voluto che le loro azioni, anche le più piccole, potessero rivestirsi, per mezzo mio, di un valore infinito, a vantaggio di quelle che hanno bisogno di essere aiutate, e per la salvezza dei peccatori. «Non tutte possono predicare, né andare lontano ad evangelizzare i selvaggi, ma tutte, sì tutte, possono far conoscere e amare il mio Cuore... tutte possono vicen­devolmente aiutarsi per aumentare il numero degli eletti impedendo a molte anime di perdersi... e tutto ciò per effetto del mio amore e della mia misericordia! «Dirò alle mie anime come il mio Cuore si spinge ancora più in là! Non soltanto si serve della loro vita ordinaria e delle loro minime azioni, ma vuole utilizzare per il bene delle anime anche le loro miserie... le loro debolezze... le stesse mancanze. «Sì, l'amore trasforma tutto e tutto divinizza e la misericordia tutto perdona!». … «- Addio, ritornerò ancora per dirti i miei segreti. Nel frattempo porta la mia croce con coraggio. Se Mi ami, io pure ti amo! Non dimenticarMi».

L’8 dicembre 1922, la Madre Celeste le appare: «Figlia mia, se vuoi dare molta gloria a Gesù e salvarGli le anime, lasciaLo fare di te ciò che vorrà e abbandonati al suo amore». «Mi benedisse, lasciò che Le baciassi la mano e disparve».

Domenica 10 dicembre 1922 Gesù è venuto: «- Josefa, perché sei triste? Dimmelo!». «- Ti ho detto che vivrai nascosta nel mio Cuore: perché dubiti del mio amore? Lascia che le mie parole vadano a molte anime che ne hanno bisogno». «- D'altra parte, che te ne viene di tutto questo? «Quando una persona parla dal basso di un grande ambiente vuoto la voce risuona in alto. Così avviene di te. Tu sei l'eco della mia voce, ma se Io non parlo, che cosa sei tu, Josefa?». «Sono io, Signore, che Ti impe­disco di venire? Perché sono già cinque giorni che non sei venuto!». «- No, tu non M'impedisci di venire, ma Mi piace quando Mi desideri e Mi chiami. Ritornerò presto a parlarti delle mie anime. Del resto se in qualche cosa tu Mi facessi di­spiacere, ti mostrerei la tua miseria e il tuo nulla, e ti manifesterei il dominio che ho su di te! «Addio, resta nascosta nel mio Cuore e lasciati col­tivare dalle delicatezze del mio Amore».

Martedì 12 dicembre 1922 ricompare all'ora abituale. «- Sì, Josefa, te l'ho detto: non devi rattristarti, perché il mio Amore prende cura di te e Io M'incarico di tenerti ben nascosta in fondo al mio Cuore. Voglio che tu non dubiti mai del mio Amore! Ricorda ciò che più volte ti ho detto: non sei che una piccola e miserabile creatura che deve abbandonarsi nelle mani del suo Cre­atore, con intera sottomissione alla sua divina volontà. «E ora scrivi ancora qualche cosa per le mie anime: «L'amore trasforma le loro azioni più comuni arric­chendole di un valore infinito, ma fa di più: «Il mio Cuore ama così teneramente queste anime che vuole utilizzare anche le loro miserie, le debolezze e spesso anche le loro mancanze. «L'anima che si vede circondata da miserie non si attribuisce niente di buono e quelle stesse miserie l'ob­bligano a rivestirsi di una certa quale umiltà che non avrebbe se si vedesse meno imperfetta. «Così quando nel suo lavoro o nel suo incarico apostolico essa sente al vivo la sua incapacità, quando prova ripugnanza ad aiutare le anime nel tendere a una perfezione che essa stessa non possiede, allora è costretta ad annientarsi. E se in questa umile conoscenza della propria debolezza essa ricorre a Me, chiedendoMi perdono del suo scarso slancio, implorando dal mio Cuore forza e coraggio, quest'anima non può sapere fino a qual punto i miei occhi si fissano su di lei e quanto rendo feconde le sue fatiche! «Altre anime sono poco generose nel fare, momento per momento, gli sforzi e i sacrifici di ogni giorno. La loro vita sembra trascorrere in belle promesse senza re­alizzazione. «Qui s'impone una distinzione: se queste anime si formano una certa abitudine a promettere, senza tuttavia reprimere in nulla la loro natura, né dare prova affatto di abnegazione e di amore, Io non dirò loro che queste parole: "Fate attenzione che il fuoco non prenda a tutta questa paglia che ammassate nei vostri granai, o che il vento non se la porti via in un istante". «Ma le altre - ed è di queste che intendo parlare - incominciano la giornata piene di buona volontà e animate da vivo desiderio di provarMi il loro amore: Mi promettono abnegazione e generosità in questa o in quell'altra circostanza... ma giunta l'occasione, il carattere, l'amor proprio, la salute, che so Io?... impediscono loro di attuare ciò che con tanta sincerità Mi avevano pro­messo qualche ora prima. Tuttavia subito dopo ricono­scono la loro debolezza e tutte confuse Mi chiedono perdono, si umiliano, rinnovano le loro promesse... Ah! si sappia bene che queste anime Mi piacciono come se non avessero nulla da rimproverarsi!» La campana diede il segno d'un esercizio comune di religione e Gesù, fedele al primo segno dell'obbedienza, partì subito.

 

LE GRAZIE DELL'AVVENTO E DEL NATALE

13 dicembre - 31 dicembre 1922

Giovedì 14 dicembre 1922, Gesù viene a trovarla nel silenzio della sua cella. «- Vedi  come sono per te un Padre e uno Sposo fedele! Non temere mai niente, neanche se sembra che la tempesta stia per scoppiare su di te». «- Dirai alla Madre che tutte le circostanze sono permesse o disposte dal mio Cuore in considerazione della mia Opera... che molte anime si salveranno per mezzo della mia Società... che le mie parole rianimeranno il fervore di molte mie spose... e che molte altre anime, che non ap­prezzano abbastanza il valore delle minime azioni fatte per amore, vi troveranno una sorgente di grazie e di conso­lazione». «- Addio, abbandonati a Me e non dubitare mai dell'amore del mio Cuore. Poco importa se il vento verrà altre volte a scuoterti; le radici della tua piccolezza sono affondate nella terra del mio Cuore. «Parlerò per le mie anime un altra volta;  ora consolaMi! Bacia se vuoi i miei piedi. Più tardi ti darò la mia croce».

«Stavo aspettando Nostro Signore mentre cucivo scrive il venerdi 15 dicembre 1922 - quando verso le otto e mezzo è venuto portando la croce, ma senza ombra di tristezza. Il suo Cuore, i suoi occhi erano più belli che mal!» Che gioia, Signore! Tu mi porti la croce!». «- La vuoi?. «- Prendila e consolaMi! Occupati dei miei interessi, poiché Io ho cura di te». «- Sì, è vero che non ho bisogno di nessuno... ma lascia che ti chieda amore e che per mezzo tuo Io Mi manifesti una volta di più alle anime. «Lascia che il mio Cuore si apra e si riposi diffon­dendo il suo amore su questo gruppo di anime scelte. Voglio che tutte le anime sappiano fino a qual punto questo amore le cerca, le desidera, le aspetta per ricolmarle di felicità. «Le mie anime non abbiano paura di Me... i peccatori non si allontanino da Me... Vengano a rifugiarsi nel mio Cuore! Li riceverò con tenerissimo e paterno amore. «Tu, Josefa, amaMi e non temere affatto la tua de­bolezza, poiché ti sosterrò. Tu Mi ami e Io ti amo. Tu sei mia e Io sono tuo. Che puoi volere di più?».

Il giorno dopo, sabato 16 dicembre 1922, Nostro Signore le in­segna il segreto del vero amore: «- Oggi tu devi consolarMi: mettiti proprio in fondo al mio Cuore e presentati al Padre mio ricoperta di tutti i meriti del tuo sposo. ChiediGli perdono per tante anime ingrate. Gli dirai che sei pronta a consolarLo e a riparare nella tua piccolezza le offese che riceve. Gli dirai che sei una vittima molto misera, ma ricoperta del sangue del mio Cuore. «Così passerai la giornata implorando il suo perdono e riparando. «Voglio che tu unisca l'anima tua allo zelo e all'ardore che consumano il mio Cuore. Sappiano le anime che Io sono la loro felicità e la loro ricompensa! Non si allon­tanino da me! Sì, amo tanto le anime... tutte le anime, ma soprattutto voglio che le mie anime scelte compren­dano la predilezione del mio Cuore per loro». «- E tu, Josefa, hai compreso l'Amore che ho per le anime?». «Ma certo, Signore! Tu sei sempre occupato di loro!». «- Per questo amo la mia Società e il mio Cuore si riposa in lei... Perché ha compreso il valore delle anime e la gloria del mio Cuore. Addio, Josefa, consolaMi e ri­para!».

La domenica 17 dicembre 1922, un po' prima della Messa delle nove, Egli la raggiunge in cella: «- Tu ieri Mi hai consolato perché non Mi hai lasciato solo. Ci sono tante anime che Mi di­menticano e tante che si occupano di mille e mille futilità e Mi lasciano solo giornate intere... molte altre che non ascoltano la mia voce... e tuttavia parlo loro continuamente... ma hanno il cuore legato alle creature e alle cose terrene.-. «Ti dirò tutto questo un'altra volta e ti farò conoscere la consolazione che Mi procurano le anime, specialmente le mie elette, quando non Mi lasciano solo!... Tu con­tinuerai a scrivere perché sappiano fino a qual punto il mio Cuore le ami! Ora va'... Ritornerò!».

Il 22 dicembre 1922 Josefa scrive: «Da cinque giorni Nostro Signore non è venuto. Tuttavia mi aveva detto che sarebbe tornato... La frase non è ancora finita che Nostro Signore è lì ri­splendente di bellezza: «Da cinque giorni Mi chiami, Josefa! Ed Io da quanti giorni, mesi, anni chiamo le anime ed esse non Mi rispondono! «Quando tu Mi chiami Io non sono lontano da te, ma vicinissimo! Quando chiamo le anime molte non Mi ascoltano... molte si allontanano!... Tu almeno consolaMi, chiamandoMi e desiderandoMi! Calma la mia sete con la fame che hai di Me!».

«Lunedì 25 dicembre 1922. ho visto Gesù piccolo, piccolo. Era so­stenuto da qualche cosa che non scorgevo e avvolto in un velo bianco che non lasciava scoperte se non le piccole braccia e i piedini. Le braccia erano incrociate sul petto ed i suoi occhi erano così incantevoli e sfavillanti di gioia che sembravano parlare. I capelli erano cortissimi; tutto in lui era piccolo. Con voce tenera e dolcissima mi ha detto: «Sì, Josefa, sono il tuo re!». -Sì, mio Gesù, Tu sei il mio re, e se i miei nemici e le mie cattive tendenze cercheranno di farmi cadere, non ci riusciranno, perché combatterò per rimanere sempre tua!». «Appunto perché tu combatti, Io sono il tuo re. Non aver paura che i nemici s’impadroniscano del tuo campo di battaglia, poiché ti difenderò Io, sebbene tu Mi veda tanto piccolo... e voglio anche te così. «E ora Josefa, vengo a chiederti un regalo. Me lo darai, non è vero?». «Voglio che tu Mi faccia una piccola veste ornata di molte anime... di quelle anime che il mio Cuore ama tanto!». «Vedi come sono piccolo! Voglio che tu sia ancora più piccola. E sai come?... Con la semplicità, l'umiltà, la prontezza ad ubbidire. Eppoi, Josefa, il mio Cuore cerca il caldo dell'amore, e solo le anime possono darglielo. Dammi tu questo calore e dammi delle anime. Te ne ho preparate tante! Non ritardare l'Opera mia!... «Se tu mi dai delle anime, Io ti do il mio cuore. Dimmi: chi di noi due fa il dono più grande?... «Ritornerò presto! intanto comincia la piccola tunica e dammi anime col tuo amore! Vedi quante si allonta­nano da Me... Non lasciarle fuggire... Povere anime!... non lasciarle andar via, Josefa. Non sanno dove vanno!». «Diceva tutto ciò con voce piena di tenerezza. Quando ha cominciato a parlare ha aperto le piccole braccia.

Il martedì 26 dicembre 1922, la Madonna è venuta, vestita come due anni fa, con un manto e il velo color rosa pallido. Stava in piedi e sul braccio destro teneva il Bambino Gesù avvolto in un velo bianco, come ieri, ma non si vedeva neppure la sua testolina. «Guarda, figlia mia, ti porto il tuo Gesù!». «E così dicendo L'ha scoperto». «MettiLo proprio in fondo al cuore. Vedi quanto ha freddo! Almeno tu riscaldaLo col tuo amore. E tanto buono e ti ama tanto! Sia Lui solo il re del tuo cuore!». «Mentre Essa mi parlava così il Bambino divino stava sempre disteso nelle braccia della Madre e alzava gli occhietti per guardarla e guardava pure me ogni tanto. «Gesù ha detto: «Madre mia, ho chiesto a Josefa di farMi una tunica guarnita di molte anime. Ce ne sono tante che Mi sfuggono... E tu sai quante ne affido alle anime che amo! Se esse rispondono alla mia richiesta daranno al mio Cuore la più grande delle consolazioni!». «Subito la Madonna ha soggiunto: «Sì, figliola, dagli delle anime e non lasciarle allontanarsi da Lui... Vedi?... Sta per piangere!...». «- Non temere, figlia mia, Gesù non vuole altro che la tua buona volontà. Sforzati, questo sì, e provaGli così il tuo amore. Sai come lo puoi fare? Gesù ti vuole piccola, molto piccola, tanto piccola da poter stare qui!». E con la mano indicava a Josefa lo spazio tra il suo cuore e il Bambinello, appoggiato al suo petto. «- Tu non sai quanto ci starai bene!» E Gesù agitando le braccine diceva: «- Prova, Josefa, e vedrai!». La Santissima Vergine: «- Sì, è vero, in certi momenti sei molto ingrata! Sai perché? Tu pensi più a te stessa che a Gesù! Non badare a ciò che ti costa, ma daGli prova del tuo amore facendo tutto quello che ti chiede. Se ti dice di parlare, parla; se ti dice di tacere, taci; se ti dice di amare, ama. Che t'importa il resto se Egli prende cura di te?». «Le ho promesso di obbedire e siccome Ella faceva l'atto di ricoprire il Bambinello, come per partire, le ho chiesto il permesso di baciarGli i piedi!». «- Sì, baciali». «Mentre li baciavo Gesù faceva scorrere la sua manina sul mio capo, con molta dolcezza... Ho anche baciato la mano della Madonna. Essa ha ricoperto Gesù Bambino dicendomi: «- Addio, figliola! Non dimenticare la piccola tu­nica! RiscaldaLo e daGli anime!».

Il mercoledì 27 dicembre 1922 «È venuto S. Giovanni durante la mia adorazione; aveva un aspetto di maestosa bellezza. Col braccio destro teso e la mano sinistra posata sul petto. Di statura slanciata, è un po' più alto e robusto di Nostro Signore e ha i lineamenti più duri e marcati. Ha gli occhi neri, il volto pallido, i capelli castani scuri. È avvolto di luce purissima e quando parla ha un tono così grave e pacato che le sue parole pene­trano in fondo all'anima. La sua voce è dolce e forte insieme ed ha qualcosa di celeste. «Ho rinnovato i voti e subito mi ha detto: «Anima, sposa del Cuore divino, poiché questo Maestro adorabile ha voluto mettere le sue delizie nei cuori puri, vengo a ravvivare in te il fuoco che deve consumarti di amore per quel Cuore divino. «È Lui che ci ha amati per primo. Bisogna che il nostro amore risponda al Suo con riconoscenza, costanza, tenerezza, generosità; che sia puro e senza mescolanza di interesse proprio. La bontà di questo Cuore divino ti sia sempre presente... e sia il movente primo di un amore che cerca solo il bene e la gloria di Colui che ama. «Anima che il divino Maestro ha scelta con predile­zione, fissa la tua dimora nel suo Cuore! Lasciati in­fiammare dal fuoco che lo consuma. Lasciati purificare ed inebriare dalle sue celesti dolcezze! «Il tuo passaggio sulla terra sia come quello della colomba che appena sfiora il suolo. Come l'ape sul fiore, l'anima tua non si riposi in questa vita se non per prenderne il necessario alimento. «Per un'anima che ama Gesù il mondo non è altro che un oscuro luogo di passaggio». «- Le anime vergini sono la dimora di amore dove l'Agnello Immacolato trova il suo riposo. Ma fra esse ce ne sono alcune che destano l'ammirazione del cielo. Il celeste Sposo le fissa col suo purissimo sguardo e in esse depone la soave fragranza che emana dal suo Cuore». «Allora stendendo il braccio destro, mi ha benedetta dicendo: «Lasciati possedere e consumare da Lui! Tutta la tua cura e il tuo ardore siano nel procurarGli gloria e amore. La sua pace ti custodisca!».

La sera del 27 dicembre 1922, «Verso le otto Gesù è venuto bellissimo, con la ferita del Cuore infiammata e largamente aperta». «Vieni, entra nel mio Cuore e riposa in lui! Più tardi Mi darai il tuo per mio riposo» e la inabissa nel suo Cuore.  Dopo poco più di un'ora di quest'ineffabile riposo, Gesù: «Non dimenticare dice che le anime che Io scelgo debbono essere vittime!». «Mentre Egli parlava ho visto una colombina bianchissima, con le ali grigie aperte, come se volesse slanciarsi verso il Cuore di Gesù. Ma ne era re­spinta da un dardo di fuoco che usciva dalla piaga e cadeva sulla testolina di un bianco smagliante. La co­lombina aveva una croce nera impressa un po' sotto la gola». Il Maestro divino le spiegherà il senso di quella visione, immagine della sua anima.

VIII

LA QUARESIMA DEL 1923

LA VIA DOLOROSA 10 gennaio - 17 febbraio 1923

Già il 3 dicembre dell'anno precedente, durante una funzione di Cresima nella cappella del Sacro Cuore, la Madonna le aveva annunziato che avrebbe dovuto trasmettere al Vescovo di Poitiers le parole di suo Figlio ed aveva aggiunto: «Quel Vescovo lo vedrai tre volte prima di morire».

Il lunedì 8 gennaio 1923 Josefa scrive così: «Questa mattina provavo un gran desiderio di Gesù. In questi giorni in cui soffro molto la Comunione è un immenso sollievo. Oggi poi, dopo una notte terribile trascorsa in inferno, aspettavo Gesù con brama ancora più viva! «Mentre ritornavo al mio posto, dopo essermi co­municata, ho visto ad un tratto Nostro Signore cammi­nare davanti a me. Si è voltato e mi ha detto: «Vieni, Josefa, il mio Cuore ti aspetta». «Subito ho rinnovato i voti ed Egli ha ripetuto: «Sì, il mio Cuore ti aspetta!». «Ho rinnovato i voti una seconda volta e Gesù ha proseguito: «Tu mi hai dato riposo, ora a mia volta voglio farti riposare!». «Il suo Cuore si è aperto e vi sono penetrata!». «Appena ne sono uscita gli ho con­fidato tutto il mio timore per il demonio e le sue mi­nacce, supplicandolo di non permettere mai che riesca ad ingannarmi». Gesù rispose: «Perché temi? Non sai che sono più potente di lui e di tutti i tuoi nemici? Il demonio con tutta la sua rabbia non può fare più male di quello che gli permette il mio amore. Sono Io che permetto i patimenti delle anime che amo. La sofferenza è necessaria a tutti, ma quanto più alle anime prescelte! Essa le purifica e così posso servirmi di loro per strappare molte anime all'in­ferno». «Non temere, affidati al mio Cuore che vi custodisce come la pupilla dei miei occhi! Sì, Josefa, il mio Cuore ama grandemente questa casa... benché più di una volta vi riversi l'amarezza del mio calice! «Ritornerò presto affinché tu scriva ancora i segreti del mio amore... Intanto, continua... continua a lavorare alla mia tunica!».

Il 21 gennaio 1923 La Madonna, le appare verso sera in cappella: «Perché hai vinto le tue ripugnanze per amore. il cielo si è aperto per l'eternità ad un'anima la cui salvezza era in pericolo. «Se sapessi quante anime possono essere salvate da questi piccoli atti!». «Gesù vuole che, finché tu vivi, le sue parole rimangano nascoste. Dopo la tua morte saranno cono­sciute da un capo all'altro della terra e molte anime alla loro luce si salveranno per la via della fiducia e del­l'abbandono al Cuore misericordioso di Gesù». «Figlia mia, non ti spaventare: l'opera di Gesù deve essere fondata sopra molta sofferenza e molto amore... Non temere: Gesù è onnipotente ed è Lui che agisce! E’ forte, ed è Lui che vi sostiene! E’ misericordioso, ed è Lui che vi ama!». «Egli conosce ciò che sta nell'intimo dei cuori e dispone Lui tutte le circostanze. Se a volte ti sembra che i suoi piani vengano ostacolati, è perché vuol custodirti così molto umile e molto piccola». «Certo tu sei ben misera, ma è proprio a causa di questa tua miseria che Gesù ha compassione di te e ti mette al si­curo in fondo al suo Cuore, affinché nulla possa nuocerti. Figlia mia, umiliati nella tua piccolezza e nella tua miseria, ma confida in Lui, perché ti ama e non ti ab­bandonerà mai. Tutta la tua ambizione sia di darGli molte anime, molta gloria, molto amore!». «Le chiesi di benedirmi ed Ella tracciò sulla mia fronte con due dita il segno di croce dicendo: «Sì, ti benedico con tutto il cuore». «E scomparve».

Il giovedì 10 febbrai’ 1923, Santa Maddalena Sofia le appare come messaggera di pace. La invita a recarsi nella cella che un tempo Ella santificò con la sua preghiera e santità. Le annuncia l'ingresso nel cielo di cinque sue figlie, di cui le dice il nome, e aggiunge: «Tu non puoi comprendere con quale gioia vedo venire qui le mie figlie dilette! Dall'alto del cielo le be­nedico con tenerezza di madre e spargo su di loro molte grazie... Il mio desiderio è che ciascuna di esse sia per il Cuore di Gesù un luogo di riposo e di amore».

Il 4 febbraio 1923, Santa Maddalena Sofia le dice: «Non stancarti di soffrire. Le anime che soffrono per amore vedranno cose grandi, non dico nel tempo, ma nell'eternità!».

E’ il sabato 10 febbraio 1923, Santa Maddalena Sofia: «La pace di Lui custodisca il tuo cuore, o figlia mia!... Presto Egli verrà: consolalo con grande fiducia. Non dimenticare che se è il tuo Dio, è anche tuo padre, e non soltanto tuo padre, ma anche tuo sposo. Non temere, e parlagli di tutto, poiché è sempre pronto ad ascoltarti. Il nostro Dio è così buono! Il suo Cuore così compassionevole!...» «ConsolateLo e amateLo. Il suo Cuore trovi riposo in questa casa, e la tua piccolezza Gli salvi molte anime!». «- Si, consolateLo con la vostra umiltà, poiché dove bene: non così dove essa manca!». «Addio! - le dice benedicendola; - non rifiutare niente al tuo Dio!».

   Fin da quella sera il demonio s'irrita furiosamente contro l'intrusione della Santa e soprattutto contro i suoi consigli. «Quella Beata annienta il mio potere anche con la sua sola umiltà». E come se fosse obbligato a rivelare il suo infernale segreto: «Ah! se voglio possedere del tutto un'anima non ho che da istigare in lei l'orgoglio... se voglio perderla non ho che da lasciarla andare dietro all'istinto del suo orgoglio! «E’ l'orgoglio che mi dà le mie vittorie, e non avrò riposo finché il mondo non ne sovrabbondi! Mi sono perduto per orgoglio, non consentirò che le anime si salvino con l'umiltà! «Questo è certo, tutte le anime che raggiungono la più alta santità si sono maggiormente sprofondate nell'abisso dell'umiltà!».

La domenica delle Quarantore, 11 febbraio 1923, durante la santa Messa, improvvisamente Gesù le appare. Ormai è un mese che non l'ha più visto: «- Josefa,  vuoi consolarmi?». «Non pensare a quello che sei. Ti darò la forza per tutto quello che ti chiederò. Non dimenticare, Josefa, che Io permetto le tue miserie e le mancanze affinché tu rimanga continuamente davanti al tuo nulla, nonostante le grazie che ti concedo». «Ora, occupiamoci delle anime!... Molte si per­dono... ma noi potremo strapparne molte altre alla via della perdizione, e il mio Cuore sarà almeno consolato delle offese che riceve. «Sai tu, Josefa, quanto i peccatori mi straziano e quanto ho bisogno di anime che riparino? «Perciò vengo a riposarmi tra quelle che Io stesso ho scelto. Sappiano esse, per mezzo della loro fedeltà e del loro amore, cicatrizzare le ferite inflittemi dai peccatori! Quanto è necessano che ci siano delle vittime per riparare l'amarezza del mio Cuore e alleviarne il dolore! Quanti peccati!... quante anime si perdono!...». «Ciò che unicamente voglio è l'amore: amore docile che si lascia condurre dall'azione di Colui che ama... Amore disinteressato, che non cerca né il suo piacere, né il vantaggio proprio, ma quelli dell'amato. Amore zelante, ardente, divorante, che sormonta ogni ostacolo frapposto dall'egoismo: ecco l'amore vero, che strappa le anime dall'abisso in cui precipitano». Incoraggiata da tanta condiscendenza, Josefa prosegue nelle sue ingenue domande: «Come mai - scrive, - dopo aver pregato mesi e mesi per un'anima, sembra che la preghiera non le abbia nulla ottenuto?... Come mai, Egli che desidera tanto la conversione dei peccatori, non tocca quei cuori induriti affinché tanti sacrifici e preghiere non vadano perduti? E gli ho parlato di tre peccatori, due soprattutto, per cui qui preghiamo da molto tempo!...». «Quando un'anima prega per un peccatore con l'ardente desiderio che si converta - risponde Gesù - essa ottiene molto spesso il suo ravvedimento, non fosse altro al termine della vita, e l'offesa ricevuta dal mio Cuore viene riparata. «Ad ogni modo la preghiera non è mai perduta, poiché da una parte consola il dolore che mi cagiona il peccato e, dall'altra, la sua efficacia e potenza servono, se non a quel determinato peccatore, almeno ad altre anime meglio disposte ad accoglierne i frutti. «Ci sono anime che durante la vita e per tutta l'e­ternità sono chiamate a tributarMi la lode che spetta loro ed anche quella che Mi avrebbero potuto procurare altre anime che si sono perdute... Così la mia gloria non rimane diminuita e un'anima giusta può riparare i peccati di molte altre. «La tua continua preghiera, o Josefa, sia questa: «Eterno Padre, per amore degli uomini hai dato alla morte il tuo Unigenito: per il suo sangue, per i suoi meriti, per il suo Cuore, abbi pietà del mondo intero e perdon  tutti i peccati che si commettono. «Ricevi l'umile riparazione che ti offrono le tue anime scelte! Uniscile ai meriti del tuo divin Figlio, affinché i loro atti acquistino una grande efficacia. «O eterno Padre! abbi pietà delle anime e ricordati che non è ancora giunto il tempo della giustizia, ma è ancora quello della misericordia!». «- Non rifiutarmi niente e non dimenticare che mi occorrono anime che continuino la mia passione per trattenere la collera divina. Ma Io ti sosterrò!». Il colloquio del mattino termina la sera stessa mentre Josefa si trova nella cappella delle Opere di cui è sacrestana. D'im­provviso Gesù le appare dicendole con bontà: «- Tu non puoi sapere come Io mi riposi in te!». «Ma, Signore, - ella risponde, - è mai possibile? Non faccio nulla di straordinario!». «- Non ti meravigliare!... Nonostante tante offese che ricevo dai peccatori, il mio Cuore è consolato perché ho molte anime che mi amano! Sì, senza dubbio sento molto la perdita di tante anime... ma questo dolore non tocca la mia gloria. Comprendilo bene: un'anima amante può riparare per le offese di molti peccatori e consolare il mio Cuore». «- L'umiltà di cui ti ha parlato la tua Beata Madre non consiste precisamente in parole ed atti esterni, bensì nella fedeltà dell'anima, mossa dalla grazia a seguirne tutte le ispirazioni senza lasciarsi trascinare dalle suggestioni dell'amor proprio. Tuttavia nulla impedisce a quest'anima di aiutarsi con atti esterni per acquistare la vera e solida umiltà. Questo ha voluto dirti la tua Beata Madre. «E ora ecco che cosa farai per consolarmi dei peccati del mondo... soprattutto di quelli delle mie anime consacrate. Durante la Quaresima reciterai ogni giorno il Miserere con vera umiltà aggiungendovi il Pater. «Ti prostrerai a terra tre volte durante lo spazio di un'Ave Maria per chiedere perdono e misericordia a nome dei peccatori e con questa stessa intenzione farai le pe­nitenze che ti verranno permesse». Poi il Signore esprime il desiderio che tre volte per setti­mana, tra le undici e mezzanotte, Josefa si unisca alla sua preghiera per placare la collera del Padre e ottenere perdono per le anime. Essa non osa impegnarsi per quest'ultima richiesta: «Poiché - dice, - chissà se me lo permetteranno?». «- Sottomettila come tutto il resto al giudizio delle tue Superiore . E ora, voglio di nuovo riprendere le mie confidenze. «- Durante questa Quaresima ti farò anche cono­scere tutto quello che nell'anima tua potrebbe dispiacermi e mi servirò di te per consolare il mio Cuore ogni volta che ne avrò bisogno. «- Addio, ritornerò presto!... Non lasciarmi solo... Non dimenticarmi!».

Il martedì delle Quarantore, 13 febbraio 1923, si trova nuovamente di fronte all'infinito dolore di Gesù ch'essa condivide con tutta l'anima. Mentre fa la Via Crucis con le consorelle, Nostro Signore le appare triste e sanguinante, ma col Cuore infiammato. Egli le chiede di rimanere con Lui qualche momento. Josefa, ottenuto il permesso, si reca in cappella dove è esposto il Santissimo: «- Guarda il mio volto, Josefa; è il peccato che lo riduce così! Il mondo si precipita nei piaceri. Il numero dei peccati che si commettono è così grande, che il mio Cuore è come affogato in un torrente di mestizia e di amarezza! «Dove troverò un sollievo al mio dolore? «Perciò vengo a rifugiarmi qui ed a cercare l'amore che mi faccia dimenticare l'ingratitudine di tante anime!...» «- Vieni con Me nella tua cella. Là, ripareremo insieme tante offese e tanti peccati». «Sono uscita di cappella e Gesù camminava davanti a me... poi disparve. Appena ho aperto la porta della cella Egli era già là. Mi sono inginocchiata ed Egli ha detto: «- Prostrati fino a terra e adora la divina Maestà disprezzata dagli uomini. «Fa' un atto di riparazione e ripeti con me: «O Dio infinitamente santo! Ti adoro, mi prostro umilmente alla tua presenza e ti prego nel nome del tuo divin Figlio di perdonare a tanti peccatori che ti offendono! Ti offro la mia vita e desidero riparare tante ingratitudini!». «Si fermò ancora, e siccome gli ho domandato se queste anime peccatrici lo ferivano: «- Si, Mi offendono grande­mente, ma le mie anime scelte Mi consolano». «Di tanto in tanto gli rivolgevo la parola e gli esprimevo il mio desiderio di consolarlo... Ma che posso fare?... Così misera, e capace di così poco?...» «- Certo. Ma non sai che poco m'importa la miseria?... Ciò che voglio è di essere Io il padrone della tua miseria! Non pensare ad altro... il mio Cuore tutto trasforma! «Bacia un'altra volta la terra e ripeti con me: «Padre mio, Dio santo e misericordioso, ricevi il mio desiderio di consolarTi. Vorrei poter riparare tutte le offese degli uomini... ma siccome ciò mi e impossibile, ti offro i meriti di Gesù Redentore del genere umano, per soddisfare la tua giustizia». «Dopo un istante di silenzio gli ho domandato se il demonio mi avrebbe perseguitato anche la prossima notte come le precedenti, o se avrei potuto fare l'ora santa, stasera, con le altre». «- Sì, ti lascerò passare quest'ora unita ai sentimenti del mio Cuore che si consuma per la brama di attirare a sé le anime e perdonarle. «Poveri peccatori, quanto sono ciechi! Io non desidero che perdonarli ed essi non pensano che ad offendermi. «Ecco il massimo dei miei dolori! Che tante anime si perdano invece di venire tutte a me per essere perdonate dal mio Cuore!». «Dal momento in cui l'anima si getta ai miei piedi e implora misericordia Io dimentico tutti i suoi peccati». «Gli ho domandato se fino alle fine del mondo ci saranno sempre tante anime che l'offendono». «Purtroppo sì!... Ma fino alla fine del mondo avrò anche anime che mi consoleranno!». «Ho voluto sapere se Egli non fa udire la sua voce alle anime immerse nel peccato per strapparle da quello stato: perché lo vedo bene in me: quando mi trovo nella tentazione e gli resisto, ad un tratto sento in me qualche cosa che mi fa comprendere la verità e subito mi trovo presa dal rimorso. Gesù mi ha risposto. «Sì, Josefa; corro dietro al peccatore come la giustizia dietro ai delinquenti. Ma la giustizia li cerca per punirli, ed Io per perdonarli!». «Le mie anime sono per il mio Cuore quello che è il balsamo per le ferite! «Ritornerò più tardi, Josefa, continua a consolarmi!».

Il sabato 17 febbraio 1923 la Madonna viene a recarle il pegno più gradito: la corona di spine del suo divin Figlio! «È per te, figlia mia. Non pensare più a tutte le menzogne con le quali il demonio cerca di turbarti». E siccome Josefa le dice la sua pena per non sapere come resistere a tante insidie, la Madre celeste le confida il gran segreto: «- Pensa alla passione e ai dolori di Gesù». Poi, posando la corona di spine sul capo della sua figliuola: «- Prendila - aggiunge benedicendola: - essa ti manterrà alla presenza di mio Figlio». Dopo qualche ora Gesù le appare con la sua pace: «- Vieni... accostati, e promettimi di non lasciarti più prendere così negli agguati del nemico». «- Se cadrai... Io ti rialzerò». Allora ella gli confida ingenuamente il consiglio datole dalla Madre Immacolata che ella già si sforza di praticare fissando il pensiero, momento per momento, sulla passione di Lui. «- Si, pensa alle mie sofferenze!». «- D'ora in poi verrò ogni giorno a parlarti della mia passione, affinché essa sia l'oggetto dei tuoi pensieri e delle mie confidenze per le anime».

 

I SEGRETI DELLA PASSIONE. IL CENACOLO 18-28 febbraio 1923

Dopo la notte dal sabato alla domenica 18 febbraio 1923 Non so che ora fosse quando la sua voce mi ha destata: «Josefa!». «Sono rimasta confusa e gli ho detto: Gesù mio, perdonami! che ore sono?». «Poco importa, Josefa... E’ l'ora dell'amore». «Gesù era bellissimo, portava la croce. Ho rinnovato i voti e mi sono alzata. «E’ l'ora in cui l'Amore viene a cercare conforto e sollievo lasciandoti la sua croce. Imploriamo perdono e clemenza per le anime... Prendi la mia croce e riposami!». … Scrive Josefa: «Mi sentivo indegna di portare la sua croce!. «Poco importa mi ha detto: la croce si appoggerà sulla tua miseria ed Io mi riposerò nella tua piccolezza... La mia croce ti fortificherà e Io ti sosterrò. «Quando un 'anima viene a me per cercare forza, Io non la lascio sola: la sostengo, e se la sua debolezza la tradisce, la rialzo. «Ora chiediamo perdono per le anime... ripariamo le offese fatte alla Maestà divina. «Ripeti con me; "O Dio santissimo e giustissimo!... Padre di clemenza e d'infinita bontà! Tu hai creato l'uomo per amore, e per amore l'hai fatto erede dei beni eterni: se per debolezza egli Ti ha offeso ed è degno di castigo, ricevi i meriti del tuo Unigenito che s'offre a Te come vittima d'espiazione! «Per quei meriti divini perdona all'uomo peccatore e degnati rendergli i suoi diritti all'eredità celeste. O Padre mio, pietà e misericordia per le anime! «Josefa, Io ti lascio la mia croce perché tu mi dia sollievo. Io sono la tua forza! Consolami!». «Allora - scrive - se n'è andato, lasciandomi la croce».

 

La sera del lunedì 19 febbraio 1923 ella rinnova la sua offerta prima di addormentarsi. «Non so se sia stata la sua voce o la sua presenza a risvegliarmi verso le undici... Gesù era là con la sua croce e mi diceva: «- Josefa, mi ami?». «Non ho osato rispondere perché, misera come sono, non so amare!... Gli ho chiesto perdono per essermi lasciata turbare da piccolissime cose, che non ne valgono la pena». «Sì, fa' profitto di tutte queste piccole occasioni per salvarmi delle anime». «- Prendi la mia croce e tutti e due mettiamoci a riparare tanti peccati che in questa ora si commetteranno. Se tu sapessi come le anime si precipitano in massa nella colpa!». «- Adoriamo la Maestà divina offesa e oltraggiata. Ripariamo per tanti peccati. «O Dio, infinitamente santo... Padre infinitamente misericordioso! Ti adoro. Vorrei riparare tutti gli oltraggi che ricevi dai peccatori su tutta la faccia della terra e in ogni istante del giorno e della notte. Vorrei soprattutto, o Padre mio, riparare le offese e i peccati che si commettono in quest'ora. Ti presento tutti gli atti di adorazione e di riparazione delle anime che Ti amano. Ti offro in special modo l'olocausto perpetuo del Figlio tuo che s'immola sugli altari in tutti i punti della terra... in tutti gli istanti di quest'ora. O Padre infinitamente buono e compassionevole, ricevi quel sangue purissimo in riparazione degli oltraggi degli uomini, cancella le loro colpe e fa' loro misericordia!». «- Offri tutta te stessa per riparare tante offese e per soddisfare la giustizia di Dio». «Se la tua indegnità e i tuoi peccati sono grandi, vieni a sommergerli nel torrente del sangue del mio Cuore e lasciati purificare. Poi accetta generosamente tutti i patimenti che t'invia la mia volontà per offrirli al mio Padre celeste. Lascia che la tua anima s'infiammi dal desiderio di consolare un Dio oltraggiato, e serviti dei miei meriti per riparare tanti peccati». Gesù sta per lasciarla: Josefa allora si fa ardita e Gli ricorda la promessa di parlarle della sua passione. «Sì, ritornerò. Intanto consola il mio Cuore e ripara».

Nella notte dal mercoledì al giovedì 22 febbraio 1923 Nostro Signore viene ancora una volta a svegliarla. «Eccomi! Vengo a riposarmi in te!». Ella si alza immediatamente, rinnova i voti e si offre per togliere la croce dalle spalle divine. «Sì, Josefa, te la darò e, con la croce, tutte le angosce del mio Cuore!». «Subito mi ha dato la croce e ho cercato di consolarlo. «Dimmi, esiste forse un Cuore più amante del mio, e che trovi meno corrispondenza al suo amore? «Esiste un Cuore che, più del mio, si consumi dal desiderio di perdonare? «Eppure, in ricambio di tanto amore, non ricevo che le più grandi offese! «Povere anime!... domandiamo perdono e ripariamo per esse: «O Padre mio, abbi pietà delle anime. Non le punire come meritano, ma usa loro misericordia, come il Figlio tuo ti supplica! «Vorrei riparare le loro colpe e renderti la gloria che ti è dovuta, o Dio infinitamente santo, ma guarda il Figlio tuo: Egli è la vittima di espiazione per tanti peccati! «Rimani unita a me, Josefa, e accetta con intera sottomissione tutte le sofferenze di quest'ora!». Gesù se ne va, e un'ora passa sotto il peso di quella sofferenza. «Ad un tratto   scrive   mi apparve il demonio e gettò questo grido di rabbia: «Ed ora tocca a me!». La notte termina sotto i suoi colpi, le minacce, le bestemmie, e Josefa, affranta, non trova forza che per andare a cercare la Comunione.

Quel mattino stesso, giovedì 22 febbraio 1923, mentre ella, rifugiatasi nella piccola cella si riposa un istante, trascrivendo le preghiere dette con Gesù la notte precedente, Egli appare improvvisamente. «- Josefa, sposa e vittima del mio Cuore, vengo a parlarti della mia passione af­finché l'anima tua si alimenti continuamente di questo ricordo e le mie anime trovino di che saziare la loro fame ed estinguere la loro sete». «Non osavo interromperlo, tuttavia gli ho chiesto di permettermi di rinnovare i voti». «- Sì, rinnovali: Io mi glorifico sempre quando stringo i vincoli che ti uniscono a me, e ricolmo l'anima tua di tante grazie, che non solamente la sua purezza è rinnovata come nel giorno dei voti, ma acquista ogni volta un nuovo grado di merito che la rende più cara ai miei occhi. «Così avviene per tutte le anime che mi sono unite con questi vincoli indissolubili e sacri. Ogni volta che li rinnovano si arricchiscono di nuovi meriti e si avvicinano ancora di più al mio Cuore che si compiace in esse. «Ora, Josefa, comincerò a svelarti i sentimenti che mi riempirono il Cuore quando lavai i piedi dei miei apostoli. «Osserva come li ho riuniti tutti e dodici, senza e­scluderne alcuno. Là c'era Giovanni, il prediletto, e Giuda, che poco dopo doveva darmi in mano ai nemici. «Ti dirò perché volli riunirli tutti e perché cominciai col lavare loro i piedi. «Li ho riuniti tutti perché era venuto il momento per la mia Chiesa di apparire al mondo e, per tutte le pe­corelle, di non avere più che un unico pastore. «Ho voluto inoltre mostrare alle anime che, anche quando sono cariche dei peccati più gravi, non rifiuto loro mai la mia grazia e non le separo mai da quelle che amo con predilezione. Custodisco nel mio Cuore le une e le altre per dare ad ognuna gli aiuti necessari al suo stato... «Ma quale dolore provai nel vedere rappresentate nel disgraziato Giuda tante anime, spesso riunite ai miei piedi, lavate col mio sangue, e in corsa verso la perdizione eterna! «Ad esse vorrei far comprendere che il loro stato di peccato non deve farle allontanare da me. Non credano chè non vi sia più rimedio e che non saranno più amate come una volta... No, povere anime, questi non sono i sentimenti di un Dio che sta per versare per voi tutto il suo sangue! «Venite a me, tutte, e non temete, perché vi amo!... Vi purificherò col mio sangue e diverrete più bianche della neve... I vostri peccati saranno sommersi nell'acqua in cui Io stesso vi laverò, e nulla mi potrà strappare dal Cuore quell'amore che ho per voi. «Josefa, lasciati invadere oggi dal desiderio ardente che tutte le anime, e specialmente i peccatori, vengano a pu­rificarsi nelle acque della penitenza, che si abbandonino a sentimenti di fiducia e non di timore, perché Io sono il Dio della misericordia sempre pronto a riceverle nel mio Cuore». Qui termina il primo dettato di Nostro Signore che Josefa ha scritto con rapidità in una ventina di minuti.

La sera stessa del giovedì 22 febbraio 1923, quando sta termi­nando la Via Crucis, viene a ricordarle che conta su di lei. Questa volta si tratta di tre anime... «- non solo amatissime, ma predilette dal mio Cuore», «- Per esse vengo a rifugiarmi qui e a cercare consolazione tra voi. Bada, Josefa, che ciò che il demonio ti ha detto stamani è vero: molte anime qui trovano la vita». «- Voi le attirate alla verità, o anime carissime al mio Cuore, con le vostre miserie e il vostro amore». «- Sì, qui predominano due cose: la miseria e l'amore. Per motivo dell'amore molte anime qui trovano la vita; e lo sguardo di Dio si è fissato sopra questo gruppo di anime attirato dalla miseria».

La sera dopo, venerdì 23 febbraio 1923, al termine della Via Crucis ch'ella ha fatto con le consorelle Nostro Signore le si mostra: «Era davanti alla balaustra - scrive. - Portava la croce e lo sguardo ci fissava tutte». «- Quanta consolazione mi date. Oh, se poteste vedere, quante meraviglie scoprireste! Le vostre preghiere si cambiano in tesori per le anime!». «Nel dire queste parole Egli mi si avvicinò... porgendomi la croce. Gli confidai i miei timori poiché nelle notti precedenti il demonio non cessava d'insultare la casa...». «Non temere, Josefa. Non può che minacciare, perché vi custodisco Io, che sono l'Onnipotente. Vi odia perché vi amo: se tu sapessi quale opera importante si compie in questa casa, e come voi lavorate per le anime e per il mio Cuore!... «Ma, ora il mio Cuore versa in un mare di amarezze per quelle tre anime che vi ho af­fidate. «Finché esse mi offenderanno verrò a cercare riposo e consolazione presso di voi. «Ti consegno la mia croce, non lasciarmi solo!». «Amatemi e consolatemi!».

Il 25 febbraio 1923, domenica, Gesù la raggiunge nella cella, fin dal mattino. «Perché temi? Hai an­cora parecchie imperfezioni, ma non si tratta di peccati, come ti accusa il demonio... Rinnova i voti, serrando sempre più i vincoli che ti stringono a me. «Ed ora Josefa, ricordati che non sei che uno stru­mento molto inutile e miserabile. «Bacia la terra e scrivi, poiché continuerò a dirti i miei segreti di amore. «Oggi ti dirò perché volli lavare i piedi dei miei apostoli prima della Cena. «Fu innanzi tutto per mostrare alle anime quanto de­sidero che siano pure quando mi ricevono nell'Eucarestia. «Fu anche per ricordare a quelle che hanno avuto la disgrazia di cadere che esse possono sempre ricuperare il candore perduto per mezzo del sacramento della Peni­tenza. «Volli lavare Io stesso i piedi dei miei apostoli affinché a mio esempio coloro che si dedicano ai lavori apostolici sappiano umiliarsi davanti ai peccatori, come davanti alle altre anime loro affidate e trattino tutti con dolcezza. «Volli cingermi con un asciugatoio per indicare loro che l'apostolo deve cingersi di mortificazione e di abne­gazione, se vuole toccare efficacemente le anime... «Volli altresì insegnare loro la carità scambievole, sempre pronta a lavare i difetti del prossimo, vale a dire a dissimularli e scusarli senza mai divulgarli. «Infine l'acqua che versai sui piedi dei miei apostoli fu immagine dello zelo che divora il mio Cuore per la salvezza degli uomini... «In quell'ora tanto prossima alla redenzione del genere umano il mio Cuore non poteva contenere l'ardore che lo divorava: ed il mio amore infinito per gli uomini non poté risolversi a lasciarli orfani. «Quindi per provare loro questo amore e per restare con essi fino alla consumazione dei secoli volli diventare loro alimento, loro sostegno, loro vita, loro tutto... «Ah, quanto vorrei far conoscere a tutte le anime i sentimenti del mio Cuore, e penetrarle dell'amore che m’infiammava per loro quando istituii il sacramento dell'Eucaristia! «In quel momento vidi nel corso dei secoli tutte le anime che si sarebbero cibate del mio corpo e dissetate del mio sangue, ed i frutti divini che ne avrebbero rac­colto. «In quanti cuori questo sangue immacolato avrebbe generato purezza e verginità... In quanti altri avrebbe acceso le fiamme della carità e dello zelo!... Quanti martiri d'amore si raggruppavano in quel momento dinanzi ai miei occhi e nel mio Cuore!... Quante anime, dopo aver commesso molti e gravi peccati, indebolite dalla violenza delle passioni, sarebbero venute a ritrovare vigore nu­trendosi del pane dei forti! «Chi potrà penetrare i sentimenti che si affollarono nel mio Cuore in quei momenti?... sentimenti di gioia, d'amore, di tenerezza... Ma chi potrà comprendere anche la sua amarezza? «Continuerò, Josefa. Va' ora nella mia pace. Conso­lami, non temere di nulla, perché il mio sangue non ha perduto la sua efficacia... e purifica l'anima tua!...» «- Addio, bacia la terra, ritornerò!».

 

L'EUCARISTIA 1-11 marzo 1923

Il 2 marzo 1923, primo venerdì del mese, verso le nove del mattino, «Ad un tratto, in fondo alla scala di S. Michele, m'incontrai con Gesù. Mi fermò e mi disse: «- Josefa, dove vai?». «Vado al guardaroba per rivedere le uniformi, Signore». «- Va' in cella perché voglio che tu scriva». Ella nasconde in sé il desiderio di mandare avanti il lavoro e sale in cella, dove Gesù l'ha preceduta. «- Chi ti ha creata, Josefa?». «Tu, o mio Dio!». «- Chi ti ha dato maggiori prove di amore di me?... Chi ti ha perdonato così spesso come ti ho perdonato Io, che sono tuttora pronto a perdonarti?...». Confusa, ella si prostra ai suoi piedi. «Sì, umiliati, Josefa, bacia la terra e non resi­stermi più. «Ora scrivi per le mie anime: «Voglio far loro conoscere la tristezza che inondò il mio Cuore durante la Cena: poiché, se fu grande la mia gioia al pensiero delle anime di cui mi facevo alimento e compagno, e dalle quali fino alla fine dei secoli avrei ricevuto la testimonianza di adorazione, di riparazione e di amore, non fu però minore la mia tristezza alla vista di tante altre che mi avrebbero lasciato nella solitudine o non avrebbero neppure creduto alla mia presenza reale. «In quanti cuori macchiati di peccato avrei dovuto entrare!... e quante volte la mia carne e il mio sangue profanati non avrebbero servito che alla condanna per molte anime! «Vidi in quel momento i sacrilegi, gli oltraggi, le abominazioni orribili che si sarebbero commesse contro di me!... Quante ore, quante notti avrei dovuto passare nella solitudine del tabernacolo! E quante anime avrebbero ri­fiutato gli amorosi inviti che dal tabernacolo avrei fatto loro udire! «Josefa, lasciati penetrare dai sentimenti del mio Cuore! «Per amore delle mie anime rimango prigioniero nel­l'Eucaristia. Sto là affinché in tutte le loro pene possano venire a consolarsi col più tenero dei Cuori, col migliore dei Padri e l'Amico che non abbandona mai. «L'Eucaristia è l'invenzione dell'amore. Ma quest'amore che si esaurisce e si consuma per il bene delle anime non è corrisposto... «Abito tra i peccatori per essere la loro salvezza e la loro vita, il medico e nello stesso tempo la medicina per tutte le malattie, generate dalla loro natura corrotta... Essi in cambio si allontanano da Me, Mi oltraggiano, Mi disprezzano!... «Poveri peccatori! Non vi allontanate da me!... Vi aspetto nel tabernacolo notte e giorno!... Non vi rimpro­vererò per i vostri delitti... non ve li rinfaccerò... ma vi laverò nel sangue delle mie Piaghe! Non temete dunque... Venite a me... Se sapeste quanto vi amo!... «E voi, anime care, perché siete così fredde, così in­differenti al mio Amore?... So che le necessità della vostra famiglia, della vostra casa... le esigenze del mondo vi chiamano incessantemente... Ma non troverete mai un momento per venire a darmi una prova di amore e di riconoscenza?... Non vi lasciate sommergere da tante preoccupazioni inutili e riservate un momento per visitare e ricevere il Prigioniero d'Amore! «Se il vostro corpo fosse debole e infermo non tro­vereste forse il tempo per andare dal medico che deve guarirvi? Venite dunque a Colui che può farvi recuperare le forze e la salute dell'anima... Fate un'elemosina di amore a questo Prigioniero divino che vi aspetta, vi chiama, vi desidera!... «Tutti questi sentimenti mi pervasero al momento della Cena, Josefa. Però non ti ho ancora detto ciò che provò il mio Cuore al pensiero delle mie anime consacrate, delle mie spose, dei miei sacerdoti!... Te lo dirò in seguito. Ora va', e non dimenticare che il mio Cuore ti ama. E tu, mi ami?...». Josefa risponde alla richiesta di Gesù più con la coraggiosa fedeltà che con proteste di amore. Nella notte seguente, dolo­rosissima, ella ha potuto capire, tra le bestemmie dell'inferno, che le tre anime care al Cuore di Gesù, e per cui ella soffriva da quindici giorni, sono sul punto di ritornare a Lui. L'anima sua è rinvigorita.

La sera del primo sabato del mese, 3 marzo 1923, mentre sta in adorazione davanti al Santissimo esposto, Gesù le appare col Cuore in fiamme: «Josefa, lasciami ri­posare in te, lascia che il mio Cuore ti comunichi la sua gioia: quelle tre anime che vi avevo affidate sono ritornate a me!...». «- La mia croce è pesante, per questo vengo qui a riposarmi e a darne una parte a ciascuna delle mie anime. Il mio Cuore cerca vittime per ricondurre il mondo all'Amore, e qui Egli le trova!». Josefa gli domanda se non vorrà comunicarle, per le anime consacrate, ciò che aspetta da loro nell'Eucaristia. «Sì, voglio che tu lo sappia af­finché per mezzo tuo queste anime che sono l'oggetto delle mie predilezioni, i miei sacerdoti, le mie spose, lo sappiano a loro volta. Perché se le loro infedeltà mi feriscono profondamente, il loro amore consola e rapisce il mio Cuore a tal punto che quasi dimentico le offese di molte anime!». «Allora continuò a parlarmi a lungo su questo ar­gomento: siccome però eravamo in cappella, fui costretta a dirgli che difficilmente mi sarei ricordata di tutto per poi scriverlo». «Poco importa, lasciami parlare ed effondere il mio Cuore!».

La sera della domenica 4 marzo 1923, mentre termina la Via Crucis, Gesù le appare improvvisamente: «Se vuoi consolarmi, ecco il mo­mento. Questa sera, qui vicino, si tiene un convegno ove Io sarò molto offeso. Mettiti in stato di vittima in modo da riparare gli oltraggi di quelle anime. Povere anime, quanto mi offendono!... e poi in quale stato usciranno di là?...». Trascorrono pochi momenti e Gesù la raggiunge in cella, ove si è messa a supplicare per quelle anime. Egli le dà la croce e dirige la sua preghiera. «Mentre quelle anime offendono la tua sovrana maestà e oltraggiano con furore il sangue del Figlio tuo, permettimi, o Padre, che ti presenti quest'anima che si offre come vittima, unita al mio Cuore, per soffrire e riparare. Accetta per queste anime, o Padre di bontà, le sue sofferenze unite ai miei meriti!». «Lascia ora che immerga l'anima tua nell'ama­rezza del mio Cuore!». «Verso le dieci è ritornato e mi ha detto: «- Rendimi la croce; voi mi avete consolato!». «- Si, all'ora e al momento in cui' ho bisogno di te, vieni a medicarmi le ferite cagionatemi dai peccatori. «Voi mi avete dato da bere. Io vi metterò a parte del Regno dei Cieli».

Martedì 6 marzo 1923: «- Josefa, mi aspetti? - le chiede trovandola alle otto del mattino. «Vengo a rivelarti il più grande mistero dell'Amore... e dell'Amore per le anime da me scelte e a me consa­crate. Comincia col baciare la terra... «Nel momento d'istituire l'Eucaristia vidi presenti tutte le anime privilegiate che dovevano cibarsi del mio Corpo e del mio Sangue e che vi avrebbero trovato alcune rimedio alla loro debolezza, altre fuoco divoratore che avrebbe consumato le loro miserie e le avrebbe accese di amore... «Tutte unite per un medesimo fine, sarebbero come un giardino in cui ciascuna avrebbe prodotto il suo fiore e mi avrebbe ricreato con la sua fragranza. Io riscalderei quelle che avessero bisogno di calore, e il mio corpo santissimo sarebbe il sole che le rianimerebbe. Mi avvi­cinerei ad alcune per consolarmi, ad altre per nascon­dermi, ad altre per riposarmi... Oh, se sapeste, anime carissime, quant'è facile consolare, nascondere, far riposare un Dio! «Questo Dio che vi ama d'amore infinito, dopo avervi liberato dalla schiavitù del peccato, ha seminato in voi la grazia incomparabile della vocazione religiosa e vi ha misteriosamente attratte nel giardino delle sue delizie. Questo Dio, vostro Redentore, si è fatto vostro Sposo. «Egli stesso vi ciba col suo Corpo purissimo e vi disseta col suo Sangue. «Se siete malate, Egli è il vostro medico: venite a Lui e vi guarirà. Se avete freddo, venite a Lui per riscaldarvi. In Lui troverete riposo e felicità. Non vi allontanate dunque da Lui che è la vita e quando vi chiede di consolarlo, non lo ferite con un rifiuto... «Quale amarezza fu per me il vedere tante anime favorite dalle mie grazie di predilezione divenire per il mio Cuore causa di dolore! Non sono forse sempre lo stesso? Sono forse cambiato a vostro riguardo? No, l'Amore mio è immutabile, e fino alla fine dei secoli vi amerò con predilezione. «So che siete piene di miserie, ma per questo non ritrarrò da voi il mio più tenero sguardo; al contrario, ansiosamente aspetto che veniate a me, non solo per al­leviare le vostre pene, ma per ricolmarvi di nuovi benefici. «Se vi chiedo amore, non me lo negate; è così facile amare Colui che è lo stesso Amore! «Se chiedo qualcosa che costa alla vostra natura, vi do nello stesso tempo la grazia e la forza necessaria per vincervi. «Vi ho scelto perché siate il mio conforto. Lasciatemi dunque entrare nell'anima vostra e se non avete nulla che sia degno di me, ditemi con umiltà ma con fiducia: Si­gnore, vedi quali fiori e quali frutti produce il mio giardino... Vieni e insegnami ciò che debbo fare, affinché oggi stesso possa cominciare a sbocciare in me il fiore che desideri! «All'anima che mi dice questo, con vero desiderio di provarmi il suo amore, Io risponderò: Anima cara, affinché il tuo giardino produca il fiore che amo, lascia che lo coltivi Io stesso, lascia ch'Io lavori questa terra, lasciami strappare oggi certe radici che mi disturbano e che la tua forza non arriva a togliere... Se ti chiedo il sacrificio dei tuoi gusti, del tuo carattere... quell'atto di carità, di pa­zienza, di abnegazione, quella prova di zelo, di obbedienza, di mortificazione, tutto ciò sarà il concime che migliorerà la terra e le farà produrre fiori e frutti. La vittoria sul tuo carattere otterrà luce per un peccatore, una pena sop­portata allegramente rimarginerà la ferita ch'egli mi ha fatto; ne riparerà l'offesa, ne espierà la colpa. Se non ti alteri ricevendo un'osservazione, ed anzi l'accetti con gioia, otterrai che le anime accecate dall'orgoglio si umilino e chiedano perdono. «Questo è ciò che farò con l'anima tua se mi lasci lavorare liberamente. Allora i fiori vi cresceranno rapi­damente e tu sarai la consolazione del mio Cuore! Io cerco questa consolazione e la voglio trovare tra le mie anime scelte». «Signore! già sai che ero disposta a lasciarti fare di me ciò che volevi, ma... sono caduta, e ti ho disgustato. Perdonerai ancora a me che sono così miserabile e che non posso servirti in nulla?». «Sì, anima cara, le tue cadute stesse servono a consolarmi. Non ti scoraggiare, perché quell'atto d'umiltà che il tuo difetto ti obbliga a fare mi ha consolato più che se tu non fossi caduta. Coraggio, va' avanti e lasciami lavorare in te! «Ecco ciò che Io vidi chiaramente quando istituii l'Eucaristia. L'amore m infiammava dal desiderio di essere Io stesso cibo di queste anime. Non sono rimasto tra gli uomini soltanto per vivere coi più perfetti, ma per so­stenere i deboli ed alimentare i piccoli. Io li farò crescere ed irrobustire. Mi consolerò nei loro buoni desideri e mi riposerò nelle loro miserie... «Ma, tra queste anime scelte non ve ne saranno di quelle che mi daranno pena? persevereranno tutte? Questo il grido di dolore che esce dal mio Cuore... questo il gemito che voglio far udire alle anime! «Basta, per oggi. Addio, Josefa, tu mi consoli quando ti doni a me con totale abbandono... Lascia che ti confidi i miei segreti per le anime... perché non sempre posso parlare così. Lasciami approfittare dei giorni della tua vita!».

Il giorno seguente, mercoledì 7 marzo 1923: «Bacia umilmente la terra!» dice Gesù. «Scrivi quello che soffrì il mio Cuore nell'ora in cui, non potendo contenere il fuoco che mi consumava, inventai questa meraviglia di amore che è l'Eucaristia! Contemplando allora tutte le anime che si sarebbero cibate di questo pane divino, vidi pure tutta la freddezza di tante anime consacrate, di tanti sacerdoti... Quale soffe­renza per il mio Cuore! Vidi quelle anime raffreddarsi... abbandonarsi alla forza dell'abitudine e, peggio ancora, alla rilassatezza, alla noia e, a poco a poco, alla tiepi­dezza... «E tuttavia Io sto nel tabernacolo tutta la notte e aspetto quest'anima. Desidero con ardore che essa venga a ricevermi, che mi parli con la confidenza di una sposa, che mi esponga le sue pene, le sue tentazioni, le sue sofferenze, che mi chieda consiglio e che solleciti le grazie necessarie per sé e per gli altri... Forse essa ha sotto di sé o nella sua famiglia anime che sono esposte al pericolo ed errano lontane da me?... «Vieni,   le dico,   dimmi tutto con intera fiducia... interessati dei peccatori... offriti per riparare... promettimi che oggi non mi lascerai solo... e poi domanda al mio Cuore se esso non desidera da te qualche cosa di più che possa dargli conforto... «Questo m'aspettavo da quell'anima e da tante altre... Ma quando si avvicina a ricevermi nella Comunione, appena appena mi dice una parola... E distratta, stanca, contrariata... Gli affari l'assorbono... la famiglia l'inquieta, l'ambiente le pesa... la salute la preoccupa... non sa che dirmi, resta fredda ed annoiata... ha fretta di andarsene... «Così mi ricevi, anima prediletta, che tutta la notte ho atteso con tanta impazienza?... «Sì, l'aspettavo per riposarmi in lei e sollevare le sue pene... Le avevo preparato nuove grazie, ma essa non le desidera neppure, nulla mi chiede, né consiglio né forza... solamente si lamenta, senza neppure rivolgersi a me... Sembra sia venuta solo per compiere una formalità o seguire l'uso e perché non ha peccato mortale che l'im­pedisca... Ma non è l'amore che la spinge, né il vero desiderio di unirsi intimamente a me. No, quest'anima non ha nessuna delle delicatezze che il mio Cuore aspettava da lei. «E quel sacerdote?... Come dire tutto ciò che attendo da ciascuno dei miei sacerdoti?... Li ho rivestiti del mio potere perché possano assolvere le anime... Mi sono messo a loro disposizione, alla parola delle loro labbra scendo dal cielo in terra... mi abbandono tra le loro mani, per essere chiuso nel tabernacolo o distribuito nella Comu­nione... Essi sono, per così dire, i mie i dispensatori... Affido loro un certo numero di anime perché con la predicazione, la direzione, e soprattutto con l'esempio, le guidino e le conducano per il sentiero della virtù. «Rispondono tutti a tale chiamata?... Compiono tutti quella missione di amore?... Nel celebrare il santo Sacrificio il sacerdote saprà affidarmi le anime di cui è responsa­bile?... riparare le offese che mi si fanno e di cui ha ri­cevuto la confidenza?... chiedermi la forza per disimpegnare santamente il suo ministero?... lo zelo per lavorare per la salvezza del suo gregge?... Saprà oggi rinunziarsi più di ieri?... Mi darà l'amore che attendo?... Potrò riposarmi in lui come in un caro ed amato discepolo?... «Quale acuto dolore per il mio Cuore quando sono costretto a dire:   I laici mi feriscono le mani e i piedi, mi deturpano il volto, ma le anime scelte, le mie spose, i miei sacerdoti, lacerano e spezzano il mio Cuore!... Quanti miei ministri, dopo aver reso la grazia a molte anime, sono essi stessi in stato di peccato!... Quanti ce­lebrano così, mi ricevono così... vivono e muoiono così!... «Questo fu il dolore più terribile provato alla Cena, quando tra i Dodici vidi il primo apostolo infedele... e dopo di lui tanti e tanti altri che nel corso dei secoli lo avrebbero seguito!... «L'Eucaristia è l'invenzione dell'amore! E la vita e la forza delle anime, il rimedio a tutte le debolezze, il viatico per chi passa dal tempo all'eternità. I peccatori ritrovano in essa la vita dell'anima... le anime tiepide, il vero ca­lore..., le fervorose, riposo e soddisfazione dei loro ardenti desideri... le perfette, le ali per librarsi e tendere a sempre maggiore perfezione... le pure, il dolcissimo miele che è il loro più delicato alimento. «Infine, le anime religiose trovano nell'Eucaristia la loro dimora, il loro amore, la loro vita. In essa trovano il simbolo dei voti religiosi, vincoli sacri e benedetti che le uniscono inseparabilmente allo Sposo divino. «Sì, anime consacrate, troverete un perfetto simbolo del vostro voto di povertà in questa piccola ostia, rotonda e sottile, liscia e leggera. «Così deve essere l'anima che fa professione di povertà: senza angoli cioè senza piccoli affetti naturali, né alle cose di cui si serve, né all'ufficio che esercita, né alla famiglia, né alla patria... Sempre pronta a lasciare, a partire, a cambiare... sempre vuota di ogni cosa terrena, col cuore libero, senza segreti attacchi... «Ciò non vuol dire che quel cuore debba essere in­sensibile: no! Più ama, e più saprà mantenere intatto il voto di povertà. L'essenziale per l'anima religiosa è, prima di tutto, di non possedere niente senza il permesso o il consenso dei superiori; in secondo luogo, di non avere nulla e di non amare nulla se non con la disposizione di lasciare tutto al primo cenno dell'obbedienza. «Ti dirò il resto un'altra volta, Josefa!».

La domenica «laetare», 11 marzo 1923, Gesù ritorna recandole la sicurezza del suo perdono. «- Prendi la mia corona, e non temere. La misericordia di Dio è infinita, e non rifiuta mai il perdono ai peccatori, tanto più se si tratta di una povera e piccola creatura come te!». E facendo allusione alla Comunione tralasciata: «- Se tu sapessi, Josefa, come ti aspettavo e quanto desideravo che tu mi nascondessi nel tuo cuore!». «- Tu riparerai col prepararti oggi con ardente desiderio a ricevermi domattina. Il mio Cuore si consolerà ogni volta che tu gli esprimerai questo desiderio... E poi, spirito di fede e obbedienza cieca sempre. «Ora continua a scrivere per le mie anime. «Di' loro che esse troveranno anche nella piccola e candida ostia l'immagine perfetta del loro voto di castità. Sotto le specie del pane e del vino si nasconde la pre­senza reale di un Dio: sotto quel velo Io sono tutto in­tero, col mio Corpo, il mio Sangue, la mia Anima, la mia Divinità. «Così l'anima consacrata a Gesù Cristo col suo voto di verginità deve ricoprirsi di un velo di modestia e di semplicità, in maniera che, sotto apparenze umane, si nasconda una purezza simile a quella degli angeli. «O anime che formate la corte dell'Agnello immacolato, sappiate che la gloria che mi rendete in tal modo sorpassa quella dei cori angelici, poiché quei beati spiriti non hanno conosciuto le debolezze della natura umana, né hanno avuto da lottare e trionfare per mantenersi puri. «Voi vi imparentate altresì con la Madre mia, creatura mortale e tuttavia di una purezza senza macchia, soggetta a tutte le miserie umane e tuttavia immacolata in ogni istante della sua vita. Ella da sola mi ha glorificato più di tutti gli spiriti celesti, e Dio stesso, attirato da quella purezza, si è in lei fatto carne ed ha voluto abitare nella sua creatura. «Più ancora, l'anima consacrata con il voto di castità, si rende simile a me, suo Creatore, quanto è possibile ad una creatura, poiché essendomi Io rivestito della natura umana senza eccettuarne le miserie, ho però vissuto senza l'ombra della minima macchia. «In tal modo, con il voto di castità, l'anima diviene l'ostia candida e pura che incessantemente glorifica la maestà divina. «Anime religiose, voi troverete infine nell'Eucaristia il modello del vostro voto d'obbedienza. «Là sono nascoste e come annientate la grandezza e la potenza d'un Dio. Là mi contemplate come inanimato, mentre sono la vita delle anime, il sostegno dell'universo! Là non sono più padrone di andare o di restare, di essere solo o in compagnia: sapienza, potenza, libertà, tutto è scomparso in quell'ostia... Le specie del pane sono i vincoli che m'imprigionano e il velo che mi nasconde. «Così per l'anima religiosa il voto d'obbedienza è la catena che l'avvince, il velo sotto cui deve sparire, per non avere più né volontà propria, né proprio giudizio, né libertà di scelta, se non secondo il volere divino, mani­festato dai superiori». Josefa: «Proprio stamani c'è stata una funzione di Prima Comunione e gli ricordai la consolazione che doveva aver provato in quelle tenere anime così pure e innocenti!». «- Si, è proprio in quelle anime infantili e in quelle delle mie spose che mi rifugio per dimenticare le offese del mondo. «I bambini sono per il mio Cuore come boccioli di fiori nei quali cerco un rifugio. Quanto alle mie spose, mi nascondo e mi riposo in esse poiché come rose in piena fioritura mi difendono con le loro spine e mi consolano con l'amore. «E tu, Josefa, dammi questo amore! Preparati a se­guirmi al Getsemani. Là t'insegnerò a soffrire e ti forti­ficherò col sudore di sangue che mi strapparono i peccati degli uomini. «Frattanto consolami, desiderami come ti desidero Io, amami come ti amo Io, cercami come ti cerco Io! Vedi bene che non ti abbandono mai!».

 

GETSEMANI 12-15 marzo 1923

L'indomani, lunedi 12 marzo 1923, Gesù invita Josefa a seguirlo al Getsemani. Incomincia col rassicurarla, perché la notte innanzi le minacce del nemico si sono moltiplicate per impedirle la Comunione. «Non temere, la potenza del demonio non è superiore alla mia. Mi piace quando tu mi chiami e ne sono così consolato che ogni tuo desiderio è come una comunione per tante anime che non si accostano a me! Umiliati, bacia la terra e vieni con me... andiamo al Getsemani... e la tua anima si riempia dei sentimenti di tristezza che inondarono la mia in quell'ora! «Dopo aver predicato alle turbe, curato gli infermi, dato la vista ai ciechi, risuscitato i morti... dopo aver vissuto tre anni in mezzo ai miei apostoli, per formarli ed insegnare la mia dottrina... avevo infine appreso loro con l'esempio ad amarsi e sopportarsi vicendevolmente, ad esercitare la carità verso gli altri, lavando loro i piedi e facendomi loro cibo. «Ora è giunta l'ora in cui il Figlio di Dio fatto uomo, Redentore del genere umano, sta per spargere il suo sangue e dare la vita per il mondo.... «In quell'ora volli pormi in preghiera per abbando­narmi alla volontà del Padre mio. «Anime care, imparate dal vostro modello che l'unica cosa necessaria, per grandi che siano le ribellioni della natura, è di sottomettersi e offrirsi umilmente con atto coraggioso della volontà a fare quella di Dio in qualsiasi circostanza. «Imparate anche da Lui che ogni azione importante deve essere preceduta e vivificata dalla preghiera, perché nell'orazione l'anima attinge la sua forza nelle ore difficili e Dio le si comunica, consigliandola, ispirandola, anche se essa non se ne accorge. «Mi ritirai nell'orto degli ulivi, cioè nella solitudine, per insegnare alle anime a cercare Dio lontano da tutto e nell'intimo di loro stesse. Per trovarLo facciano tacere i moti della natura, così spesso contrari alla grazia, i ra­gionamenti dell'amor proprio o della sensualità che sempre cercano di soffocare le ispirazioni della grazia e si op­pongono al contatto dell'anima con Dio... «Adorate i suoi disegni su di voi qualunque siano... e tutto il vostro essere si prostri come conviene che faccia una creatura alla presenza del Creatore! «Così mi offersi Io per compiere l'opera della reden­zione del mondo. «Nello stesso istante sentii pesare su di me tutti i tormenti della passione: le calunnie e gli insulti... i flagelli e la corona di spine... la sete... la croce!... Tutti quei dolori si affollarono davanti ai miei occhi insieme con la molti­tudine delle offese, dei peccati e dei delitti che si sarebbero commessi nel corso dei secoli. E non soltanto li vidi, ma me ne sentii ricoperto... e sotto questo fardello d'ignominie mi dovetti presentare al Padre celeste per implorare mi­sericordia. Allora sentii su di me la collera di Dio offeso ed irritato e mi offersi come garante, Io, suo Figlio, per calmare il suo sdegno e soddisfare alla sua giustizia. «Ma sotto il peso di tanti delitti la mia natura umana fu presa da tale angoscia, da tale agonia mortale, che tutto il mio Corpo fu coperto di un sudore di sangue. «O peccatori, che mi fate soffrire in tal modo!... vi darà questo sangue la salvezza e la vita?... o sarà perduto per voi? Come esprimere il mio dolore al pensiero di que­sto sudore, di queste angosce, di questa agonia, di questo sangue... inutile per tante e tante anime?... «Qui ci fermeremo oggi, Josefa. Consola il mio Cuore! Domani continueremo. Addio! resta vicino a me al Getsemani e lascia che il mio sangue irrori e fortifichi la radice della tua piccolezza».

Nella notte dal 12 al 13 marzo 1923 Gesù ritorna con la croce. E pur ricordandole la sua indegnità, le affida questo dolce tesoro della loro unione. «Mi riposo nella tua piccolezza, ma trovo anche consolazione e sollievo tra le mie spose, poiché ad esse pure, senza che lo sappiano, affido anime affinché si salvino e tornino a me... Tu custodisci la mia croce, e ti dirò domani i miei segreti...». La notte termina nello strazio abituale degli assalti diabolici, ed al mattino Gesù riprende il suo racconto: «- Bacia la terra; non sono i tuoi meriti che mi attirano, ma l'amore per le anime. «Sì, eccomi! Vengo a manifestarti i sentimenti del mio Cuore, ma anche per riposarmi in mezzo a voi. Quanta gioia mi procurano le anime che sanno ricevermi con allegrezza... poiché Io le visito sia per consolarle, sia per trovare in loro la mia consolazione. Ma esse non sempre riconoscono che sono Io, specialmente quando le sottopongo al dolore! «Ora, Josefa, continuiamo la nostra orazione al Getsemani. «Avvicinati a me, e quando mi vedrai immerso in un oceano di tristezza, vieni con me a cercare i tre discepoli che ho lasciato ad una certa distanza. «Li avevo presi con me per riposarmi presso di loro facendoli partecipi delle mie preghiere e della mia angoscia. Ma come esprimere ciò che provò il mio Cuore quando, cercandoli, li trovai immersi nel sonno? Com'è triste, per chi ama, trovarsi solo, senza potersi confidare con i suoi cari!... «Quante volte il mio Cuore soffre lo stesso dolore... e quante volte cercando qualche sollievo presso le anime scelte le trovo addormentate!... «Invano cerco di destarle e di trarle fuori da se stesse, dalle loro preoccupazioni personali, dalle loro vane ed inutili occupazioni... Troppo spesso mi rispondono, se non a parole, almeno con i fatti: Ora non posso... ho troppo da fare... sono troppo stanca... ho bisogno di pace!... «Allora - insistendo - dolcemente Io ripeto a quest'anima: Vieni un momento, vieni a pregare con me: è adesso che Io ho bisogno di te: non aver paura di lasciare per me questo riposo, perché Io stesso sarò la tua ricompensa... E ricevo la stessa risposta!... Povera anima sonnacchiosa che non può vegliare un'ora con me!... «Anime care, imparate qui ancora come sia inutile e vano cercare sollievo presso le creature. Quante volte non troverete presso di loro che un accrescimento di amarezza perché esse sono addormentate e non corrispondono né alla vostra fiducia né al vostro amore... «Ritornando alla mia preghiera, mi prostrai un'altra volta, adorai il mio Padre, implorando il suo aiuto... Non dissi: «Mio Dio», ma «Padre mio». Quando il vostro cuore soffre di più, allora dovete chiamare anche voi Dio vostro Padre. SupplicateLo di aiutarvi, esponeteGli le vostre sofferenze, i vostri timori, i vostri desideri, e con il grido della vostra angoscia ricordateGli che siete sue figlie. DiteGli che il vostro corpo è sfinito... il vostro cuore oppresso fino alla morte... che l'anima sembra sperimentare il sudore di sangue. PregateLo con fiducia filiale e aspettate tutto da Colui che vi è Padre. Egli vi consolerà e vi darà la forza necessaria per affrontare la tribolazione e la sofferenza, sia la vostra che quella delle anime a voi affidate. «L'anima mia, triste e sgomenta, doveva sopportare un'angoscia ancora più mortale poiché, sotto il peso delle iniquità degli uomini, e in ricambio di tanti patimenti e di tanto amore, non vedevo che oltraggi e ingratitudini! Il sangue che mi sgorgava da tutti i pori, e che avrei versato da tutte le mie ferite, sarebbe stato inutile per tante anime!... molte sarebbero andate perdute... altre in più gran numero mi avrebbero offeso... e moltitudini intere non mi avrebbero neppure conosciuto... Ed il mio sangue lo avrei sparso per tutte, e i miei meriti sarebbero stati offerti ad ognuna!... Sangue divino! Meriti infiniti!... inutili per tante e tante anime!... «Si, per tutte avrei versato il mio sangue e tutte sa­rebbero state amate di grande amore... Ma quante per cui questo amore sarebbe stato più delicato, più tenero, più ardente!... Da queste anime scelte mi sarei aspettato più consolazioni e più amore, più generosità e abnegazione... in una parola, più corrispondenza alla mia bontà... Vidi in quel momento molte tra esse allontanarsi da me... alcune chiudere le orecchie alla mia voce... altre ascoltarla senza seguirla... altre corrispondere alla chiamata per un po' di tempo, ed anche con una certa generosità... poi addormentarsi a poco a poco, dicendomi infine con le loro opere: Ho lavorato abbastanza... sono stata fedele ai miei obblighi fino alle minuzie... ho vinto la natura... ho praticato l'abnegazione... ora ho bisogno di un po' di li­bertà... non sono più una bambina... Tante rinunzie... tanta vigilanza non mi occorrono più... posso ben dispensarmi da quella cosa che m 'incomoda, ecc... «Povera anima! Così dunque tu incominci a dormire?... Fra poco ritornerò e nel tuo sonno non mi sentirai più... ti offrirò la mia grazia e tu non la riceverai... Avrai tu la forza di risvegliarti un giorno? Non c’è piuttosto da temere che, rimasta così a lungo senza nutrimento, ti indebolisca e non possa più uscire dal letargo?... «Anime care, sappiate che molte furono sorprese dalla morte in mezzo ad un sonno profondo... e dove, e come si risvegliarono? «Tutto questo fu allora presente ai miei occhi e al mio Cuore. Che fare?... Retrocedere?... domandare al Padre mio di liberarmi da quell'angoscia?... Rappresentargli l'inutilità del mio sacrificio per tante anime?... No, mi sottoposi nuo­vamente alla sua santissima volontà e accettai il mio calice per esaurirlo fino alla feccia! «L'ho fatto per insegnarvi, anime care, a non indie­treggiare di fronte alla sofferenza. Non credetela inutile mai, anche se non ne vedete il frutto. Sottomettete il vostro giudizio e lasciate che si compia in voi la volontà divina. «Per me, Io non volli retrocedere né fuggire. E pur sapendo che là, in quel giardino, i miei nemici stavano per prendermi, vi restai. «Continueremo domani, Josefa: resta a mia disposizione affinché ti trovi desta, se avessi bisogno di te». Josefa, sempre inginocchiata, non ha cessato un istante di scrivere. Finalmente si arresta e il Maestro, abbassando lo sguardo su di lei, dice: «- Bacia i miei piedi e resta nella mia pace. Sono sempre con te, anche quando non mi vedi!».

La mattina del mercoledì 14 marzo 1923, questa volta senza nessun preambolo, Gesù prosegue: «- Dopo essere stato confortato dall'Angelo inviatomi dal Padre, vidi avvicinarsi Giuda, uno dei miei dodici apostoli, e dietro a lui quelli che dovevano catturarmi. Erano armati di bastoni e di pietre ed erano carichi di catene e di corde per impossessarsi di me e legarmi. «Mi alzai e avvicinandomi a loro dissi: Chi cercate? «Allora Giuda, posandomi le mani sulle spalle, mi abbracciò! Che fai, Giuda? che significa questo bacio?... A quante anime potrei dire: Che fate?... perché mi tradite con un bacio? «Anima che Io amo, che vieni a ricevermi e che tante volte mi hai ripetuto di amarmi... mi hai appena lasciato e già mi consegni ai miei nemici!... Ben sai che in quella riunione che ti attira si fanno discorsi offensivi per me, e tu che mi hai ricevuto stamani e che forse mi riceverai domani... perdi in quel luogo il candore prezioso della mia grazia!... «Ad un'altra dirò: Perché persisti in quell'affare che t'insozza le mani? Non sai che non è lecito il mezzo con cui ti procuri quel guadagno, quella posizione, quel be­nessere?... «Tu mi ricevi, tu mi abbracci come Giuda... perché fra qualche istante, fra qualche ora, darai tu stessa ai miei nemici il segno dal quale mi riconosceranno per impa­dronirsi di me! «Mi rivolgerò anche a te, anima cristiana, che mi tradisci con quell'amicizia pericolosa. Non solo mi incateni e mi lapidi tu, ma per causa tua anche un'altra persona mi tradisce. Perché mi consegni così... mentre mi conosci e in varie occasioni ti glori della tua pietà e della tua carità?... Senza dubbio potresti raccogliere un gran merito... ma in realtà che cosa sono se non un velo che copre la tua malizia?… «Amico mio, perché sei venuto? Giuda, con un bacio tradisci il Figlio di Dio, il tuo Maestro e Signore! Colui che ti ama e che è pronto a perdonarti ancora!... Tu, uno dei miei dodici!... Tu, uno di quelli che sono stati a mensa con me, e a cui Io ho lavato i piedi!...  «Quante volte Io posso e devo parlare così alle anime predilette del mio Cuore!... «Anima amata, perché ti lasci trasportare da quella passione?... perché le lasci libero corso?... Non è sempre in tuo potere liberartene: ma Io non ti domando che di combattere, di lottare, di resistere... Che sono i godimenti di pochi istanti se non i trenta denari per i quali Giuda mi tradì e che servirono unicamente alla sua rovina? «Quante anime mi hanno venduto e mi venderanno ancora per il prezzo vilissimo di un piacere passeggero!... povere anime... chi cercate? Me?... Quel Gesù che avete conosciuto, che avete amato!... «Lasciate che vi dica queste parole: Vegliate e pregate! sì, lavorate senza tregua affinché i vostri difetti e le vostre inclinazioni non diventino abitudini. «Ogni anno, spesso anche ad ogni stagione, bisogna falciare l'erba dei campi: bisogna arare la terra per forti­ficarla e svellerne le erbe cattive. Così l'anima deve sor­vegliare e raddrizzare con cura le sue difettose inclinazioni. Non è sempre la colpa grave quella che apre la via ai peggiori disordini. E il punto di partenza verso le cadute più gravi è spesso una piccola cosa: un piccolo godimento, un momento di debolezza, una condiscendenza, forse lecita, ma poco mortificata, un divertimento legittimo in sé, ma poco conveniente... E mentre tutto questo cresce e si mol­tiplica, l'anima a poco a poco si acceca, la grazia ha sempre meno efficacia, la passione si fortifica e finisce per trionfare. «Com'è triste per il cuore di un Dio che ama infini­tamente vedere tante anime insensibilmente avviarsi al­l'abisso... «Fermiamoci qui, Josefa, per oggi! Ricordati che non sono i tuoi meriti che attirano verso di te il mio Cuore, ma la tua miseria e la compassione che ho per te!».

Nella notte seguente, giovedì 15 marzo 1923 già avanzata, Josefa si sveglia alla chiamata del Maestro. Le porta la croce, secondo il convenuto, e dice solamente queste parole: «- Prendi la mia croce e non temere. Non supererà mai le tue forze poiché l'ho misurata e pesata sulla bi­lancia dell'amore. Sai tu veramente quanto ti amo? e quanto amo le anime? Per esse Io mi servo di te, perché per quanto piccola tu sia e per quanto poco tu valga, voglio utilizzare la tua piccolezza conservandoti unita ai miei meriti ed al mio Cuore. «Rimani con la mia croce e soffri per le anime e per mio amore!».

Il mattino del giovedì 15 marzo 1923, festa delle Cinque Piaghe, Gesù le dice come sempre: «- Bacia la terra e umiliati!». «- Ti ho detto, Josefa, come le anime che mi of­fendono gravemente mi consegnano ai miei nemici affinché mi diano la morte, anzi sono esse che si costituiscono mie nemiche e l'arma della quale si servono contro di me è il peccato. «Però non sempre si tratta di gravi cadute. Vi sono anche anime, persino tra quelle che ho scelto, che mi tradiscono con le loro colpe abituali, le cattive tendenze non combattute, le concessioni alla natura immortificata, le mancanze alla carità, all'obbedienza, al silenzio, ecc... E se il mio Cuore soffre per le colpe e le ingratitudini del mondo, quanto più quando si tratta delle offese che gli vengono da anime particolarmente amate!... Se il bacio di Giuda mi cagionò tanto dolore, fu precisamente perché egli era uno dei miei dodici e da lui come dagli altri attendevo più amore, più consolazione, più delicatezza! «Da voi, scelte per luogo del mio riposo e giardino delle mie delizie, anche da voi aspetto molto più amore, tenerezza e delicatezza che non da altre anime che non mi sono così intimamente unite!... «Tocca a voi essere il balsamo delle mie ferite, asciugarmi il volto deturpato e sfigurato, aiutarmi ad il­luminare tante anime cieche, che nell'oscurità della notte mi afferrano e mi legano per condurmi alla morte. «Non lasciatemi solo... Destatevi e venite a pregare con me, perché gia i miei nemici sono arrivati. «Quando i soldati si avvicinarono per prendermi dissi loro: «Sono Io!». Ed ecco le parole che ripeto all'anima che si avvicina al pericolo ed alla tentazione: «Sono Io». , «sono Io». Tu vieni per tradirmi e consegnarmi: non importa! Vieni, perché sono tuo Padre e se vuoi, c'è tempo ancora: ti perdonerò e invece di legarmi tu con i tuoi peccati ti stringerò Io con i legami del mio amore. «Vieni, sono Colui che ti ama, Colui che ha sparso il suo sangue per te! Ho compassione della tua debolezza e ti aspetto ansiosamente per riceverti nelle mie braccia! «Vieni, anima di mia sposa, anima di mio sacerdote!... sono l'infinita misericordia! Non temere, non ti punirò... non ti respingerò... ma ti aprirò il mio Cuore e ti amerò con maggior tenerezza... La tua bellezza ritrovata farà l'ammirazione del cielo e il mio Cuore si riposerà in te. «Ah! quale tristezza per me, quando dopo questo invito ad anime cieche ed ingrate, esse mi legano e mi conducono alla morte! «Dopo che mi ebbe dato il bacio del tradimento, Giu­da uscì dall'orto e, comprendendo l'enormità del suo delitto, si disperò. «Chi potrà misurare il mio dolore quando vidi il mio apostolo correre alla perdizione eterna?... «Ma era venuta l'ora e, lasciando ogni libertà ai soldati, mi consegnai a loro con la docilità di un agnello. Mi trascinarono subito alla casa di Caifa, dove fui ri­cevuto con beffe ed insulti e dove uno dei servi mi diede il primo schiaffo! «Il primo schiaffo... Josefa, comprendilo bene: questa sofferenza superò forse quella dei colpi dei flagelli?... no, senza dubbio, ma in quel primo schiaffo vidi il primo peccato mortale di tante anime fino allora in stato di grazia... e dopo il primo... quanti ancora!... e quante anime trascinate dall'esempio allo stesso pericolo... forse alla stessa sventura: quella di morire in peccato!... «Domani continueremo: in attesa passa oggi la giornata riparando e pregando affinché molte anime conoscano dove conduce la strada che battono...». La visita della Madonna e il dono delle preziose gocce di sangue, di cui abbiamo già narrato più sopra, completarono la festa delle Cinque Piaghe. La Madre celeste non rimase che pochi istanti: «Ritornerò, ed allora potrai chiedermi tutto ciò che vuoi..

 

L'ABBANDONO DEI SUOI 16 marzo 1923

Gesù precede la sua santissima Madre nel mattino del ve­nerdì 16 marzo 1923 e Josefa lo ringrazia dell'insigne favore del giorno prima. «Se tu sei fedele al mio amore, sarò forse Io meno fedele nel consolarti? Ti preparo un'altra prova d'amore. Ieri tu hai ricevuto qualche goccia del sangue del mio Cuore, Josefa; oggi ti farò condividere il dolore dei miei chiodi... Ti lascerò anche la croce, affinché tu la porti l'intera giornata e il tuo amore mi consoli. Ti sosterrò, poiché non cesso di amarti. Tu vedi che te ne do le prove! Te ne darò molte altre ancora, fino al giorno in cui ti condurrò con me in cielo. «Ora, Josefa, continua a scrivere per le mie anime. «I miei apostoli mi hanno abbandonato!... Pietro solo, mosso da curiosità, ma pieno di timore, si nasconde tra i servi. «Intorno a me si trovano solo falsi testimoni, che accumulano menzogne su menzogne per attizzare la collera di quei giudici iniqui. Quegli stessi le cui labbra mi hanno tante volte applaudito per i miei miracoli si fanno oggi miei accusatori. Mi chiamano perturbatore, profanatore del sabato, falso profeta... e la servitù, eccitata da tali ca­lunnie, proferisce contro di me grida e minacce. «E qui farò udire un richiamo ai miei apostoli di al­lora e alle mie anime scelte di oggi: «Dove eravate, dunque, voi apostoli e discepoli te­stimoni della mia vita, della mia dottrina, dei miei miracoli?... Di tutti coloro dai quali aspettavo una prova d'amore, nessuno rimase per difendermi. Mi trovo solo, accusato dei più vili delitti, circondato da soldati come da lupi affamati... Tutti mi maltrattano... chi mi schiaffeggia... chi mi ricopre di sputi immondi... altri mi schernisce... «E mentre il mio Cuore si offre a tutti questi supplizi per liberare le anime dalla schiavitù del peccato, Pietro, che avevo costituito capo della mia Chiesa, Pietro, che poche ore prima aveva promesso di seguirmi fino alla morte... Pietro, quando si presenta l'occasione di rendermi testimonianza, risponde ad una semplice domanda con una prima negazione. E siccome la domanda si ripete e la paura s'impadronisce sempre più di lui, giura che non mi conobbe mai, che mai fu mio discepolo!... «Ah, Pietro, tu giuri che non conosci il tuo Maestro! Non solamente lo giuri: ma la terza volta lo rinneghi con orribili imprecazioni... «Anime scelte... Avete voi misurato quanto sia doloroso per il mio Cuore che s'infiamma e si consuma di amore il vedersi rinnegato dai suoi?... Quando il mondo si sol­leva contro di me, e tante anime mi disprezzano, mi maltrattano e cercano di darmi la morte, il mio Cuore volgendosi verso i suoi non trova che isolamento e ab­bandono... Quale tristezza ed amarezza!... «A voi, come a Pietro, dirò: «Hai dimenticato le prove di amore che ti ho dato, i vincoli che a me ti stringono e la promessa tante volte ripetuta di essermi fedele e di difendermi fino alla morte?...». «Se siete deboli, se temete di cedere al rispetto umano, venite a chiedermi la forza di vincervi... Non cercate appoggio in voi stesse, ma ricorrete a me con fiducia ed Io vi sosterrò. «Se dovete vivere nel mondo, circondate da pericoli e da occasioni di peccato, non esponetevi al pericolo. Pietro sarebbe forse caduto se, resistendo con coraggio, non avesse ceduto ad una vana curiosità? «E se voi che lavorate nel mio campo e nella mia vigna, in qualche circostanza vi sentite attratte ad operare per qualche soddisfazione umana: fuggite! Ma se invece lavorate puramente per obbedienza, per la mia gloria e la salvezza delle anime non temete... Io vi difenderò e passerete vittoriose attraverso ogni pericolo... «Mentre i soldati mi conducevano in prigione, vidi Pietro in mezzo agli sgherri ed i miei occhi si fissarono su di lui. Egli pure mi guardò e pianse amaramente il suo peccato. «Così fisso i miei occhi sull'anima colpevole! Ma essa mi guarda a sua volta?... Questi due sguardi s'incontrano sempre?... Quante volte il mio sguardo cerca invano il suo: quest'anima non mi vede, è cieca! Io faccio dolce pressione e non mi ode... La chiamo per nome e non mi risponde... Cerco di risvegliarla con qualche tribolazione, ed essa non esce dal suo sonno! «Anime care, se non guardate più il cielo, voi sarete quaggiù come esseri privi di ragione. Rialzate il capo verso il vostro fine, verso la patria che vi aspetta. Cercate il vostro Dio e lo troverete sempre con gli occhi fissi su di voi, e nel suo sguardo la pace e la vita! Oggi ci arrestiamo qui, Josefa: domani continueremo. Rimani con la mia croce e consolami!».

Il 16 marzo 1923 la Madonna, rispondendo al desiderio espresso la vigilia: «- Volevi chiedermi qualche cosa? Che desideri?». Josefa vorrebbe saper pregare Gesù nel modo più gradito al Cuore divino. «- Te lo insegnerò. Sali nella tua cella e là scriverai!». Appena è entrata nella sua cameretta, la Madonna la raggiunge: «Ciò che più piace a mio Figlio è l'amore e l'umiltà. Perciò scrivi: «O mio dolcissimo e amatissimo Gesù, se tu non fossi il mio salvatore non oserei venire a te! Ma tu sei il mio salvatore e il mio sposo, e il tuo Cuore mi ama con tenerissimo ed ardentissimo amore, come nessun altro cuore è capace di amare. «Vorrei corrispondere a questo amore che tu hai per me e vorrei avere per te, che sei il mio unico amore, tutto l'ardore dei serafini, la purezza degli angeli e delle vergini, la santità dei beati che ti posseggono e ti glori­ficano in cielo. E se potessi offrirti tutto questo, sarebbe ancora troppo poco per lodare la tua bontà e la tua misericordia. Perciò ti presento il mio povero cuore, così com'è, con tutte le sue miserie, le debolezze e i buoni desideri. Degnati purificarlo nel sangue del tuo Cuore, trasformarlo, infiammarlo tu stesso di un amore puro e ardente. In tal modo questa povera creatura, incapace di ogni bene e capace di ogni male, ti amerà e ti glorificherà come i serafini più infiammati del cielo. «Ti supplico, infine, dolcissimo Gesù, di dare all'anima mia la santità stessa del tuo Cuore, o meglio d'immergerla nel tuo Cuore divino affinché in esso ti ami, ti serva, ti glorifichi e in lui s'inabissi per tutta l'eternità! «Ti chiedo questa grazia per tutte le persone che amo. Possano esse darti per me la gloria e l'onore di cui le mie offese ti hanno privato...». Allora Josefa si azzardò a chiedere a questa Madre così buona una giacuiatoria da poter ripetere durante il lavoro: «- RipetiGli queste parole che gli faranno piacere: O mio sposo che sei anche il mio Dio, fa' che il mio cuore sia una fiamma di puro amore per te! «Ed ogni sera, prima di addormentarti - prosegue tu gli ripeterai questa preghiera con molto rispetto e fiducia: «Tu conoscesti la mia miseria prima di fissare i tuoi occhi su di me e tu non hai distolto da essa il tuo sguardo... anzi, a cagione di essa mi hai amata con amore ancor più tenero e delicato. «Ti chiedo perdono di aver oggi tanto mal corrisposto al tuo amore! Ti supplico di perdonarmi e di purificare le mie azioni nel tuo sangue divino! Ho un vivo dolore di averti offeso perché sei infinitamente santo. Mi pento con tutto il cuore e ti prometto di fare il possibile per non ricadere nelle stesse colpe. «Poi, figlia mia, addormentati in pace e con gioia».

   Un giorno Gesù farà eco alla delicatezza della Madre sua. Anticipiamo il racconto del fatto, trasportandoci al 26 agosto 1923. «- Josefa - dirà Nostro Signore la sera di quel giorno, - è proprio vero che desideri qualche parola che possa far piacere alla Madre mia? «Scrivi dunque ciò che ti dirò: «Allora con voce ardente e infiammata e anzi entu­siasta - ella dice, - pronunciò questa preghiera: «- Madre tenera e amante, Vergine prudentissima, che sei la Madre del mio Redentore, ti saluto oggi con il più filiale amore con cui possa amarti un cuore di figlia. «Sono figlia tua, e, siccome l'impotenza mia è tanto grande, prenderò gli ardori del Cuore del tuo divin Figlio: con Lui ti saluterò come la più pura delle creature, poiché sei stata formata secondo i desideri e le attrattive del Dio tre volte santo! «Concepita senza macchia di peccato originale, esente da ogni corruzione, tu sei stata sempre fedele ai movi­menti della grazia e l'anima tua si è arricchita così di tali meriti da elevarsi al di sopra di ogni creatura. «Eletta per essere la Madre di Gesù Cristo, tu l'hai custodito come in un santuario purissimo e Colui che veniva a dare la vita alle anime in te ha preso Egli stesso la vita e da te ha ricevuto il suo alimento. «Vergine incomparabile! Vergine immacolata! Delizia della Santissima Trinità! Ammirata dagli angeli e dai santi, tu sei la gioia del cielo. «Stella del mattino, rosaio fiorito di primavera, giglio candidissimo, iris delicato e grazioso, violetta olezzante, giardino coltivato e riservato per deliziare il Re del cielo! Tu sei mia Madre, Vergine prudentissima, arca preziosa ove stanno racchiuse tutte le virtù! Tu sei mia Madre, Vergine potentissima, Vergine clemente, Vergine fedele! Tu sei mia Madre, rifugio dei peccatori! Ti saluto e mi rallegro alla vista di tali doni che ti ha concesso l'On­nipotente e di tante prerogative di cui ti ha coronata. «Sii benedetta e lodata, Madre del mio Redentore, Madre dei poveri peccatori! Abbi pietà di noi e coprici con la tua protezione! «Ti saluto a nome di tutti gli uomini, di tutti i santi, di tutti gli angeli. Vorrei amarti con l'amore e gli ardori dei più in­fiammati serafini, e ciò sarebbe ancora troppo poco per appagare i miei desideri e tributarti eternamente una lode filiale, costante e purissima! «O Vergine incomparabile, benedicimi perché sono tua figlia! Benedici tutti gli uomini! Proteggili, prega per loro Colui che è onnipotente e che non può rifiutarti nulla. «Addio, Madre tenera e amatissima! Ti saluto giorno e notte, nel tempo e nell'eternità!». «Ora, Josefa, puoi lodare la Madre con le parole del Figlio, e il Figlio con quelle della Madre».

 

DALLA PRIGIONE ALLA FLAGELLAZIONE

«Ventidue anni fa - scrive Josefa il sabato 17 marzo 1923, - Gesù mi fece udire per la prima volta la sua voce, mentre stavo preparandomi alla prima Comunione. «Gli ricordavo questa data nel mio ringraziamento, quando mi apparve improvviso, bellissimo, con una tunica che pareva d'oro e il Cuore così infiammato che non lo so descrivere!». «- Josefa, Io ti dicevo allora: «Voglio che tu sia tutta mia». Oggi posso dirti: «Tu sei tutta mia!». Allora ti pre­paravo per attirarti al mio Cuore: ora tu sei prigioniera di questo Cuore! Vieni, entra in lui poiché è la tua casa!». Allora il suo Cuore si apre e Josefa vi penetra. «Mi sono trovata come in cielo - dice. - Ho cre­duto di non vivere più sulla terra!...». … Dopo poche ore Gesù le dice; «- Contemplami nella prigione dove passai gran parte della notte. Là i soldati, unendo parole ed atti, vennero ad insultarmi, deridermi, oltraggiarmi, percuotermi il capo e tutta la persona... «Infine stanchi mi lasciarono solo e legato in quel luogo oscuro e umido. Per sedia mi diedero una pietra sulla quale il mio corpo indolenzito rimase presto inti­rizzito dal freddo. «Confrontiamo ora la prigione col tabernacolo, e soprattutto col cuore di chi mi riceve: «Nella prigione non passai che una parte della notte, ma nel tabernacolo... quanti giorni e quante notti? «Nella prigione fui insultato e maltrattato dai soldati che erano miei nemici... nel tabernacolo quante volte mi maltrattano e m'insultano anime che mi chiamano padre!... ma che si comportano così poco da figli!... «Nella prigione soffersi freddo, sonno, fame, sete, dolore, vergogna, solitudine, abbandono... E vidi nel corso dei secoli tanti tabernacoli in cui mi sarebbe mancato il rifugio dell'amore... tanti cuori gelidi che sarebbero per il mio corpo ferito e intirizzito come la dura pietra della prigione!... «Quante volte avrei atteso che quest'anima, quell'altra, venisse a visitarmi nel tabernacolo o a ricevermi nel suo cuore!... Quante notti avrei passato desiderando la sua venuta... Ma essa si lascia dominare dalle sue occupazioni, dalla sua indolenza o dal timore che la sua salute ne risenta danno... e non viene. «Ti aspettavo per estinguere la mia sete e per consolare la mia tristezza, e tu non sei venuta! «Quante volte, anche, avrei avuto fame di anime: della loro fedeltà, della loro generosità. Sapranno esse saziare la mia fame tormentosa con quella piccola vittoria sull'amor proprio? con quella leggera mortificazione? Sapranno al­leviare la mia tristezza con la loro tenerezza e la loro compassione? Quando verrà qualche momento più doloroso per la loro natura... allorché dovranno sopportare una sofferenza qualunque... una dimenticanza... un disprezzo... una contrarietà... un'angustia di anima o di famiglia, sa­pranno dirmi col cuore: «Ti offro questo per addolcirti la tristezza, per farti compagnia nella solitudine?». Ah! se esse si unissero così a me, con quanta pace affronterebbero le difficoltà, come ne uscirebbe fortificata l'anima loro e come il mio Cuore ne sarebbe consolato e sollevato!... «Nella prigione certe parole oscene proferite contro di me mi coprirono di confusione, e tale dolore si accrebbe ancora al pensiero che simili parole sarebbero uscite un giorno da labbra amatissime!... «E mentre mani sudice scaricavano sul mio corpo percosse e schiaffi, Io mi vedevo spesso percosso e schiaffeggiato così da anime che mi avrebbero oppresso sotto i colpi ripetuti dei loro peccati abituali e consentiti!... «Infine nella prigione, quando mi spinsero e mi fecero cadere a terra legato e privo di forze, vidi tante anime preferirmi un giorno le proprie soddisfazioni, incatenarmi con le loro ingratitudini, respingermi e rinnovare la mia caduta dolorosa prolungando la mia solitudine... «Anime scelte! accostatevi al vostro sposo nella pri­gione; contemplatelo in quella notte tanto dolorosa, considerate che quel dolore si prolunga ancora nell'iso­lamento di tanti tabernacoli e nel gelo di tanti cuori! «Volete testimoniarmi il vostro amore? Lasciatemi il vostro cuore affinché ne faccia la mia prigione. «Legatemi con le catene del vostro amore. «Ricopritemi con la vostra delicatezza. «Saziatemi con la vostra generosità. «Datemi da bere col vostro zelo. «Consolate la mia tristezza con la fedeltà della vostra presenza. «Togliete la mia penosa confusione con la vostra purezza e rettitudine d'intenzione. «Se volete che riposi in voi, preparate il mio letto di riposo con atti di mortificazione. Assoggettate la vostra immaginazione e calmate il tumulto delle passioni... Allora, nel silenzio dell'anima vostra, voi udrete la mia voce che vi dirà soavemente: «Sposa mia, tu sei oggi il mio riposo: Io sarò il tuo per l'eternità! Mi hai custodito con tanta vigilanza ed amore nella prigione del tuo cuore, che la mia ricompensa non avrà limiti! Non rimpiangere mai i sacrifici che avrai fatto per me durante la vita... «Fermiamoci qui, Josefa. Lascia che trascorra questa giornata nella prigione del tuo cuore. Fa' in essa gran silenzio, per udire bene le mie parole e corrispondere ai desideri che ti manifesterò».

   «E’ buona cosa - le aveva detto un giorno la Madonna, - che tu ami senza sentirlo e senza saperlo».

La sera di martedi 20 marzo 1923, mentre Josefa sta stendendo in giardino la biancheria, incontra ad un tratto il Signore, che le dice: «- Sali in cella; voglio che tu scriva!». Appena vi giunge, Gesù appare. Porta sul capo la corona di spine. Ella lo supplica di dargliela. «Si, te la do con grande amore, prendila e scriviamo per le anime: «Dopo aver passato una gran parte della notte nella prigione umida, oscura, sordida... dopo aver sopportato gli schemi e gli oltraggi dei soldati... gli insulti e le contumelie di quelle ciurme bramose di sapere quale sarebbe stata la mia sorte... quando il mio corpo già si sentiva sfinito di forze per tanti tormenti... ascolta, Josefa, i desideri ardenti del mio Cuore: ciò che mi consumava d'amore e accendeva in me una nuova sete di dolori era il pensiero di tante e tante anime che Io avrei poi attirato a seguire le mie tracce. «Le vedevo, fedeli imitatrici del mio Cuore, imparare da esso non solo la dolcezza, la pazienza e la rassegnata accettazione delle sofferenze e dei disprezzi, ma anche l'amore di coloro stessi che le avrebbero perseguitate. Le vedevo giungere per amor mio fino a sacrificarsi per loro come Io stesso mi sacrificavo per la salvezza di coloro che mi trattavano così... «Le vedevo, sostenute dalla mia grazia, corrispondere alla mia chiamata, abbracciare lo stato di perfezione, chiudersi nei chiostri, legarsi da se stesse coi vincoli del­l'amore, rinunziare ad ogni affetto legittimo, reprimere con coraggio le rivolte della natura, lasciarsi giudicare, accettare di essere disprezzate; diffamate, e tenute per insensate... e attraverso tutto ciò custodire il loro cuore intimamente unito al loro Dio e Signore. «Così, in mezzo agli oltraggi ed agli infami maltrat­tamenti, l'amore mi consumava dal desiderio di compiere la volontà del Padre mio e il mio Cuore, strettamente unito a lui in quelle ore di solitudine e di dolori, si of­friva per ripararne la gloria. «Così voi, anime religiose che dimorate nella prigione scelta dall'amore, e che più di una volta passate agli occhi degli uomini come esseri inutili e anche nocivi, non temete! in tale solitudine e in quelle ore dolorose, lasciate che il mondo si sollevi contro di voi... Il vostro cuore si unisca più intimamente a Dio... unico oggetto del vostro amore, e riparate la sua gloria oltraggiata da tanti peccati!... «All'alba del giorno seguente Caifa ordinò che mi conducessero da Pilato, perché egli pronunciasse contro di me la sentenza di morte. «Pilato m'interrogò con sagacia, sperando di trovare vero motivo di condanna, ma non trovandone alcuno, sentì ben presto la sua coscienza spaventata dall'ingiustizia che stava per commettere. Così, per disfarsi di me, co­mandò che mi conducessero da Erode. «Pilato è il tipo di quelle anime che, combattute tra le mozioni della grazia e quelle delle loro passioni, si lasciano dominare dal rispetto umano e da un eccessivo amor proprio. Si trovano di fronte ad una tentazione od occasione pericolosa?... si accecano da se stesse e ragio­nano fino a persuadersi a poco a poco che non c'è alcun male o pericolo, che hanno abbastanza discernimento per giudicare e non hanno bisogno di alcun consiglio. Esse temono di apparire ridicole agli occhi del mondo, man­cano di energia per vincersi e, disprezzando la grazia, cadono da un'occasione all'altra e finiscono, come Pilato, per darmi nelle mani di Erode. «Se si tratta di anime religiose, forse non è questione di un'occasione di peccato grave: ma per resistere occor­rerebbe accettare un'umiliazione, sopportare una contrarietà... E se, invece di seguire l'ispirazione della grazia e di scoprire lealmente la tentazione, quest'anima interroga se stessa e si persuade non esservi alcuna ragione di allontanarsi da quel pericolo e di rifiutarsi quella soddisfazione, ella cadrà presto in un pericolo più grave, come Pilato, si accecherà, perderà il coraggio di agire con rettitudine, e a poco a poco, forse anche rapidamente, mi consegnerà essa pure ad Erode». Qui Gesù si ferma e rivolgendosi a Josefa: «- Resta nella mia pace e nella convinzione della tua miseria e del tuo niente. Basta così poco per turbarti! Ma non temere di nulla: la mia misericordia e il mio amore sono infinitamente più grandi della tua miseria, e la tua debolezza non sorpasserà mai la mia forza».

Alle undici di sera Egli le appare. Non porta però la croce e Josefa si turba, «... perché - ella scrive,   la notte viene sempre con la croce, e poi le Madri mi hanno permesso di aspettarlo a quell'ora soltanto per consolarlo... Io stessa non desidero il mio riposo, ma il suo!». Gesù si compiace di queste proteste molto semplici e vere di un amore che Egli conosce. «- Non temere, dove sono Io, la croce mi accompagna». E immediatamente ella ne prova il tremendo peso sulle sue spalle. Gesù continua: «Portala con molto amore e rispetto per la sal­vezza di tante anime in pericolo». Dopo un istante di silenzio che trascorre in un atteggiamento di ardente supplica, invita Josefa ad unirsi alla sua preghiera: «Offri al mio eterno Padre i tormenti della mia passione per la conversione delle anime. Ripeti con me: «O Padre mio! Padre celeste! guarda le piaghe del Figlio tuo e degnati riceverle affinché le anime si aprano alla grazia! «I chiodi che gli trafissero le mani e i piedi trafiggano i cuori induriti, e il sangue di Lui li commuova e li spinga al pentimento. «Il peso della croce sulle spalle di Gesù, tuo divin Figlio, ottenga alle anime di liberarsi dei loro delitti nel tribunale di penitenza! «Ti offro, o Padre celeste, la corona di spine del tuo Figlio amatissimo, e per il dolore che gli cagionò fa' che le anime si lascino penetrare da vera contrizione delle loro colpe. «Ti offro, o Padre, Dio di misericordia, l'abbandono di Gesù sulla croce, la sua sete e tutti i suoi tormenti, affinché i peccatori ritrovino la consolazione e la pace nel dolore dei loro peccati. «Infine, o Dio pieno di compassione, per quella perseveranza con cui Gesù, tuo divin Figlio, ti pregò per i suoi crocefissori stessi, ti chiedo e ti supplico di concedere alle anime l'amor di Dio e del prossimo e la perseveranza nel bene. «E come i tormenti del tuo Figlio amatissimo hanno avuto termine nell'eterna beatitudine, così le sofferenze di coloro che fanno penitenza siano eternamente coronate con il premio della tua gloria!». «Ora, Josefa, custodisci la mia croce, resta unita alle mie sofferenze e presenta continuamente al Padre le piaghe del suo Figlio». Trascorrono ancora pochi istanti e poi Gesù scompare, la­sciandola sotto il peso della croce.

Il mattino del 21 marzo 1923, mercoledì di Passione, Egli riprende: «- Continua a scrivere, Josefa: «A tutte le domande di Pilato non risposi nulla, ma quando mi chiese: "Sei il Re dei Giudei?", allora solen­nemente, nella pienezza della mia responsabilità, risposi: «Tu lo hai detto: Io sono Re, però, il mio regno non è di questo mondo». «Così l'anima deve rispondere con energia e generosità quando si presenta l'occasione di vincere il rispetto umano, di accettare la sofferenza o l'umiliazione, che facilmente potrebbe evitare: «No, il mio regno non è di questo mondo», e quindi non cerco il favore degli uomini. Io tendo alla mia vera patria, ove mi attendono riposo e felicità. In questa vita non devo preoccuparmi dell'opinione del mondo, ma solo di compiere fedelmente il mio dovere. Se per questo devo subire umiliazioni e sofferenze non indietreggerò. Ascolterò la voce della grazia, lasciando che si spenga il grido della natura. Se non sono capace di vincere da sola, chiederò forza e consiglio, perché so quanto spesso l'amor proprio e la passione cerchino di accecare l'anima per spingerla sulla via del male. «Pilato dunque, dominato dal rispetto umano e dal timore di assumere la propria responsabilità, comandò che mi portassero da Erode. Questi era un uomo corrotto, che non cercava che di soddisfare le sue passioni disordinate. Egli si rallegrò di vedermi davanti al suo tribunale, sperando divertirsi delle mie parole e dei miei miracoli... «Pensate quanta repulsione provai davanti a quel vizioso, le cui domande, i gesti, l'atteggiamento mi copri­vano di confusione! «Anime pure e verginali, venite a circondare il vostro sposo! Ascoltate le false testimonianze che si fanno contro di me. Guardate la sete implacabile di quella folla avida di scandali e di cui sono diventato lo zimbello! «Erode aspetta che Io risponda alle sue sarcastiche interrogazioni per giustificarmi e difendermi, ma la mia bocca non si apre e conservo davanti a lui il più pro­fondo silenzio. Questo stesso silenzio è la prova della mia dignità regale, poiché quelle parole oscene non meritano d'incrociarsi con le mie purissime!... «Intanto il mio Cuore stava intimamente unito al Padre celeste. Mi struggevo dal desiderio di dare alle anime che amo tanto il mio sangue fino all'ultima goccia. Il pensiero di tutte quelle che mi avrebbero seguito un giorno, attratte dal mio esempio e dalla mia liberalità, m'infiammava di amore. Non solo gioivo durante quell'interrogatorio ter­ribile, ma bramavo di correre al supplizio della croce. «Dopo aver subito le più atroci ignominie nel più perfetto silenzio, lasciai che mi trattassero da pazzo! Ricoperto di una veste bianca in segno di derisione, venni ricondotto a Pilato tra le grida della moltitudine. «Vedi fino a che punto quest'uomo è spaventato e turbato! Non sa che fare di me, e per tentare di calmare la sete di questo popolo che domanda la mia morte, ordina di flagellarmi. «Tale è l'anima che manca di coraggio e di generosità per romperla energicamente con le esigenze del mondo, della natura, delle passioni. Invece di guardare in faccia la tentazione e di stroncare dalle radici (come lo domanderebbe la coscienza), ciò che capisce non venire dal buono spirito, essa cede ad un piccolo capriccio, si concede una leggera soddisfazione. Se consente a vincersi in un punto, capitola in un altro che esigerebbe sforzo maggiore... Se si mortifica in certi casi, è esitante in molti altri nei quali, per restare fedele alla grazia od obbedire alla regola, sarebbe necessario negarsi molte piccole cose che alimentano la sensualità e piacciono alla natura. «Essa si concede metà di un capriccio, metà di ciò che le domanda la passione e così fa tacere i rimorsi della coscienza. «Si tratta, per esempio, di divulgare un difetto che crede di aver scoperto nel prossimo. Non è la carità fraterna e neppure la sollecitudine per il bene che le ispirano tale desiderio, bensì una passione nascosta, un segreto movimento d'invidia. La grazia e la coscienza le fanno sentire un grido d'allarme e l'avvertono dello spirito che la guida e dell'ingiustizia che sta per commettere. Senza dubbio quest'anima ha un primo momento di lotta, ma la passione non mortificata le toglie ben presto la luce e il coraggio per respingere la suggestione diabolica. Allora studia il mezzo di tacere soltanto una parte di quello che sa, ma non tutto! E scusa se stessa dicendosi: «Bisogna ben che lo si sappia... io non dirò che una parola... ecc... «E così tu mi consegni, come Pilato, perché sia flagellato! Ben presto questa passione ti trascinerà a completare l'opera sua. Non credere di estinguere in tal modo la sua sete!... Oggi hai fatto questo passo: domani andrai più avanti!... E se tu hai ceduto in una piccola occasione, quanto più cederai di fronte ad una tentazione più grave!... «Ora contemplate, anime amatissime del mio Cuore, come Io mi lascio condurre con la dolcezza di un agnello al terribile supplizio della flagellazione! «Sopra il mio corpo contuso per i colpi e sfinito di fatica i carnefici scaricano con la più crudele frenesia le loro verghe e le loro fruste... tutte le mie ossa sono smosse nel più terribile dolore... innumerevoli ferite mi straziano... brandelli della mia carne volano per aria asportati dalle verghe... il sangue sgorga da tutte le mie membra, ed Io sono ben presto ridotto ad uno stato così compassionevole che non ho neppure l'apparenza di un uomo! «Ah! potete contemplarmi in quest'oceano di amarezza, senza che il vostro cuore si muova a compassione? «Non sono i carnefici che mi debbono consolare, bensì voi, anime, che ho scelto per alleviare il mio dolore! «Contemplate le mie ferite e considerate se c'è un altro che abbia tanto sofferto per dimostrarvi il suo amore!...». Poi, rivolgendosi a Josefa, Gesù prosegue: «Contemplami, Josefa, in questo stato d'ignominia». Quindi rimane in silenzio, ed ella alza gli occhi sul suo Maestro. A lungo, lo vede là, nella condizione lacrimevole in cui l'ha ridotto la flagellazione. «Dimmi, se queste mie ferite non t'infonderanno la forza di vincerti e di resistere alle tentazioni?... «Dimmi se non vi troverai la generosità per sacrificarti ed abbandonarti tutta alla mia volontà?...«Sì, Josefa, contemplami e lasciati guidare dalla grazia e dal desiderio di consolarmi in questo stato di vittima. «Non temere, la tua sofferenza non sarà mai pari alla mia!... e per tutto quello che ti chiederò, la mia grazia ti assisterà. «Addio. Tienimi sempre così davanti agli occhi!».

 

DALLA CORONAZIONE DI SPINE ALLA DISPERAZIONE DI GIUDA

22-25 marzo 1923

Notte dal 21 al 22 marzo 1923. «Fui svegliata da un leggero rumore e subito vidi Maria Ss. vicina al mio letto: teneva la croce ap­poggiata al braccio destro». «Sì, figlia mia, sono Io, che vengo ad affidarti la croce di Gesù. Bisogna consolarlo perché molte anime l'offendono. Una soprattutto ricolma il suo Cuore di amarezza!». «- Ora custodisci questo prezioso tesoro, e prega per le anime».

Il giovedì 22 marzo 1923, verso le nove del mattino, Gesù la raggiunge nel momento in cui sta per lasciare la cella. «- Bacia la terra e lasciati penetrare dalle parole che il mio Cuore vuole confidarti». Josefa si prostra a terra; poi, rialzandosi, si pone a tra­scrivere rapidamente. «Quando i carnefici furono stanchi di colpirmi, intrecciarono una corona di spine, la premettero sul mio capo e sfilarono davanti a me dicendo: «Re, noi ti sa­lutiamo!...». Gli uni m'insultavano, gli altri mi percuo­tevano la testa, e ciascuno aggiungeva un nuovo dolore a quelli che già sfinivano il mio corpo... «Contemplatemi, anime che amo, condannato dai tribunali, abbandonato agli insulti e alle profanazioni della folla, consegnato al supplizio della flagellazione e, come se tutto ciò non bastasse a ridurmi allo stato più umi­liante, coronato di spine, coperto di un cencio scarlatto, salutato come re da burla, stimato pazzo! «Sì, Io, il Figlio di Dio, il sostegno dell'universo, ho voluto apparire agli occhi degli uomini come l'ultimo e il più disprezzabile di tutti. Lungi dal fuggire l'umiliazione, l'ho abbracciata, per espiare i peccati d'orgoglio e per trascinare dietro al mio esempio le anime. «Permisi che il mio capo fosse coronato di spine e soffrisse per riparare i peccati di tante anime superbe che rifiutano di accettare ciò che le abbassa agli occhi delle creature. «Tollerai che le mie spalle fossero coperte da un mantello di derisione, e di essere considerato pazzo, af­finché molte anime non esitino a venire dietro di me, in una via che il mondo giudica vile e bassa e che forse anche a loro può sembrare indegna della loro condizione. «No, nessuna via, nessuna condizione, è vile ed umi­liante quando si tratta di fare la divina volontà! «Voi tutti che interiormente vi sentite chiamati a questo stato non resistete, non cercate con vane ed orgogliose ragioni di fare la volontà di Dio, pur seguendo la vostra. Non crediate di trovare pace o felicità in una condizione più o meno brillante agli occhi delle creature. Voi non la troverete che nella sottomissione alla volontà di Dio e nel pieno adempimento di tutto ciò che domanda da voi... «Vi sono anche nel mondo molte anime che cercano di sistemare il loro avvenire quaggiù... Forse l'una o l'altra si sente inclinata per una segreta attrazione verso qualcuno in cui essa ha scoperto le qualità, l'onore, la fede e la pietà, in una parola, tutto ciò che risponde al suo bisogno di amare. Ma ecco che il suo spirito si lascia impadronire dall'orgoglio. Senza dubbio i desideri del cuore sarebbero soddisfatti da questo lato, ma non la vana ambizione di risplendere agli occhi del mondo. Allora quest'anima si volge per cercare altrove ciò che le attirerà di più l'at­tenzione delle creature facendola comparire esteriormente più ricca e più nobile. Ah! quanto quest'anima si acceca coscientemente!... No, certamente essa non troverà la fe­licità che cerca in questo mondo, e voglia Dio che dopo essersi messa in così grave pericolo la possa trovare nell'altro! «E che dire di tante anime che Io chiamo alla via della perfezione e dell'amore, e che si comportano come se non intendessero la mia voce? «Quante illusioni in quelle che si dicono pronte a fare la mia volontà, a seguirmi e ad unirsi a me!... e che tuttavia affondano nel mio capo le spine della corona!... «Queste anime che Io desidero come spose le conosco fino alle più intime fibre del cuore... ed amandole come Io le amo, con una delicatezza infinita, le attiro là dove, nella mia sapienza, so che troveranno i mezzi più sicuri per arrivare alla santità. Là Io scoprirò loro il mio Cuore, là esse mi daranno il maggior amore ed il maggior numero di anime che sia possibile. «Ma quante resistenze e delusioni! Quante anime, accecate dall'orgoglio, dal bisogno sregolato di stima, dal desiderio di soddisfare la natura e la meschina ambizione di essere qualcuno... si lasciano illudere da ragionamenti infondati e, finalmente, rifiutano d'incamminarsi per la via che l'amore aveva loro tracciato. «Anime ch'Io avevo scelte, credete voi che seguendo i vostri gusti possiate darmi la gloria che Io aspettavo da voi? Credete adempiere la mia volontà resistendo alla mia grazia che vi spinge ad entrare in questa via che il vostro orgoglio respinge? «Ah! Josefa, quante anime accecate dall'orgoglio!... Vorrei che tu moltiplicassi oggi gli atti di umiltà e di sottomissione alla volontà divina, per ottenere che molte anime si lascino guidare nella via che Io loro preparo con tanto amore! «Domani insisteremo di nuovo su questo punto es­senziale».

Il mattino del 23 marzo 1923, venerdì di passione, Josefa sta aspettando il Maestro, ma Egli tarda a venire. Si è rimessa a cucire presso il tavolino dove il quaderno si trova già aperto. Ad un tratto Gesù appare: «- Josefa, mi aspetti?». «-Sì, o mio Signore», «- Molto tempo che sono qui, ma tu non mi vedevi. Bacia la terra e bacia anche i miei piedi. Con­tinuerò a spiegare alle anime come esse si lascino in­gannare dall'orgoglio. «Coronato di spine e rivestito del manto di porpora, i soldati mi ricondussero a Pilato, coprendomi ad ogni passo di grida, d'insulti, di schemi... «Pilato, non trovando in me alcun delitto degno di punizione, m'interrogò di nuovo e mi chiese infine perché tacessi, mentre sapevo il pieno potere che egli aveva su di me. «Allora, rompendo il silenzio, dissi: «Tu non avresti alcun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto, ma bisogna che si adempiano le Scritture!» e tacendo nuovamente, mi abbandonai... «Pilato, turbato per l'avvertimento ricevuto dalla moglie, oscillante tra il rimorso della coscienza e il timore di vedere la folla scatenata insorgere contro di lui se si fosse rifiutato di condannarmi a morte, mi presentò alle turbe nel pietoso stato in cui mi avevano ridotto e propose di liberarmi, condannando in luogo mio Barabba, che era celebre ladrone. Ma la folla gridò rabbiosamente con una sola voce: «Che muoia!... Vogliamo che muoia e sia liberato Barabba». «Voi che mi amate, considerate come venni posto in paragone con un malfattore... o meglio come mi abbas­sarono al di sotto del più perverso degli uomini!... Udite le urla di furore che innalzano contro di me chiedendo la mia morte. «Lungi dal fuggire questo affronto, lo abbracciai invece per amore delle anime, per amor vostro. Volli dimostrarvi che quest'amore non solo mi conduceva alla morte, ma al disprezzo, all'ignominia, all'odio di quelli stessi per i quali il mio sangue sarebbe stato sparso in tanta abbondanza. «Mi hanno trattato da perturbatore, da insensato, da pazzo, ed ho accettato tutto con la massima dolcezza e la più profonda umiltà. «Non crediate tuttavia che Io non provassi allora ripu­gnanza né dolore... Volli invece che la mia natura umana provasse tutte le ripugnanze che avreste provato voi stessi affinché il mio esempio vi fortificasse in ogni circostanza della vita. Così, quando suonò per me quell'ora tanto dolo­rosa, e dalla quale mi sarebbe stato così facile liberarmi, non solo non lo feci, ma l'abbracciai con amore per compiere il volere del Padre mio... riparare la sua gloria... espiare i peccati del mondo e procurare la salvezza di molte anime. «Torniamo ora a quelle di cui ti parlai ieri... a quelle anime chiamate allo stato di perfezione e che più di una volta recalcitrano alla voce della grazia e dicono: «Come posso rassegnarmi a vivere in questa continua oscurità?... Non sono abituata a questo genere di vita, ad occupazioni così basse. La mia famiglia, i miei amici le giudiche­rebbero ridicole... perché io ho delle capacità e potrei essere più utile altrove, ecc... «A queste anime rispondo:   Quando dovetti nascere da genitori poveri e sconosciuti, lontano dal mio paese e dalla mia casa, in una stalla, durante la stagione più dura dell'anno, all'ora più glaciale e cupa della notte... ho ri­fiutato? Ho esitato? «Per trent'anni ho conosciuto i rudi lavori della vita di operaio. Soffersi, col mio padre San Giuseppe, i disprezzi di coloro per cui egli lavorava... Non mi rifiutai di aiutare mia Madre nelle faccende della povera casa... E tuttavia, non avevo forse più cognizioni di quante non siano necessarie per esercitare il modesto mestiere di fa­legname, Io che a dodici anni istruivo i dottori del Tempio?... Ma tale era la volontà del Padre mio celeste ed in tal modo Io lo glorificavo. «Dall'inizio della mia vita pubblica avrei potuto rive­larmi subito come Messia e Figlio di Dio per soggiogare le folle e renderle attente ai miei insegnamenti. Ma non lo feci perché non avevo altro desiderio che di compiere in tutto la volontà del Padre mio. «Quando venne l'ora della mia passione, attraverso la crudeltà degli uni, gli oltraggi degli altri, l'abbandono dei miei, l'ingratitudine della folla, nell'inesprimibile martirio del mio corpo e le vive ripugnanze della mia natura umana, con un amore ancora più grande, il mio Cuore abbracciò quella santissima volontà. E sappiatelo bene, anime scelte: quando avrete sormontato le vostre ripugnanze di natura, le opposizioni della famiglia, i giudizi del mondo, quando generosamente vi sarete immolate alla volontà divina, allora verrà il momento in cui, in questa stretta unione di volontà col vostro sposo divino, godrete ineffabili dolcezze. «Ciò che ho detto alle anime che provano tali ripu­gnanze per la vita umile e nascosta, lo ripeto a quelle che sono chiamate invece a prodigare la loro vita al servizio del mondo, mentre si sentirebbero attirate alla solitudine e al nascondimento. «Anime carissime, sappiate che vivere conosciute o sconosciute dagli uomini, utilizzare o no i doni che avete ricevuto, essere molto o poco stimate, godere o no di buona salute, nulla di tutto ciò è in se stesso la vostra felicità... Volete sapere qual è l'unica cosa che può as­sicurarvela? Fare la volontà di Dio, abbracciarla con amore, unirvi e conformarvi a tutto ciò che essa esige per la sua gloria e la santificazione vostra. «Fermiamoci qui, Josefa: domani continueremo. Ama e abbraccia allegramente la mia volontà giacché tu sai bene che in tutto essa è tracciata dall'amore!».

La mattina del sabato di passione, 24 marzo 1923, Gesù compare al convegno mattutino. «- Occupiamoci della mia passione!», «Medita per un momento il martirio del mio Cuore, tanto sensibile e delicato, quando si vide posposto a Barabba! E vedendomi così disprezzato, Io fui trafitto nel più intimo dell'anima dalle grida della folla che domandava la mia morte. «Ricordavo, allora, le tenerezze di mia Madre quando mi stringeva al cuore, le fatiche e le cure che mio padre adottivo si era imposto per mio amore... «Riandavo col pensiero ai benefici così liberalmente da me sparsi su quel popolo: la vista restituita ai ciechi, la salute agli infermi, l'uso delle membra a quelli che l'ave­vano perduto, le turbe saziate nel deserto, i morti risu­scitati! Ed ora eccomi da loro ridotto nel più spregevole stato: oggetto, più che qualunque altro, di odio da parte degli uomini... condannato come un infame malfattore... La moltitudine ha richiesto la mia morte... E Pilato ha pronunciato la sentenza!... «Anime carissime, meditate intensamente la sofferenza mio Cuore! «Dopo che Giuda mi ebbe tradito nel giardino degli olivi, se ne andò errabondo e fuggitivo senza riuscire a far tacere la voce della coscienza che lo accusava del più orribile sacrilegio. E quando gli giunse alle orecchie la sentenza di morte pronunciata contro di me, si abbandonò alla più terribile disperazione e s'impiccò. «Chi potrà comprendere il dolore intenso e profondo del mio Cuore quando vidi precipitarsi verso la perdizione eterna quell'anima che aveva passato tanti giorni alla scuola del mio amore, ascoltato la mia dottrina, le mie lezioni e così spesso udito cadere dalle mie labbra il perdono dei più grandi peccati. «Ah, Giuda! Perché non vieni a gettarti ai miei piedi affinché Io ti perdoni? Se non osi avvicinarti a me per paura di coloro che mi circondano con tanto furore, almeno guardami!... e subito incontrerai i miei occhi che sono fissi su di te! «Voi che siete immersi nel male o che per più o meno tempo siete vissuti errabondi e fuggiaschi a causa dei vostri delitti, se i falli di cui siete colpevoli hanno indurito il vostro cuore... se, per soddisfare la vostra passione sre­golata, siete caduti nei più gravi scandali, quando la vostra anima si renderà conto del suo stato o i complici dei vostri delitti vi abbandoneranno, non lasciate che la disperazione s'impadronisca di voi. Fin che resta all'uomo un soffio di vita può ancora ricorrere alla misericordia ed implorare il perdono. «Se siete giovani e già i disordini della vostra giovi­nezza vi hanno degradati agli occhi del mondo, non temete!... Anche se il mondo ha ragione di trattarvi da criminali, di disprezzarvi e di abbandonarvi, il vostro Dio non permetterà che la vostra anima diventi preda dell'inferno... Desidera invece con ardore che voi vi accostiate a Lui per perdonarvi. Se non osate parlargli, rivolgete a lui i vostri sguardi ed il sospiro del vostro cuore, e ve­drete assai presto la sua mano tanto buona e paterna condurvi alla sorgente del perdono e della vita. «Se volontariamente avete passato la maggior parte della vita nell'empietà o nell'indifferenza, e improvvisa­mente, prossimi all'eternità, la disperazione cerca di ac­cecarvi, non vi lasciate ingannare, perché è ancora il tempo del perdono! Anche se vi restasse un attimo solo di vita, in quel secondo potete guadagnarvi la vita eterna!... «Se la vostra esistenza più o meno lunga trascorse nell'ignoranza e nell'errore, se siete stati causa di gravi mali per gli uomini, per la società, per la religione stessa, e se per una circostanza qualunque riconoscete finalmente di esservi ingannati... non lasciatevi abbattere dal peso delle colpe, né dal male di cui siete stati strumento. Ma la vostra anima penetrata del più vivo pentimento si getti nell'abisso della fiducia e ricorra a Colui che vi attende sempre per perdonarvi tutti gli errori della vostra vita. «Parlerò anche per quell'anima che dapprima è vissuta fedele all'osservanza della mia legge, ma poi si è raf­freddata a poco a poco fino alla tiepidezza di un'esistenza comoda. Essa ha, per così dire, dimenticato la sua anima e le sue aspirazioni verso il meglio. Dio le domandava un maggiore sforzo, ma accecata dai suoi difetti abituali essa è caduta nei ghiacci della tiepidezza, peggiori ancora di quelli del peccato, perché la coscienza sorda ed addor­mentata non sente più la voce di Dio. «Se una forte scossa la risveglierà improvvisamente, la vita le apparirà inutile e vuota per l'eternità... Essa ha perduto innumerevoli grazie... e il demonio, che non vuole lasciarsi sfuggire la preda, la getterà nello scoraggiamento, nella tristezza, nell'abbattimento, e a poco a poco la sommergerà nel timore e nella disperazione. «Anime che amo, non ascoltate questo nemico crudele! Venite subito a gettarvi ai miei piedi e penetrate di vivo dolore, implorate la mia misericordia e non temete! Io vi perdono! Riprendete di nuovo la vostra vita di fervore: ritroverete i vostri meriti perduti e la mia grazia non vi mancherà. «Finalmente devo Io rivolgermi alle mie anime consa­crate? Potrebbe darsi che una di esse abbia passato lunghi anni nell'esatta osservanza della regola e dei suoi doveri religiosi... Sì, e un’anima che avevo favorita delle mie grazie, istruita coi miei consigli, un'anima a lungo fedele alla voce della grazia ed alle ispirazioni divine... Ed ecco, per una piccola passione, un'occasione non evitata, una soddisfazione data alla natura, un rilassamento nello sforzo necessario, si è raffreddata a poco a poco, è caduta in una vita ordinaria, poi volgare... infine tiepida... Ah! se per una ragione o l'altra vi desterete un giorno dal vostro torpore, sappiate che in quell'istante il demonio, geloso del vostro bene, vi assalirà in mille modi. Vi persuaderà che è troppo tardi e che tutto è inutile, vi riempirà di timore e di ripugnanza per scoprire lo stato dell'anima vostra, vi chiuderà la bocca per impedirvi di parlare e di aprirvi alla luce, si sforzerà di soffocare in voi la fiducia e la pace. «Anime scelte, ascoltate piuttosto la mia voce dirvi ciò che dovete fare: appena la grazia vi muove, prima ancora che incominci la lotta, accorrete al mio Cuore: chiedetegli di versare sulla vostra anima una goccia del suo sangue. Sì, venite a me!... e non temete per il passato: il mio Cuore l'ha sommerso nell'abisso della misericordia e il mio amore vi prepara nuove grazie. Il ricordo del passato non sarà per voi che un motivo di umiliarvi e di accrescere i vostri meriti e, se volete darmi la più grande prova d'amore, contate sul mio perdono e credete che i vostri peccati non giungeranno mai a superare la mia misericordia infinita... «Josefa, rimani nascosta nell'abisso del mio amore e prega affinché le anime si lascino penetrare dagli stessi sentimenti».

Il sabato 24 marzo 1923, verso le otto e mezzo di sera, Nostro Signore le si mostra, mentre esce dalla cella, e fermandola le dice: «- Josefa!». «- Vuoi consolarmi per quell'anima che mi fa soffrire?». «- Prendi la mia croce e aiutami a sostenerne il peso». «- Mettiamoci alla presenza del Padre mio celeste e chiediamogli di dare a quell'anima un raggio di luce che la illumini e l'aiuti a respingere il pericolo. Presentiamoci come intercessori davanti a Lui affinché abbia compas­sione di quell'anima. Supplichiamolo di aiutarla, illumi­narla, sostenerla, perché non soccomba alla tentazione. «Ripeti con me queste parole: «O Padre amatissimo, Dio infinitamente buono, guarda il tuo Figlio Gesù Cristo che, collocandosi fra la tua giustizia divina e i peccati delle anime, implora il tuo perdono. «O Dio di misericordia, abbi pietà della fragilità umana! Rischiara gli spiriti traviati affinché non si lascino sedurre e trascinare... Da' forza alle anime affinché respingano le insidie che il nemico tende loro e ritornino con nuovo vigore sul cammino della virtù. «O eterno Padre, vedi le sofferenze che Gesù Cristo, tuo diletto Figlio, ha sostenuto nella sua passione. Miralo davanti a te, offerto come vittima per ottenere alle anime luce e forza, perdono e misericordia! «Josefa, ora unisci il tuo dolore al mio, la tua angoscia alla mia, e presentali al mio eterno Padre con i meriti e le sofferenze di tutte le anime giuste. Offrigli gli spasimi della mia corona di spine per espiare i cattivi pensieri di quell'anima. «- Ripeti con me: «O Dio santissimo, alla cui presenza gli angeli e i santi sono indegni di comparire, perdona tutte le colpe che si commettono con i pensieri e i desideri. Accogli, in espiazione di queste offese, il capo trafitto di spine del tuo divin Figlio. Ricevi il purissimo sangue che ne sgorga in così gran copia! Purifica le anime macchiate!... Rischiara ed illumina gli in­telletti oscurati, e quel sangue divino sia la loro forza, la loro luce, la loro vita! Accogli, o Padre santissimo, le sofferenze ed i meriti di tutte le anime che, unite ai meriti e alle sofferenze di Gesù Cristo, si offrono a Te con Lui e per Lui, affinché Tu perdoni al mondo! «O Dio di misericordia e di amore, sii la forza dei deboli, la luce dei ciechi e l'oggetto dell'amore delle anime». «- Ripeti con me: «Dio d'amore, Padre di bontà! per i meriti, le sofferenze e le suppliche del tuo amatissimo Figlio, da' luce a quell'anima perché abbia la forza di respingere il male e di abbracciare la tua volontà con energia. Non permettere ch'ella sia la causa di tanto male per sé e per altre anime innocenti e pure!». «- Custodisci la mia croce fino a che quell'anima co­nosca la verità e si lasci avvolgere e illuminare dalla vera luce». Tutta la giornata della domenica delle Palme trascorre in questa dolorosa supplica e mentre Josefa si offre vittima, Gesù attira, distacca, commuove e riconquista quell'anima che ama con tanta predilezione. Quella sera stessa il suo Cuore sussulterà di gioia nel ri­abbracciare il figliuol prodigo.

 

SETTIMANA SANTA 25 marzo – l0 aprile 1923

Mentre Josefa la sera della domenica delle Palme, 25 marzo 1923, sta in adorazione davanti al Santissimo esposto, Gesù le appare. «Voglio che tu consacri questi giorni ad adorare la mia divina persona oltraggiata dai tormenti della passione. Ti terrò continuamente alla mia presenza. Mi paleserò a te, a volte con la maestà di un Dio, a volte con la severità di un giudice e, più spesso, coperto delle ferite, delle ignominie della mia passione. Così, nella tua incessante adorazione, nella tua profonda umiltà, nelle tue riparazioni di ogni momento, troverò un sollievo a tanta tristezza e a tanta amarezza!». «L'ho rivisto tutto ad un tratto sempre lo stesso, ma con una tale maestà che la mia anima ne rimase annientata per il rispetto e la confusione. Avrei voluto nascondermi, sparire dalla sua presenza!... e dopo aver rinnovato i miei voti, l'ho supplicato di purificarmi affinché il mio nulla possa sostenere la vista della sua grandezza. «Umiliati davanti alla maestà del tuo Dio e ripara in tal modo l'orgoglio dell'umana natura, così spesso ribelle ai diritti del suo Creatore!». Allora Josefa sente gravare sulla sua anima il peso della divina giustizia. Colpita da timore, si prostra ai piedi di Gesù, «... ricordandogli - ella scrive - ch'Egli è mio Salvatore, mio Padre, mio Sposo, e che può cancellare tutte le mie miserie e perdonare i miei peccati. «- Sì, tu dici bene, sono il tuo Salvatore, il tuo Padre, il tuo Sposo e desidero consumare le tue miserie nella fiamma ardente del mio amore. Ma voglio anche che tu comprenda, Josefa, fino a qual punto tu debba umiliarti, annientarti, scomparire nella tua volontà e in tutto il tuo essere, affinché la volontà di Dio regni e trionfi, non soltanto in te, ma in molte altre anime. «Bisogna che esse riconoscano la loro colpevolezza e la loro miseria e che esse pure si umilino e si abban­donino alla divina volontà. «Ecco ciò che aspetto da te in questa settimana: tu mi adorerai, ti annienterai, mi consolerai, mi amerai e, tutto questo, in spirito di zelo per ottenere che molte anime entrino in questa stessa via. «Addio! Ti dirò poi ciò che desidero da te».

 

LUNEDI’ SANTO: SULLA VIA DEL CALVARIO 26 marzo 1923

Fin dal mattino del lunedì Santo, 24 marzo 1923, Nostro Signore invita Josefa ad andare in cella, perché non ha ancora terminato il racconto dei suoi dolori. «Bacia la terra e riconosci il tuo niente. Adora la potenza e la maestà del tuo Dio, ma non dimenticare che se Egli è infinitamente giusto e potente, è anche infinitamente misericordioso! «Ed ora continuiamo Josefa, e seguimi per la via del Calvario sotto il peso della croce. «Mentre l'eterna perdizione di Giuda immergeva il mio Cuore in un abisso di tristezza, i carnefici, insensibili al mio dolore, mi caricarono sopra le spalle straziate la croce dura e pesante sulla quale stava per consumarsi il mistero della redenzione del mondo. «Angeli del cielo, contemplate questo Dio davanti al quale voi siete prostrati in continua adorazione! Vedete il Creatore di tutte le meraviglie di quaggiù salire verso il Calvario sotto il legno santo e benedetto che riceverà il suo ultimo respiro! «E voi, anime che desiderate essere mie fedeli imitatrici, contemplate il mio corpo, martoriato da tanti tormenti, e che avanza estenuato, bagnato di sudore e di sangue. Esso soffre senza che nessuno compatisca il suo dolore. La folla mi accompagna... i soldati mi circondano come lupi, avidi di divorare la preda... e nessuno ha pietà di me! «La mia stanchezza è tanta e la croce tanto pesante che Io cado a metà cammino... Guardate come quegli esseri inumani mi rialzano brutalmente: uno mi afferra per il braccio, l'altro mi tira per le vesti, rimaste aderenti alle ferite, altri mi prende per il collo, altri pei capelli, alcuni mi sferrano addosso colpi terribili, con pugni e calci... La croce cade sopra di me schiacciandomi sotto il suo peso... Le pietre della via feriscono il mio volto... La sabbia e la polvere si mescolano al mio sangue per offuscare i miei occhi e incollarsi al mio volto: sono l'essere più spregevole della terra! «Seguitemi ancora... pochi passi più avanti incontrerete la mia Madre santissima, col cuore trafitto dal dolore. «Meditate il martirio di questi due cuori: per mia Madre, colui che ella ama sopra ogni cosa è il suo Fi­glio... e, lungi dal poterlo sollevare, sa tutto quello che la sua presenza aggiunge alle mie sofferenze. «Per me, quella che amo di più al mondo è mia Madre! E non soltanto non posso consolarla, ma il pietoso stato in cui mi vede ridotto la trafigge di una pena simile alla mia, perché la morte che Io soffro nel corpo mia Madre la sopporta nell'anima! «Ah! come si fissano su di me i suoi sguardi e come i miei occhi, offuscati e insanguinati, si fissano su di lei. Non si pronuncia una parola, ma quante cose si dicono i nostri cuori in quel doloroso incontro!». Gesù tace... Sembra che l'amore lo assorba nel ricordo dello sguardo di sua Madre. Josefa è colpita da questo silenzio. Finalmente osa romperlo e chiede al Maestro se la Madre sua aveva avuto conoscenza dei suoi dolori durante quelle ore tragiche. «Sì. tutti i tormenti della mia passione erano presenti al suo spirito per ri­velazione divina. Qualcuno dei miei discepoli, sebbene da lontano per timore dei Giudei, cercava anche d'informarsi di ciò che accadeva per riferirglielo. Quando seppe che la mia sentenza di morte era pronunciata, Ella uscì per incontrarmi, e non mi lasciò più finché non fui deposto nel sepolcro. «Frattanto il corteo avanza verso il Calvario. «Quegli uomini iniqui, temendo di vedermi morire prima di giungere al termine, spinti da una perfida malizia e non dalla compassione, si mettono d'accordo per cercare qualcuno che mi aiuti a portare la croce; requisiscono perciò, a poco prezzo, un uomo delle vicinanze chiamato Simone. «Ma basta per oggi: ne riparleremo domani. Ora va' a chiedere alle tue Madri di permetterti di fare l'ora santa ogni sera di questa settimana e di darmi la libertà di prenderti, quando avrò bisogno di te, a qualsiasi ora». «- Non dimenticare che ho su di te tutti i diritti. Solo le tue superiore, che mi rappresentano, possono disporre di te e da esse ho avuto piena libertà». Quella sera, secondo i desideri di Gesù, si apre la serie di quelle ore sante: «- Josefa - dice appena ella ha rinnovato i voti - voglio che tu mi faccia compagnia durante quest'ora e che tu condivida la mia tristezza nella prigione. Con­templami in mezzo a quella soldataglia insolente. Penetra specialmente in fondo al mio Cuore... studialo: vedi quanto soffre nel trovarsi solo!... poiché tutti quelli che si dicevano miei amici mi hanno abbandonato, tutti si sono allontanati! «Padre mio, Padre celeste! Ti offro questa tristezza e questa solitudine del cuore affinché ti degni accompagnare e sostenere le anime nel loro passaggio dal tempo all'e­ternità!». «Qui tacque - scrive. - L'adorai e lo supplicai di darmi la sua croce». «- Sì, te la darò, e il tuo cuore sarà trafitto dalla stessa tristezza del mio. «Ah! come la tua piccolezza può essere grande, Josefa, se tu non fai che una sola cosa con me! Lascia che il tuo cuore s'immerga nei sentimenti d'umiltà, di zelo, di sottomissione e di amore in cui il mio s'inabissò, in mezzo agli affronti di cui fui vittima durante la passione. Altro non desideravo che glorificare il Padre, rendergli l'onore rapitogli dal peccato e riparare le offese di cui gli uomini lo colmano. Perciò m'inabissai in una così profonda umiltà sottomettendomi a tutto ciò che esigeva da me il suo beneplacito e, infiammato di zelo per la sua gloria e di amore per la sua volontà, accettai di soffrire con la più intera rassegnazione». Qui Gesù tacque di nuovo, e poi soggiunse: «Mio Dio e Padre Mio! La mia dolorosa soli­tudine ti glorifichi! La mia pazienza e la mia sottomis­sione ti plachino! non colpire le anime con la tua giusta indignazione. Guarda il Figlio tuo... Vedi le sue mani legate con quelle catene con cui fui caricato dai carnefici. In nome della pazienza ammirabile con cui sopportò tanti supplizi, perdona alle anime, sostienile, non lasciarle soccombere sotto il peso della loro debolezza. Accom­pagnale nelle ore di 'prigione' e da' loro forza per sop­portare le pene e le miserie della vita con piena adesione alla tua santa adorabile volontà». «Adesso va', Josefa: porta con te la mia croce e durante questa notte non lasciarmi solo; tienimi compagnia nella mia prigione!». «Come farò, Signore? - chiede timidamente. - Temo di addormentarmi e di non pensare più a te!». «- Sì, Josefa, tu puoi e devi dormire senza tuttavia lasciarmi solo. «Quando le anime non hanno la possibilità, come esse desidererebbero, di restare a lungo alla mia presenza, perché sono obbligate a riposarsi o ad occuparsi in cose che tengono assorte le loro facoltà, nulla impedisce loro di fare con me una convenzione, in cui l'amore s'industria e si manifesta forse più ancora che nell'ardore di una devozione libera e tranquilla. «Così va' a riposarti, come devi, ma prima comanda alle potenze dell'anima tua di rendermi durante la notte il culto del tuo amore. Lascia piena libertà ai più teneri affetti del tuo cuore, affinché, attraverso il sonno dei tuoi sensi, essi non cessino di rimanere alla presenza dell'unico oggetto del tuo amore. «Basta un istante per dirmi: "Signore! Vado al riposo, o al lavoro, ma l'anima mia rimane in tua compagnia. La mia attività riposerà durante questa notte - o si occuperà durante questo lavoro - ma tutte le mie potenze ri­marranno sotto il tuo soave dominio e il mio cuore ti conserverà l'amore più costante e più tenero". «Va' in pace, Josefa, e il tuo cuore rimanga unito al mio!».

 

MARTEDI’ SANTO: SIMONE CIRENEO 27 marzo 1923

La mattina del Martedì Santo 27 marzo 1923, Josefa, sotto la dettatura del divino Maestro riprende il Messaggio, interrotto il giorno precedente. Prima Josefa ripete l'offerta che il Signore si degna insegnarle: «- Mio Signore e mio Dio, eccomi qui in com­pagnia del tuo divin Figlio che, malgrado la mia grande indegnità, è anche mio sposo. Sottometto la mia volontà alla tua, e mi abbandono interamente per fare e soffrire tutto ciò che ti degnerai chiedermi per il solo fine di glorificare la tua maestà infinita e di cooperare alla salvezza e alla santificazione delle anime. Ricevi per questa intenzione i meriti e il Cuore di Gesù Cristo, tuo figlio, che è mio Salvatore, mio Padre, mio Sposo». Josefa bacia la terra e poi riprende, la penna: «- Ora continuiamo l'opera nostra. «Contemplami sulla via del Calvario, carico della croce pesante. Guarda dietro a me Simone che mi aiuta a portarla, e considera due cose: «In primo luogo quell'uomo, quantunque di buona volontà, è un mercenario perché, se mi accompagna e prende parte al peso della croce, lo fa per guadagnare la somma convenuta. Infatti, quando è troppo stanco, lascia che il peso gravi di più sulle mie spalle ed è così che Io cado ancora due volte sulla via. «In secondo luogo, quest'uomo è stato requisito per aiutarmi a portare una parte della croce, ma non tutta la mia croce. «Vediamo il senso simbolico di queste due circostanze: «Simone è stato requisito, vale a dire che spera un certo guadagno per la fatica a cui fu costretto. «Così molte anime camminano dietro a me: senza dubbio consentono ad aiutarmi a portare la croce, ma restando preoccupate per la consolazione ed il riposo. Accettano di seguirmi e a tale scopo abbracciarono la vita perfetta, ma senza abbandonare il loro interesse che rimane anzi in cima ai loro pensieri. Vacillano quindi e lasciano cadere la mia croce quando pesa troppo. Cercano di soffrire il meno possibile, misurano la loro abnegazione, evitano questa umiliazione, quella fatica, quel lavoro e, ricordando forse con rimpianto ciò che lasciarono, provano a concedersi almeno certe soddisfazioni. In una parola, ci sono delle anime così interessate ed egoiste che, essendosi messe alla mia sequela più per il vantaggio loro che per il mio, non accettano se non quello che non possono evitare o che le obbliga strettamente... Queste anime non mi aiutano a portare che una piccola parte della mia croce, ed in modo tale che a mala pena potranno acquistare i meriti indispensabili per la loro salvezza. Ma nell'eternità esse vedranno quanto sono rimaste indietro e lontane nel cammino. «Vi sono invece anime, e non poche, le quali, mosse dal desiderio della loro salvezza, ma più ancora dall'amore per Colui che ha sofferto per loro, si risolvono a seguirmi sulla via del Calvario. Abbracciano la vita perfetta e si consa­crano al mio servizio non per portare soltanto una parte della croce, ma per portarla tutta intera. Il loro unico desiderio è di darmi riposo e consolarmi. Si offrono a tutto ciò che a me fa piacere. Non pensano né alla ricompensa né ai meriti che a loro verranno, né alla stanchezza, né ai patimenti che potranno incontrare. Il loro unico desiderio è di dimostrarmi il loro amore e di consolare il mio Cuore. Sia che la mia croce si presenti ad esse sotto forma di malattia o che si nasconda sotto un'occupazione contraria ai loro gusti o alle loro attitudini, che rivesta la forma di qualche dimenticanza o di una certa opposizione da parte di chi le circonda, esse la riconoscono e l'accettano con tutta la sottomissione di cui la loro volontà è capace. «Alle volte, sotto l'impulso di un grande amore per il mio Cuore e di un vero zelo per le anime, hanno fatto ciò che credevano meglio. Ma alla loro attesa rispondono pene ed umiliazioni. Allora queste anime che erano state ispirate soltanto dall'amore scoprono la mia croce sotto questo insuccesso: l'adorano, l'abbracciano, ed offrono per la mia gloria tutta l'umiliazione che loro ne viene. «Ah! queste anime sono quelle che veramente portano tutto il peso della mia croce, senz'altro vantaggio o guadagno che l'amore! Sono quelle che riposano il mio Cuore e lo glorificano! «Tenete per certo che se la vostra abnegazione e le vostre sofferenze tardano a dare i loro frutti, o sembrano magari non darne alcuno, tuttavia non sono state né vane né inutili. Un giorno il raccolto sarà abbondante. «L'anima che ama veramente non misura ciò che fa, né pesa quello che soffre. Non viene a patti per la fatica o per il lavoro, non aspetta retribuzione, ma intraprende tutto quello che giudica essere più glorioso a Dio. «E appunto perché agisce lealmente, qualunque sia il risultato del suo operare, non si discolpa, né mette in campo le sue intenzioni. E perché agisce per amore, i suoi sforzi e le sue pene porteranno sempre alla gloria di Dio. Non si agita né s'inquieta e meno ancora perde la pace se in qualche occasione essa si vede contraddetta o anche perseguitata ed umiliata; il solo movente dei suoi atti è l'amore, e l'amore è il suo solo scopo. «Queste sono le anime che non vogliono salario e che non cercano che la mia consolazione, il mio riposo, la mia gloria. Sono quelle che hanno preso la mia croce, e ne sostengono tutto il peso sulle proprie spalle!». Questa croce benedetta Egli la porta di nuovo a Josefa quando, calata la notte, nel silenzio che avvolge il convento dei Feuillants, Gesù la ritrova nel coretto dov'è venuta a fare l'ora santa. «- Josefa, sei qui? Vieni a tenermi compagnia!». le dice mentre le consegna la croce. «- Mettiti vicino a me per difendermi dagli oltraggi e dagli insulti di cui fui vittima in presenza di Erode. «Contempla la vergogna e la confusione di cui fui coperto ascoltando le parole di scherno e di derisione con cui quell'uomo mi coprì. Dammi continue testimonianze di adorazione, di riparazione e di amore! «Addio! Custodisci la mia croce. Domani ti preparerò al gran giorno del mio amore!».

 

MERCOLEDI’ SANTO: LA CROCIFISSIONE 28 marzo 1923

La mattina del Mercoledì Santo 28 marzo 1923, Nostro Signore conduce Josefa con sé al Calvario. «- Bacia la terra, umiliati poiché sei indegna di racco­gliere le mie parole! ma Io amo le anime, ed è per esse che vengo a te! «Ecco che ci avviciniamo al Calvario! La folla si agita, mentre Io cammino a stento... e presto, estenuato dalla fatica, cado per la terza volta. «La mia prima caduta otterrà ai peccatori, radicati nell'abitudine della colpa, la forza di ravvedersi. La se­conda incoraggia le anime deboli, accecate dalla tristezza e dal turbamento, a rialzarsi e a riprendere con nuovo ardore la via della virtù. La terza aiuterà le anime a pentirsi all'ora suprema della morte. «Siamo giunti al termine del cammino. Vedi con quale avidità mi attorniano quegli uomini dal cuore indurito... Alcuni prendono la croce e la stendono al suolo, altri mi strappano le vesti. Le ferite si riaprono e il sangue scorre di nuovo. «Meditate, anime care, quale fu la mia vergogna nel vedermi esposto così dinanzi alla folla! Quale strazio per il mio corpo e quale confusione per la mia anima! Prendete parte all'afflizione di mia madre che contempla quella terribile scena... E pensate con quale desiderio ella vorrebbe impossessarsi della tunica imbevuta e tinta del mio sangue! «L'ora è giunta: i carnefici mi stendono sulla croce, mi afferrano le braccia, tirandole per far giungere le mie mani ai fori già praticati nel legno. Ad ogni movimento il mio capo è scosso da un lato all'altro, e le spine della corona vi penetrano più profondamente! Udite il primo colpo di martello che m'inchioda la mario destra... risuona fino alla profondità della terra!... ascoltate ancora... già m inchiodano la mano sinistra: dinanzi a tale spettacolo i cieli fremono e gli angeli si prostrano! «Io mantengo profondo silenzio, neppure un lamento sfugge alle mie labbra!... «Dopo aver inchiodato le mani, i carnefici stirano crudelmente i piedi:... le piaghe si aprono... i nervi si strappano... le ossa si slogano... il dolore è intenso... i miei piedi sono trapassati e il sangue bagna la terra!... «Contemplate un istante quelle mani e quei piedi la­cerati e sanguinanti... quel corpo coperto di ferite... quel capo trafitto da spine acute, ricoperto di polvere, intriso di sudore e di sangue... «Ammirate il silenzio, la pazienza e la conformità al volere di Dio con cui accetto tali patimenti crudeli. «Chi è Colui che soffre così, vittima di tali ignominie?... E’ Gesù Cristo, il Figlio di Dio!... Colui che ha fatto il cielo e la terra e tutto ciò che esiste... Colui che fa crescere le piante e dà vita ad ogni essere... Colui che ha creato l'uomo e la cui potenza infinita sostiene l'universo... Egli è là, immobile, disprezzato e spogliato di tutto!... Ma presto molte anime correranno a Lui per imitarlo e seguirlo. Esse abbandoneranno tutto: fortuna, benessere, onore, famiglia, patria, per dargli gloria e provargli l'amore a cui ha diritto. «E mentre i colpi di martello risuonano da un estremo all'altro dello spazio, la terra trema, il cielo si chiude nel più rigoroso silenzio e tutti gli spiriti angelici si prostràno in adorazione... Un Dio è inchiodato alla croce! «Fermati, Josefa! Contempla il tuo divino sposo steso sulla croce. E senza movimento, senza onore, senza li­bertà, tutto gli è stato tolto! «Nessuno ha pietà di Lui, nessuno lo compatisce per la sua sofferenza! Ma senza tregua nuove derisioni, nuove contumelie, nuovi dolori si aggiungono ai tormenti che sopporta. «Se tu veramente mi ami, che cosa non farai per rasso­ somigliarmi? Che cosa tralascerai per consolarmi? Potrai forse ancora rifiutare qualcosa al mio amore? «Ora prostrati a terra, e lascia che Io ti dica una parola: «La mia volontà trionfi in te! «Il mio amore ti consumi! «La tua miseria mi glorifichi!». Alle dieci Josefa si reca nella cappella delle Opere per se­guirlo nella «Via Crucis». Là Gesù l'attende: «Io ti accompagnerò nello stato in cui mi trovavo quando, carico della croce, traversai le vie di Gerusalemme». «Portava - ella scrive, - sulla tunica bianca un manto rosso chiazzato di sangue e strappato in varie parti. La corona gli stava molto calcata sulla fronte... Il suo volto aveva un'espressione di tristezza, portava le tracce dei colpi e del sangue quasi coagulato. «Avvicinandomi mi ha detto: «- Josefa, vieni a contemplarmi sulla dolorosa via del Calvario... Adora il mio sangue sparso ed offrilo al Padre celeste per la salvezza delle anime».

La sera del mercoledì santo, mentre tutto sta addormen­tandosi nella grande casa, Josefa si rifugia nel coretto ove ha il permesso di fare l'ora santa. Appena si è inginocchiata, Gesù le appare nello splendore della sua bellezza. Ogni traccia di dolore è scomparsa e il Cuore infiammato sembra immerso in un incendio: «- Josefa, domani è il giorno dell'amore! Contempla il mio Cuore: non può contenere l'ardore che lo consuma di darsi, di immolarsi, di restare per sempre con le anime! Ah! come aspetto che esse mi aprano il loro cuore, che mi chiudano in esso, e che il fuoco che consuma il mio le fortifichi e le in­fiammi!». «- Lasciami entrare in te, lavorarti, consumarti e distruggerti, affinché non sia più la tua volontà che agisca, ma la mia. «Guarda come trasalisce il mio amore nel vedere tutte quelle anime che domani mi riceveranno e si lasceranno possedere dall'azione divina e saranno la consolazione del mio Cuore. «Sì, domani l'amore trabocca, si dona! Ah, come questo pensiero mi consola e questo desiderio mi divora!... Darmi alle anime e che le anime si diano a me!... Tu, Josefa, abbandonami tutto il tuo cuore senza timore della tua piccolezza. Lascia che l'amore lo possegga e lo trasformi!».

 

GIOVEDI’ SANTO: IL GRAN GIORNO DELL'AMORE 29 marzo 1923

«- Josefa! Ecco Ecco il suo giorno di Giovedì Santo. giunto il gran giorno dell'amore!... festa!...», le disse Gesù all'alba. «Si, questo è il giorno in cui mi do alle anime, per essere ciò che vorranno che Io sia: sarò loro padre se mi vogliono per padre... loro sposo se mi desiderano tale... mi farò la loro forza se hanno bisogno di forza e, se aspirano a consolarmi, Io mi lascerò consolare!... L'unico mio desiderio è di darmi e di colmarle delle grazie che il mio Cuore tiene loro preparate e che non può più contenere!... E per te, Josefa, che cosa sarò?...». «Tutto, Signore! poiché non ho niente!...». «- Hai detto bene!». «Appunto perché non sei che niente e miseria, bisogna che tu mi lasci incendiare il tuo cuore, consu­marlo, e distruggerlo. Sai bene che il niente e la miseria non sono capaci di resistere...». Questa giornata trascorrerà sotto l'azione «dell'amore che si dona... dell'amore che si abbandona davanti ai suoi...». Gesù le appare nella cella: «- Sì, Josefa, ti ho detto che l'amore si dà ai suoi ed è vero. Vieni, accostati al mio Cuore e penetra i sentimenti che ne traboccano! L'amore si dà ai suoi come alimento, e questo ali­mento è la sostanza che dà loro la vita e li sostenta. «L'amore si umilia davanti ai suoi, così Egli li eleva alla più alta dignita. «L'amore si dà tutto intero, con profusione e senza riserve. Si sacrifica, s'immola, donandosi ardentemente e con veemenza a coloro che ama. Ah, quale pazzia d'a­more è l'Eucaristia!...». «- E sarà appunto l'amore che mi condurrà alla morte». «Oggi, sei sostenuta, consolata, fortificata dal­l'amore. Domani l'accompagnerai e patirai con lui, fino al Calvario». Verso mezzanotte, Egli le appare e l'invita a condividere la solitudine della sua prigione. La sua tunica bianca è a brandelli e macchiata di sangue. Il volto divino porta la traccia degli schiaffi e dei maltrattamenti ignominiosi ricevuti. «- Josefa, tu mi hai consolato... Vengo a ripigliare la mia croce! «Ora tienimi compagnia. Non lasciarmi solo nella prigione!... Fa' che alzando gli occhi per cercarti, Io incontri il tuo sguardo fisso in me! «Sai quanto grande è per l'anima che soffre la con­solazione di avere qualcuno che la compatisce? «Tu che conosci la tenerezza del mio Cuore, puoi misurare il mio dolore tra gli oltraggi dei miei nemici e l'abbandono dei miei!». «- Non ti dico addio, poiché tu mi resti sempre vicina!».

 

VENERDI’ SANTO: LE SETTE PAROLE 30-31 marzo 1923

«Verso le sei del mattino (venerdì santo 29 marzo 1923) l'ho visto du­rante la meditazione, come questa notte: soltanto sulla tunica bianca era gettato un mantello rosso. «Josefa, tra poco i miei nemici caricheranno sulle mie spalle la croce, che è tanto pesante!». «Sì, prendila e il tuo amore me l'addolcisca un poco. Ti ho fatto conoscere i miei patimenti, seguimi in essi, accompagnami e prendi parte al mio dolore...». Durante la mattinata Gesù ritorna per dettarle la Via Crucis ch'ella ha fatto con Lui qualche giorno prima. «Il suo volto era lacerato, - scrive - gli occhi gonfi e insanguinati... Mi ha fatto baciare i suoi piedi alla set­tima, all'undicesima, alla tredicesima stazione. Poi, prima di sparire, mi ha detto: «Si avvicina l'ora della mia crocifissione... te la farò conoscere quando suonerà». «Verso mezzogiorno e mezzo l'ho rivisto: «Ecco il momento in cui i carnefici stanno per configgermi alla croce, Josefa». «... Allora, - ella scrive - un dolore così violento trafisse le mie mani e i miei piedi, che il mio corpo ne fu interamente scosso. Nello stesso tempo intesi i colpi di martello, lentamente ripetuti, che si ripercuotevano in lontananza. Con voce spenta Gesù ha detto: «Ecco l'ora della redenzione del mondo! Stanno per elevarmi da terra e offrirmi in spettacolo alla derisione della folla... ma altresì all'ammirazione delle anime!...». «Dopo qualche istante lo rividi. Era attaccato alla croce e questa era drizzata: «Il mondo ha trovato la pace!... questa croce, che finora era strumento di supplizio su cui morivano i malfattori, diverrà la luce del mondo e l'oggetto della più profonda venerazione. «Nelle mie piaghe sacratissime attingeranno i peccatori il perdono e la vita!... Il mio sangue laverà e cancellerà tutte le loro brutture... «Alle mie piaghe sacre verranno le anime pure a dissetarsi e ad accendersi di amore... In esse si rifugeranno e porranno per sempre la loro dimora!... «Il mondo ha trovato il suo redentore e le anime scelte il modello che devono imitare. «Josefa! queste mani sono per te per sostenerti, questi piedi per seguirti e non lasciarti sola mai! «Tutto quello che vedi, scrivilo!». Scrive Josefa: «Era confitto in croce. La corona circondava il suo capo, e grandi spine vi si configgevano profondamente. Una, più lunga delle altre, entrava al di sopra della fronte e riu­sciva presso l'occhio sinistro che era tutto gonfio. Il volto, coperto di sangue e di sozzure, era inclinato in avanti, un po piegato a sinistra. Gli occhi, benché molto gonfi e iniettati di sangue, erano ancora aperti e guardavano a terra. Su tutto il suo corpo straziato si vedevano le tracce dei colpi che, in certi punti, avevano persino asportato dei brandelli di carne e di pelle. Il sangue scorreva dalla testa e dalle altre ferite. Le labbra erano violacee e la bocca leggermente contratta: ma l'ultima volta che l'ho visto, verso le due e mezza, aveva ripreso il suo aspetto normale. «Ciò che ho pure osservato quando l'ho visto così crocifisso è che gli era stata strappata la barba, che abitualmente dà al suo volto una grande maestà. I capelli che sono così belli e aggiungono tanta grazia alla sua fisionomia erano scomposti, intrisi di sangue e cadevano sulla sua faccia». «Verso le due e mezza Nostro Signore ha parlato con voce spezzata». Ella raccoglie allora le sette parole. «O Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno. «No, non hanno conosciuto Colui che è la loro vita. Hanno scagliato su lui il furore della loro iniquità... Ma Io ti prego, o Padre, fa' cadere su loro tutta la forza della tua misericordia! «Oggi sarai con me in Paradiso... «Perché la tua fede nella misericordia del tuo Salvatore ha cancellato tutti i tuoi delitti, essa ti conduce alla vita eterna! «Donna, ecco tuo Figlio! «Madre mia! Ecco i miei fratelli!... proteggili!... amali... Voi non siete più soli, voi, per cui ho dato la vita! Ora avete una madre alla quale potete ricorrere in tutte le vostre necessità». Qui Josefa interrompe il racconto: «Ho visto presso la croce la Madonna in piedi, che guardava Gesù. Aveva una veste violacea e un velo dello stesso colore. Ha detto con voce addolorata, ma ferma: «Vedi, figlia mia, fino a che punto l'ha ridotto l'amore per le anime! Colui che tu contempli in uno stato tanto triste e pietoso è il mio divin Figlio: l'amore lo conduce alla morte!... l'amore lo spinge ad unire tutti gli uomini in un vincolo fraterno dando loro la propria Madre». «Gesù ha continuato: «Mio Dio, perché mi hai abbandonato? «... Sì, l'anima ha ora diritto di dire al suo Dio: 'Perché mi hai abbandonato?'. Infatti, compiuto il mistero della Redenzione, l'uomo è divenuto figlio di Dio, fratello di Gesù Cristo, erede della vita eterna». «Ho sete!... «O Padre mio!... ho sete della tua gloria. Ed ecco ormai giunta l'ora!... D'ora in poi, vedendo avverate le mie parole, il mondo conoscerà che sei tu che mi hai inviato e ne sarai glorificato! «Ho sete di anime, e per estinguere questa sete ho sparso fino all'ultima stilla del mio sangue!... Perciò posso dire: «Tutto è compiuto! «E ora compiuto il gran mistero di amore nel quale Dio ha dato alla morte il suo Unigenito per rendere la vita all'uomo. «Sono venuto nel mondo per fare la tua volontà. O Padre, essa è adempiuta!». «Nelle tue mani raccomando l'anima mia e a te con­segno il mio spirito. «In tal modo le anime che hanno eseguito la mia volontà potranno dire in verità: "Tutto è consumato!... Mio Signore e mio Dio, ricevi l'anima mia, la rimetto nelle tue mani!". «Josefa, ciò che hai inteso, scrivilo. Voglio che le anime ascoltino e leggano ciò che è scritto... affinché chi ha sete si disseti e chi ha fame si sazi». Josefa: «La croce, i chiodi, la tristezza dell'anima e una sof­ferenza che non so spiegare... Ho conservato tutto ciò fin verso le sei del pomeriggio, poi tutto improvvisamente cessò, eccettuati i dolori della corona di spine».

Durante la notte di Pasqua, verso le due e mezza, la Madonna le appare ad un tratto, in tutto lo splendore della sua bellezza. «Figlia mia, il mio Fi­glio, il tuo divino sposo, non soffre più! E’ risuscitato e glorioso!... Le sue piaghe sono ormai la sorgente a cui le anime attingeranno grazie senza numero e la dimora in cui le più miserabili troveranno asilo. «Preparati, figlia mia, ad adorare queste piaghe glo­riose!».

 

IX

MARMOUTIER

VITA DI FEDE 1° aprile - 2 maggio 1923

 

Il venerdì dopo la domenica in Albis, 13 aprile 1923, un'anima che dal Purgatorio qualche settimana prima aveva chiesto a Josefa dei suffragi, le viene inviata dal cielo per darle forza. L'anima rivela il suo nome ed aggiunge: «Vengo in nome di Colui che è la mia beati­tudine eterna, l’oggetto unico del nostro amore, per animarti a proseguire nella sofferenza il sentiero che la sua bontà ti traccia per il bene tuo e di molte altre anime! «Un giorno tu contemplerai le meraviglie d'amore che Egli riserva, non nel tempo, ma nell'eternità, alle anime da Lui più amate. Allora tu comprenderai i frutti della sofferenza e gusterai una felicità tale che l'anima non potrebbe sostenerla quaggiù! «Coraggio! ritroverai presto la pace! L'opera redentrice non si realizza che a forza di soffrire. Ma la sofferenza purifica e fortifica l'anima arricchendola di meriti agli occhi di Dio!».

Alla sera del giovedì 19 aprile 1923, la Madonna viene. Subito Josefa le raccomanda un'anima che sa in pericolo. «Soffrire! Soffrire! Ciò che ha gran valore bisogna acquistarlo a caro prezzo». Quest'anima si salverà! Offri tutte le tue sof­ferenze a questo scopo e abbandonane il risultato e la gloria a Dio Solo! Ma te lo ripeto, figlia mia, quest'anima non si perderà!». Gesù vuole che tu faccia il sacrificio di questa casa!». Non stupirti, figlia mia. - Le vie di Dio sono imperscrutabili agli occhi delle creature... Non temere: questo sacrificio è necessario per l'anima tua e per molte altre. Gesù ti ama, vivi solo per Lui!».

Il giorno dopo, venerdì 20 aprile 1923, Nostro Signore le con­ferma la sua volontà. E siccome ella gli espone i suoi timori: «- Non ci sono Io, Josefa, a cui puoi confidare tutto e parlare di tutto? Quando ti ho mai lasciata sola? Il tuo amore per me è un niente, appena un'ombra, in paragone di quello che Io ti porto! «Voglio che tu mi dia questa prova di amore ed è necessario che l'opera mia passi per il crogiuolo della sofferenza. Non temere: nessuno scoprirà il segreto che ti avvolge, e l'Opera risplenderà più che mai poiché laggiù lascerò tracce del mio passaggio». Quindi, rianimando il suo coraggio e la sua fiducia: Sta per incominciare per te un nuovo periodo di vita. Tu vivrai di pace e di amore e nel frattempo ci prepareremo all'unione eterna. Già nulla ci separa, Josefa: tu mi ami ed Io ti amo... le anime si salvano... che importa il resto?». «Voglio che tu cresca; - sei ancora così piccola! Ma io non ti lascerò sola!».

«- Josefa, tu mi consoli». le dice Gesù il lunedì 23 aprile 1923, mentre ella sta segnando il soggetto del suo esame particolare con queste parole: moltiplicare i piccoli atti di fedeltà senza rifiutare niente a Gesù. «- Sì, quest'esame mi piace. Se tu sarai fedele a tutte le delicatezze dell'amore, Io non mi lascerò vincere in generosità. L'anima tua sarà inondata di pace. Non ti lascerò sola e, nella tua piccolezza, tu sarai grande perché Io vivo in te!». «- L'amore ti conduce, l'amore ti sostiene. Sì, ora bisogna che tu cresca e che tu corra fino a raggiungere l'abisso di felicità che ti preparo con tanto amore!». S'avvicina il giorno della partenza. Josefa non ha bisogno di fare preparativi: è così poco quello che porta con sé! Fino all'ultima sera conduce la sua vita consueta con semplicità e serenità. E pronta ad abbracciare la volontà di Dio. Ma il cuore soffre per la separazione che sente vivamente, e ancor più per l'apprensione di trovarsi sola sotto il peso del segreto che porta con sé.

«Va'! - le ripete Nostro Signore la domenica 29 aprile 1923 - va' in quella casa e mi troverai. Non spaventarti. Ti dirò quello che dovrai fare e non ti abbandonerò!».

Il mercoledì 2 maggio 1923 compie il sacrificio. All'alba, Josefa unisce la sua offerta a quella di Gesù Ostia e, santificata dalla Comunione, va a dare l'ultimo saluto a tutti i luoghi cari al suo cuore: la cella di Santa Maddalena Sofia, il piccolo oratorio della Madonna al noviziato, la cappellina delle Opere che ama tanto... Appena uscita di li incontra Gesù: «Veniva a me con la corona di spine. Provai una gran gioia perché da tanto tempo non la portavo più ed era una grande consolazione partire con quel tesoro!... Egli la mise sul mio capo dicendo: «Prendila e seguimi!». Qualche istante dopo Josefa lasciava i Feuillants. «Sul marciapiede della stazione l'ho rivisto - ella scrive nel quadernino ove annoterà tutte le parole del Maestro nel periodo di vita che sta per aprirsi. Passò vicino a me e mi disse: «Cammino davanti a te». E ripete le stesse parole un po' più tardi, quando il treno portava già la viaggiatrice verso la sua destinazione. «Si, Josefa, cammino davanti a te e il mio Cuore è glorificato!... Quante anime si salveranno! e quante sorprese ti preparo!». «Poi non lo rividi più - aggiunge - ma lo sapevo lì e il mio cuore gli parlava: mi offrii con tutta l'anima a fare la sua volontà, rinnovai più volte i miei voti, gli chiesi d'insegnarmi ad amarlo sempre più, poiché non cerco né voglio che Lui solo. Mi abbandonai completamente a Lui e il viaggio terminò con la grande consolazione di poter offrire a Dio il sacrificio della casa e delle Madri che tanto amavo».

 

ASCENSIONE NELLA SOLITUDINE 2-20 maggio 1923

 

Josefa, il mercoledì 2 maggio 1923 giunge a Marmoutier, il grande convento! Lo si distingue da lontano per la sua grande torre campanaria, il suo portale del XII secolo e la massa imponente della sua costruzione. Si eleva sulla valle e si stacca sulla roccia rossastra della pendice di Rougemont, presso la Loira, da cui talora viene inondato, vicino alla città di Tours, alla quale una volta era congiunto con un sotterraneo scavato sotto il fiume; soprattutto collegato alla storia nazionale e religiosa del paese le cui date celebri sono impresse nelle sue pietre immortalate dalla leggenda benedettina. Marmoutier è la Gallia aperta al cristianesimo con San Graziano, San Leobardo e San Patrizio, di cui le grotte portano ancora il nome. E la Francia dei vescovi e dei monaci, con San Martino, il fondatore del grande monastero, con San Brizio e i Sette Dormienti, con i suoi abati commendatari, di cui Ri­chelieu portava ancora il titolo. E la Francia dolorosa del 1791 con l'espulsione dei Benedettini, le devastazioni della Banda Nera, l'abbandono delle rovine monastiche. Santa Maddalena Sofia, nel 1847, vi mandò le figlie affinché in quella valle rifiorisse l'amore. Josefa vi avrebbe trascorso solo un mese, nel nascondimento e nel lavoro.  «- Qui - le diceva Gesù la sera stessa - imparerai ad amare l'umiliazione, Josefa, poiché t'aspetta. Così l'anima tua crescerà e mi glorificherà». «- Non temere: ti conduce l'amore. Esso ti sosterrà. Vivi di amore per poter morire d'amore!».

  «- Non temere, poiché Io prendo cura di te come una mamma del suo figlioletto. Sono Io la gioia dell'anima tua: soffrirai: ma nella pace!».

   La sera Gesù le appare d'improvviso quando sta per andare al riposo. «- Parlami, perché sono con te, non sei sola, neppure quando non mi vedi. Io ti vedo, ti seguo, ti odo; parlami, sorridimi, perché sono il tuo sposo, il tuo compagno inseparabile...». Poi, facendo allusione alla casa che ha lasciato: «Qui, come là, tu sei nel mio Cuore!».

Il primo venerdì del mese, 4 maggio 1923, all'alba, Gesù le apre il Cuore adorabile: «Vieni, entra qua: qui passerai la giornata! Tu sei in me, Josefa, ed è perciò che non mi vedi sempre. Ma Io sempre ti vedo, e questo ci basta!». «- Tu sei in me, Io in te. Quale legame più stretto potrebbe unirci?». Durante il ringraziamento della Comunione, si offre a questa presenza che è tutto per lei: «In quello stesso istante l'ho visto così bello e pa­terno!». «- Josefa, Io sono in te, ti sostengo affinché in mezzo alla sofferenza tu conservi quella pace che sorpassa ogni gioia terrena e che nulla potrà toglierti: la mia pace... si, la mia pace t'inonderà d'una santa gioia, ti fortificherà e ti sosterrà nella sofferenza!». «- L'amore ti purificherà, consumerà la tua miseria, e la forza stessa di questo amore, puro e ardente, ti condurrà alla santità... Sono Io che farò tutto!».

Il sabato 5 maggio 1923, Nostro Signore le dice: «- Voglio che tu impari ad essere generosa, perché la generosità è frutto dell'amore. In seguito ti spiegherò: ora te ne do la lezione pratica: ti troverai in mille circostanze attraverso le quali non vedrai che me, e se ti verrà manifestata o detta qualche cosa che faccia pena o ferisca il cuore, tu sorridi con generosità ed amore, come se fossi Io che ti parlassi...». Gesù continua ad apparirle, qua e là, seminando lungo le giornate i richiami del suo amore. «- La sofferenza passa, il merito è eterno!... Tu sei sempre nel mio Cuore; non perdermi di vista; l'amore ti conduce; abbandonami tutto... Sono tutto per te!». E la Mamma, apparendole: «- Il cammino che percorri è quello del mio Fi­gliolo. Ringrazialo di farti andare con lui... tu parteciperai più di una volta alle angosce del suo Cuore, ma nella sua pace!».

«Non temere di soffrire - le raccomanda la Madonna domenica 6 maggio 1923 - poiché così attirerai nuove grazie sulle anime... Rimani nella gioia e il tuo esterno sia riflesso della pace che è in te!».

Il mercoledì 16 maggio 1923, questa Madre incomparabile la conferma nuovamente nella fiducia. «- Gesù ti conosce, figlia mia: sa quello che sei e ti ama così! Le tue miserie non scompariranno affinché tu possa sempre vincerti e lottare. Umiliati senza sco­raggiarti. Tu hai già fatto l'esperienza del suo Cuore! Egli chiede e vuole la miseria e il nulla per dar luogo alla sua misericordia e bontà, che consumano e trasformano tutto. E’ tanto buono!... Ah! se le anime lo conoscessero, come l'amerebbero di più!». E benedicendola dice prima di sparire: «- Pace e gioia, figlia carissima, umiltà e amore!».

Nella mattinata di martedì, 8 maggio 1923 ad un tratto, la Santa Madre Fondatrice mi è apparsa: «- Eccoti dunque qui, figlia mia!». «Non ti dirò che una parola perché tu possa assa­porarla durante tutto il giorno: l'amore non trova mai ostacoli, e se ne trova, li trasforma in mezzi per alimentare la fiamma... Ti spiegherò questo a fondo, ma più tardi! Qui, figlia mia, adempi il tuo dovere. Ama, ama, ama!».

 Il lunedì 28 maggio Josefa la rivede ancora una volta nel giorno della sua festa, rimandata a quella data nel 1923. Le apparirà in cappella, e facendole il segno di croce sulla fronte, le dirà: «- Figlia cara, è così che ti amo, piccola e miserabile... Io pure ero piccola come te, ma ho trovato il mezzo di utilizzare la mia piccolezza dandola interamente a Gesù, a Lui che è grande! Mi sono abbandonata alla sua divina vo­lontà e non ho cercato che la gloria del suo Cuore. Ho cercato di vivere nella conoscenza della mia bassezza e del mio niente, e lui si è incaricato di tutto. «Figlia mia, vivi di pace e di fiducia. Sii molto umile e abbandonati a quel Cuore che è tutto amore!».

Il giovedì 10 maggio 1923, festa dell'Ascensione, Gesù le appare durante il ringraziamento della Comunione, «risplendente - ella scrive - con le piaghe irraggianti luce bellissima e vivissima. «- Ecco il giorno,  in cui la mia santa umanità è entrata in cielo! Vuoi che Io renda l'anima tua un altro cielo, ove metterò tutte le mie compiacenze?». Ella si sprofonda allora nella sua miseria. «- Poco importa! la tua miseria mi servirà di trono e Io sarò il tuo Re! La mia bontà cancellerà le tue in­gratitudini. Io ti consumerò e ti distruggerò... Rispondimi, Josefa: consenti a darmi il tuo cuore perché ne faccia un cielo di riposo?». «- Si, vivrò sempre in te, mi nasconderò nell'anima tua per dimenticare le offese dei peccatori, ed ogni giorno ti confiderò un desiderio del mio Cuore, che tu procurerai di realizzare. «Oggi il mio desiderio è che tu viva della mia gioia. Pregherai affinché le anime sappiano disprezzare i piaceri terrestri per acquistare i beni eterni. Ti rallegrerai nel vedere il tuo sposo entrare come uomo nella patria celeste, e con Lui tante e tante anime sante che atten­devano con ardore che si aprisse per loro quella beata dimora. «Addio, custodiscimi e nascondimi nel tuo cuore! «Vivi della mia gioia; anche per te presto sorgerà questa gloria senza fine. Per ora, aspettandola, lasciami riposare in te!».

Il venerdì 11 maggio, prima che termini il ringraziamento della Comunione, Gesù viene: «- Sei qui, Josefa?». «Ho risposto dicendogli quanto, più che mai, ho bi­sogno di Lui». «- Io pure ti attendevo».  «- Oggi giorno di pace... ma nella sofferenza! E siccome tu non puoi fare molto, Io ti presenterò numerose piccole occasioni di cui approfitterai per offrirmi questa sera un bel mazzo di fiori profumati. Non spaventarti. Io sono la pace! e siccome dimoro e regno in te, tu vivrai pure nella mia pace». La sera di questo giorno in cui Gesù, le dice: «Tutto passa, e il cielo non finirà mai! Coraggio! «Io sono tutto per te, e perciò anche là tua forza; ora, riposa nella mia pace!».

«- Apri il tuo cuore, Josefa, e lasciami entrare» le dice il giorno seguente, sabato 12 maggio 1923, nel momento che si accosta a riceverlo nella Comunione. Ella non sa come dirgli che il suo cuore è sempre aperto per Lui: «- Sì, lo so, ma de­sidero e voglio che ogni giorno il mio ingresso in te sia più solenne e che tu abbia un tale desiderio, una tale fame di me, da venire meno. Se sapessi quanto ti amo! Se potessi comprenderlo! Ma sei troppo piccola!». «- Oggi, giorno di zelo!... Metterò nell'anima tua la sete di anime che divora il mio Cuore. Ah! le anime, le anime!». «Quando mi ha detto così – scrive Josefa - gli ho parlato delle anime che mi stanno a cuore, e mi ha risposto: «- Si, prega... prega... senza stancarti, e non temere di essere importuna, poiché la preghiera è la chiave che apre tutte le porte: oggi giorno di zelo, Josefa... giorno di zelo per le anime... anime... anime!...».

La domenica 13 maggio 1923 Nostro Signore la invita a per­correre la via redentrice per eccellenza: «- Passeremo oggi una giornata di umiltà - le dice dopo la Comunione. - Io stesso te ne fornirò le occa­sioni senza che tu le cerchi. Continua a pregare per le anime e ad umiliarti per esse e poi, malgrado tutto, sorridimi continuamente». «- Tu dunque non comprendi, Josefa, perché ti ho condotta qui? Prima di tutto ho voluto stabilirti in un totale abbandono alla mia volontà, in un assoluto distacco da tutto, anche da ciò che ti sembrava più necessario. Ho voluto inoltre, farti toccare con mano il bisogno che hai di essere sostenuta per poter distruggere in te gli ultimi resti dell'orgoglio. Ed è anche per le anime che ho voluto questo sacrificio della separazione e ne farò una delle pietre che formeranno l'edificio della mia opera». «- Dunque, Josefa, oggi è giorno di umiltà, ma nella gioia! Io sono la tua gioia... che t'importa il resto?».

Il giorno dopo, lunedì 14 maggio 1923, Nostro Signore le spiega per la seconda volta, ma in modo più chiaro, ciò che ella dovrà fare per l'opera del suo Cuore in un prossimo avvenire: «- Tu sei tutta mia, è vero? - le domande durante la meditazione - tu non cerchi che la mia gloria?... Tu non hai che un desiderio: che la mia opera si compia?...» A ciascuna domanda ho risposto: «Si, Si, o Signore». «- Allora  ti manifesterò i disegni del mio Cuore. Ti ho già detto che prima di morire vedrai tre volte il tuo Vescovo. Occorre per il bene dell'opera mia che tu gliela consegni un poco prima di morire, poiché desidero che subito dopo la tua morte le mie parole siano conosciute». E dà a Josefa tremante i particolari che indicano la sua precisa volontà: «Non temere! Quello che dovrai dire te lo farò conoscere, ma fin d'ora voglio che l'anima tua raccolga il merito di questo atto costoso». Dopo la santa Comunione Egli la conforta dicendole: «- Oggi, giorno d'abbandono e di fiducia! «Non posso negare nulla all'anima che aspetta tutto da me. Parlami, chiedimi, affidati al mio Cuore, poiché Io ti custodisco!».

Il martedì 15 maggio1923 «Gesù - ella scrive - è venuto improvvisamente e mostrandomi il Cuore circondato di fiamme: «- Josefa, contempla il mio Cuore, studialo e im­parerai l'amore. Il vero amore è umile, generoso e disin­teressato. Se dunque vuoi che insegni ad amarmi, in­comincia col dimenticarti. Non considerare i sacrifici: non far conto di quello che ti costano, non badare ai tuoi gusti! Fa' tutto per amore!».

La mattina di Pentecoste, 20 maggio 1923, Josefa, nella meditazione, si pone  nella mente una domanda: «Signore! Perché la croce, in una luce così bella e tuttavia senza di te?». E Gesù, durante il ringrazia­mento della Comunione. «- Josefa, non sai che la croce ed Io siamo insepa­rabili? Se tu m'incontri, incontri anche la croce, e quando trovi la croce, trovi Me. «Colui che mi ama, ama la mia croce, e colui che ama la croce, ama Me! Nessuno potrà possedere la vita eterna senza amare la croce, senza abbracciarla volentieri per amor mio. «Il sentiero della virtù e della santità è fatto di abne­gazione e di sofferenza. L'anima che accetta ed abbraccia generosamente la croce, cammina nella vera luce, segue un sentiero retto e sicuro, dove non c’è timore di scivolare sui pendii, perché non ve ne sono! «La mia croce è la porta della vera vita, perciò è splendente. E l'anima che ha saputo accettarla e amarla, tale quale Io gliel'ho data, entrerà per essa negli splendori della eterna vita. «Comprendi dunque ora quanto preziosa è la croce? Non temerla... Amala, poiché se sono Io che te la do, non ti lascerò mai senza le forze necessarie per sostenerla. «Guarda come Io l'ho portata per tuo amore. Tu portala per amor mio!».

 

LA CROCE E LE GRAZIE DI ELEZIONE 20 maggio - 2 giugno 1923

Il 20 maggio 1923, domenica, Josefa vede Gesù che la incarica di trasmettere in suo nome alcune indicazioni alle Madri dei Feuillants. «Perché temi, se sono Io che te lo comando?». « Ama e troverai la forza!». Josefa si decide finalmente e introduce nella lettera, in termini velati, ciò che il Signore espressamente le ha detto di scrivere.

Il giorno seguente Josefa è chiamata dalla sua superiora che la interroga dapprima con bontà, poi le mostra con forza il pericolo dell'illusione che farebbe di lei lo zimbello di una fantasia esaltata... Ella ascolta, accettando umilmente gli av­vertimenti assai forti che vorrebbero metterla in guardia contro se stessa e contro il demonio. Ma l'anima sua ne è sconvolta. Non può trattenere le lacrime.

La sera del lunedì di Pentecoste, 21 maggio 1923, dopo una giornata di dolorosa incertezza, ella chiede al Maestro di perdonarla se ha mancato di prudenza. «Gesù è venuto ad un tratto - scrive. - Il suo Cuore era infiammato e sosteneva col braccio destro la croce, tutta splendente, come l'avevo vista in questi ultimi giorni». «- Tu non hai fatto che obbedirmi, Josefa - le dice. - Non temere nulla da parte delle tue superiore. Non vedi come ti ho aiutata finora? Ho forse cambiato? Ti amavo prima e ti amo ancora. Io sono il tuo Padre, il tuo Salvatore, il tuo Sposo; ma sono anche il tuo Dio e tu mi appartieni. Il Creatore è il padrone della sua creatura e per questo tu sei mia»! «- Credi tu che qualche cosa accada senza il mio permesso? Sono Io che dispongo di tutto per il bene di tutte le anime, e di ciascuna in particolare. Per quanto oscura ti sembri quest'ora, la mia potenza la domina e l'opera mia risplenderà! «Sono il tuo tutto, Josefa; non temere, perché non sei sola. Ti ho condotta qui non per la tua rovina, ma per amore e perché occorre che tutto sia così».

«Il tuo cuore non ha ancora sofferto come il mio», le ripete Nostro Signore martedì 22 maggio 1923, e siccome Josefa replica che non ci può essere confronto tra il Cuore di Lui e il suo «meschino e miserabile»: «- Tuttavia, nella misura della tua capacità e delle tue forze voglio che il tuo amore sia un riflesso del mio!... Non temere! ti amo e non ti ab­bandono mai!».

La sera del 25 maggio 1923, venerdì di Pentecoste, Gesù le appare: «- Non temere, Io ti custodisco, ti guido, ti amo!». «Perché è così buono - prosegue - l'ho chiamato "Padre" e gli ho detto tutta la tenerezza che provo per Lui». «- Mi piace che tu mi chiami così. Quando mi dai il nome di padre obblighi il mio Cuore a prendere cura di te. Quaggiù quando il bambino comincia a parlare e balbetta questa parola così tenera "padre", i genitori esultano di gioia e gli aprono le braccia, lo stringono al cuore con tale amore che sembra loro che tutti i piaceri del mondo siano un nulla di fronte a questa felicità. Se così è per un padre o una madre della terra, che cosa proverà Colui che è padre, madre, Dio, creatore, salvatore, sposo?... Colui il cui Cuore non ha l'eguale in tenerezza ed amore? «Sì, Josefa, quando ti trovi angosciata ed oppressa, vieni, ricorri a me, chiamami "padre" e riposa nel mio Cuore! «Se nel tuo lavoro tu non puoi gettarti ai miei piedi come desidereresti, dimmi solamente: 'Padre!'. Allora Io ti aiuterò, ti sosterrò, ti guiderò, ti consolerò. «Ora riposa in pace! Un altro giorno è passato, che conterà per tutta l'eternità!».

Il sabato 26 maggio 1923, vigilia della SS. Trinità, Josefa scrive: «Dopo la Comunione ho visto Gesù. Sembrava un mendicante che non osasse parlare. Dopo aver rinnovato i voti, gli ho domandato perché si mostrava così... Egli ha teso la mano: «Quello che voglio?... Non lo sai?... Nient'altro che il tuo cuore, Josefa». «Ma, Signore, tu sai bene che è tutto tuo! Da tanto tempo te l'ho dato e non ho altro amore che te! «Il suo Cuore si è tutto infiammato. «Lo so, oggi voglio rapirtelo!... e al suo posto metterò una scintilla del mio, che ti divorerà e infiammerà senza posa». «Sì, vivrai d'amore e l'anima tua soffrirà una sete insaziabile di possedermi, di glorificarmi, di darmi anime. Il tuo cuore si consumerà nella fiamma dell'amore. Questa fiamma lo incendierà di zelo per le anime. Allora nulla potrà più essere di ostacolo alla tua corsa nel sentiero che il mio Cuore ti ha preparato con tanto amore». «Non temere, Josefa; niente si oppone a ciò poiché tu non agirai più da te, ma guidata e mossa da me. «Voglio Io pure che tu sia come un fanciullino, ma voglio utilizzare la tua piccolezza. Appunto perché sei piccola occorre che ti lasci maneggiare e condurre dalla mia mano paterna, potente e infinitamente forte, e che, ancorché vi fosse qualcosa di buono in te, tu non te lo attribuisca mai, poiché i fanciulli nulla sanno e nulla possono. Però, se sono docili, se s'abbandonano, il loro padre li conduce con la sua sapienza e la sua prudenza. «Josefa, lascia che ti strappi il cuore». Senza darmi il tempo di rispondere, Gesù me lo strappò - continua. - Sentii un violento dolore, e, prendendo una fiamma ardente del fuoco del suo Cuore, la fece cadere sul mio petto. Ah! Signore, è troppo!». «- Lasciami... lasciami fare... è l'amore!». «- La fiamma del mio amore ti servirà di cuore, ma non t'impedirà di sentire, né di amare, anzi! Più l'amore è forte, più è delicato!... «Adesso passiamo una giornata di zelo, di ardore e di delicatezza. Io per te, e tu per me!». «Da quel momento ho sentito nel mio petto un fuoco tale che a momenti mi pare insopportabile. E poi tutto mi appare così difettoso! Io stessa vorrei uscire da me! vorrei attirare tante e tante anime al suo Cuore! Dargli tanta gloria! Ho fame di Lui, e non possederlo, vivere ancora lontana da Lui mi riesce un martirio. Non so esprimere quello che accade in me... Ora più che mai ho un ardore, una fiamma che mi consuma dal desiderio del mio Dio. Ah! come vorrei amarlo e vederlo amato...».

Il giorno seguente, 27 maggio 1923, festa della SS. Trinità, le tre Divine Persone si manifestano a lei in una luminosa bellezza. Josefa ode queste parole: «Tre siamo Uno in santità, in sapienza, in potenza e in amore. «L'uomo, la cui natura umana è divinizzata dalla grazia, diviene una cosa sola con Dio. Così Dio abita nell'anima dove abita la grazia. Essa è il tempio della SS. Trinità, ove le tre Persone si riposano e di cui fanno le loro delizie». «Allora - ella aggiunge dopo aver scritto semplice­mente quanto ha udito - non ho più visto che Gesù solo. Egli, stendendomi la mano, lo sguardo fisso al cielo, ha detto: «- Gli uomini adorino il Padre, amino il Figlio, si lascino possedere dallo Spirito Santo e la Trinità beata dimori in essi». Poi, abbassando gli occhi su Josefa: «- Se tu potessi contemplare la bellezza di un'anima in grazia!... Ma ciò che non puoi vedere con gli occhi del corpo, guardalo con quelli della fede, e conoscendo il valore delle anime, consacrati a dare questa gloria alla SS. Trinità, guadagnando molte anime in cui Essa possa dimorare». «- Ogni anima può farsi strumento di quest'opera sublime. Non è necessario compiere grandi cose per questo: bastano le più piccole: un passo che si fa, una pagliuzza raccolta da terra, uno sguardo trattenuto, un servizio reso, un sorriso amabile... tutto ciò, offerto all'amore, è in realtà di gran profitto per le anime ed attira loro torrenti di grazie. Inutile che ti ricordi il frutto della preghiera, del sacrificio, di qualsiasi azione offerta per espiare i peccati delle anime e per ottenere loro di purificarsi e divenire, a loro volta, santuari dove risiede la Trinità Santa». Allora Josefa gli raccomanda gli ordini apostolici che lavorano per quest'opera e gli chiede di infiammarli di zelo, di benedire i loro lavori e i loro patimenti.: «E se qualcuno consacra la sua vita a lavorare direttamente o indirettamente alla salvezza delle anime e giunge a tal distacco di sé da dimenticarsi, senza tuttavia trascurare la propria perfezione, fino ad ab­bandonare ad altri il merito delle sue azioni, delle sue preghiere, delle sue sofferenze... quest'anima disinteressata attira sul mondo grazie copiose... Essa stessa sale ad un alto grado di santità, molto più che se avesse cercato soltanto il proprio progresso».

Il lunedì 28 maggio 1923, festa rimandata di Santa Maddalena Sofia, e giorno di grande solennità per le case del Sacro Cuore, Josefa scrive: «Dopo la Comunione mi sembrò che il paradiso fosse nell'anima mia! Gesù è apparso così bello!... il Cuore gli risplendeva come il sole ed era sormontato da una croce di fuoco... Mi ha detto: «- Colui che mangia la mia carne possiede Dio, l'autore della vita, e della vita eterna, perciò quest'anima è il mio cielo. Nulla le può essere paragonato in bellezza. Gli Angeli l'ammirano e siccome Dio è in lei, si prostrano e adorano. Ah! se le anime sapessero il loro valore!... l'anima tua è il mio cielo e tutte le volte che mi ricevi nell'Eucaristia la mia grazia aumenta in essa e si accre­scono ancora il suo valore e la sua bellezza!». «Signore, - dice - ti do il mio cuore, la vita, la libertà, tutto!». «- E’ l'unica cosa che desidero: che m'importa il resto? I tuoi peccati? Io li cancello... Le tue miserie? Io le consumo!... La tua debolezza? Io la sostengo... restiamo uniti!».

Il 10 giugno ella scrive brevemente: «Mi hanno detto oggi che domani riprenderò la via verso Poitiers. Ne ho ringraziato Dio perché ne avevo fatto il sacrificio e non pensavo più di tornarvi». Gesù le appare: «Ho accettato il sacrificio di tutto ciò che mi hai dato, Josefa, e oggi ti rendo tutto. Ora ricomincerò a manifestarti i miei segreti; il demonio ti assalirà di nuovo e più di una volta cercherà d'ingannarti e di nuocerti. Non temere! Io ti difenderò. Il tuo cuore custodisca la fiamma dell'amore e dello zelo nella gioia e nell'abban­dono!... Ti amo e sono tutto per te».

 

LIBRO TERZO

IL MESSAGGIO DELL'AMORE

(Seconda parte)

X

L'INVITO AL MONDO

Il sabato 2 giugno 1923 Josefa rivide i Feuillants.

Josefa scrive in data lunedì 4 giugno 1923: «Dal 26 maggio, in cui Nostro Signore mi ha tolto il cuore, sento dentro di me un ardore continuo, un desi­derio di amarLo, di consolarLo, di darGli anime. Tutto il resto mi sembra così piccolo che, malgrado la tendenza mia ad amare, mi trovo come distaccata da tutto, con un desiderio tale di Gesù che vorrei uscire da me stessa per raggiungerLo, e mi pare di essere in una prigione. Non so come esprimermi!». Gesù le appare: «- Non temere, Josefa, de­sidero che tu sia un niente, e così Io sarò tutto. «Più una cosa è piccola, più la si maneggia con fa­cilità. Perciò mi servo di te come voglio, appunto perché sei un niente. E tu sai, che non ho bisogno di nulla, ti chiedo una cosa sola: che ti abbandoni a Me. Rimani nel tuo nulla. La tua miseria M'importa poco... Ma guarda e vedrai quello che Io, che tutto posso, farò della tua miseria!». «Allora - ella aggiunge - vidi passare davanti a Lui una folla di anime che non potevo contare tanto erano numerose, e Gesù mi ha detto: «- Tutte queste anime verranno a Me!». La sera di quel giorno, 4 giugno, Nostro Signore rinnova per la prima volta la grazia misteriosa concessale il 26 maggio. All'ora delle ultime preghiere le mostra il Cuore che sembra immerso come in un incendio, e prendendo una fiamma da quel braciere: «- Questa fiamma prenderà il posto di quella che già ho messo al posto del tuo cuore». Ella assicura il Maestro che la prima la brucia ancora di un desiderio di amarLo che è il suo più gran tormento. «... poiché – scrive - vorrei amare e credo di non sapere!». «- Ah! Josefa, questo è ancora nuova! Voglio in­cendiarti e consumarti!». Nello stesso istante lasciando ancora cadere la fiamma sul petto di Josefa, sparisce. Solo il Cuore rimane visibile per qualche secondo... dalla ferita si sprigiona un raggio infuocato. «Mio Dio! - scrive ella - che sofferenza di non poterti amare quanto vorrei!».

Martedì, 5 giugno 1923, è il terzo anniversario del giorno in cui il Cuore di Gesù Je apparve per la prima volta (5 giugno 1920). Durante la meditazione Egli le si mostra e la tiene a lungo immersa nel fuoco che scaturisce dalla ferita del Cuore. Josefa si sente venir meno sotto il raggio di questo amore che la segue alla santa Messa. «Più Lo vedo buono e grande, più mi sento piccola - ella scrive. - Ah! non oserei mai avvicinarmi a Lui se non avessi la Madonna per aiutarmi e condurmi. «Dopo la Comunione L'ho nuovamente visto, così dolce, così buono, e talmente padre, che mi è impossibile esprimerlo! Mi ha aperto il Cuore dicendomi: «- Più tu sparirai, più Io sarò la tua vita, e tu il mio cielo di riposo!». «Possibile, o Signore, io, così miserabile?». «- Non sai dunque, Josefa, che quaggiù in terra il mio cielo sono le anime?». Allora il suo cuore di apostola ha un sussulto: «Gli ho chiesto - scrive - come potremmo ottenere che molte anime Lo conoscano, Lo amino, si infiammino del suo amore...». «- Pregare, Josefa, supplicare!... Sì, chiedi che le anime si lascino infiammare dall'amore!...». «- Sì, ho visto la tua miseria! le dice la sera di quello stesso giorno, mentre nella preghiera si accusa di qualche moto interiore che la coscienza le rim­provera. «Mi ha esposto tutti i miei difetti   scrive - e dopo mi ha detto: «- Che cosa sei, Josefa, se non un poco di polvere su cui si soffia per disperderla?». E siccome ella Gli chiede perdono con tutto il cuore: «- Tu sai che ti perdono sempre. Se ti avverto delle tue miserie lo faccio per amore, affinché tu ti an­nienti e Io possa vivere in te. «Ora cambierò la fiamma che ti ho messo in cuore, per infiammarti nuovamente e dare un nuovo slancio al lavoro della tua distruzione». «Gesù allora - ella scrive - fece come il giorno prima ed io restai in una grande sofferenza. Il mio corpo è senza forza e da qualche tempo soffre in ogni parte. L'anima è in uno stato di oppressione che non capisco io stessa, ma che mi lascia una pace ogni giorno più pro­fonda».

«- Ritornerò ogni sera - le dice Nostro Signore la mattina del mercoledì 6 giugno 1923 - per consumare le tue miserie e rinnovare la fiamma che Io stesso ho messa al posto del cuore». Quella sera stessa Gesù le appare: «- Tu sai che il fuoco ha la proprietà di distruggere e di infiammare. Così il mio Cuore ha quella di perdonare, di purificare, di amare. Non credere che possa cessare di amarti per le tue mi­serie! al contrario, il mio Cuore ti ama e non ti ab­bandonerà mai!». Quindi rinnovando il suo gesto divino ed afferrando la fiamma uscente dal Cuore la fa cadere sopra Josefa. Sotto l'azione misteriosa dell'amore bruciante che l'invade porta le mani al cuore, come per contenerne l'intenso ardore. Sembra non poter più respirare mentre il suo sguardo resta fisso con espressione di indicibile desiderio sul Cuore adorabile che ancora le sta davanti per qualche istante.

La sera della vigilia, giovedì 7 giugno 1923, l'ora santa le ha riunite tutte davanti al santissimo Sacramento, e Josefa è là nel gruppo delle consorelle. «Gesù è venuto a un tratto: «Perché temi? Non sai che il mio desiderio è di perdonare? Credi che ti abbia scelta per le tue virtù? So che non hai altro che miseria e debolezze, ma siccome Io sono il fuoco che purifica, ti avvolgerò con la fiamma del mio Cuore e ti distruggerò. «Ah! Josefa, non ti ho detto assai spesso che il mio unico desiderio è che le anime mi diano le loro miserie? Vieni... e lasciati consumare dall'amore!». «Allora una fiamma si è sprigionata dal suo Cuore, e cadendo sul mio me l'ha incendiato come il giorno prima». «Quindi L'ho pregato per parecchie anime che hanno bisogno del suo aiuto e mi ha risposto: «Quando un re o un principe sposa la figlia di uno dei suoi sudditi, si obbliga per il fatto stesso di darle tutto quanto esige lo stato a cui la innalza. Sono Io che vi ho scelte e mi sono impegnato a darvi tutto quello di cui siete sprovviste. Non vi chiedo altro che quello che avete; dateMi il vostro cuore vuoto e Io lo riempirò, datemelo spoglio di tutto e Io lo rivestirò, datemelo con le vostre miserie e Io le consumerò!... Io sono il vostro supplemento, la vostra luce. Ciò che voi non vedete, ve lo mostrerò. Ciò che non avete, Io ne risponderò!». «Riguardo a te, se avessi potuto in­contrare sulla terra una creatura più miserabile, avrei su di essa fissato il mio sguardo d'amore ed avrei mariifestato per mezzo di lei i desideri del mio Cuore. Non avendola trovata ho scelto te!». «Tu sai quello che accade di un fiore sprovvisto di bellezza e di profumo che spunta ai margini di una strada molto battuta: viene calpestato dai passanti che non ne fanno alcun caso e non lo vedono neppure. «Pensa Josefa, se ti avessi lasciata miserabile e fragile come sei, in balia dei rigori del freddo, alla forza del calore, in potere dei venti: la morte ti avrebbe ben presto colpita! Ma siccome voglio che tu viva, ti ho trapiantata nel giardino eletto del mio Cuore. Qui ti coltivo Io stesso sotto i raggi di un sole che ti anima e vivifica senza che il suo ardore ti possa far danno. Ah! Josefa, abbandonati alle mie cure così come sei! La vista della tua miseria ti renda salda nell'umiltà, ma non diminuisca mai la tua fiducia!». Josefa gli protesta questa fiducia, e Lo supplica di voler preparare l'anima sua alla rinnovazione dei voti, purificandola col suo sangue divino. «Ah! se il tuo desiderio è tanto grande, quale non è il mio per l'anima tua! Ti laverò Io stesso e sarà il mio amore che ti purificherà. Se tu sapessi quale gloria riceverò domani!». «- Non sai il valore che il mio Cuore annette alla donazione totale e pubblica che un 'anima mi fa di se stessa?... Resta nella mia pace e vivi del mio amore».

Fin dall'alba della FESTA DEL SACRO CUORE, venerdì 8 giugno 1923, il Maestro viene per preparare Egli stesso la sposa all'atto che sta per rinnovare. La solenne rinnovazione dei voti. Il Cuore di Nostro Signore, apparendole, solo, durante la meditazione, immerge Josefa nella sua fiamma. Poco dopo allorché comincia il santo Sacrificio della Messa nella cappella dove tutta la comunità è riunita per presentare al Signore la propria offerta, Gesù le appare. «- Apri l'anima tua  poiché Io stesso ti purificherò». «Spogliati di tutto al fine di non conservare nulla dei tuoi desideri, dei tuoi gusti, del tuo giudizio proprio… Poi sottomettiti interamente alla volontà di Colui che ami. LasciaMi fare di te ciò che voglio Io e non ciò che tu speri! Devi arrivare a questo punto: che la mia volontà su di te divenga anche la tua: vale a dire: alla totale sottomissione ed unione della tua volontà col mio volere e beneplacito. Me ne hai dato il diritto con il voto di obbedienza! «Ah! se le anime capissero bene che non sono mai tanto libere come quando si sono abbandonate interamente a Me, e che mai sono più disposto ad esaudire i loro desideri, che quando esse sono pronte a fare la mia vo­lontà! «Si, bacia queste catene che ti stringono a Me! va' e rinnova questi voti che ti inchiodano ai miei piedi, alle mie mani, e ti introducono nel mio Cuore». Josefa avanza verso la balaustra. Davanti all'Ostia che sta per ricevere ripete i suoi impegni d'amore, poi ritorna al suo posto. Allora Gesù le appare di nuovo e, in una vera effusione del suo Cuore, pronuncia queste parole: «- Josefa, tu mi hai detto ora che non ami che Me, che ti spogli volontariamente di tutto per Me, che non avrai altra libertà, né altra volontà che la mia. Il mio volere sarà il tuo, il tuo volere il mio. Sarò padrone dei tuoi pensieri, delle tue parole, delle tue azioni. Se non avrai niente, ti darò tutto. Vivrò in te, parlerò in te, ti amerò e ti perdonerò». «Io vivrò in te, tu in Me. «Parlerò in te e le mie parole andranno alle anime e non passeranno. «Ti amerò, e le anime scopriranno il mio amore nel­l'amore che ho per te. «Ti perdonerò, e le anime conosceranno la mia mi­sericordia nel perdono che ti concederò. «Ce ne sono molte che credono in Me, ma poche che credono al mio amore, e tra quelle che credono al mio amore, troppo poche contano sulla mia misericordia. Molte Mi co­noscono come Dio, ma poche confidano in Me come Padre. «Mi manifesterò e alle anime, a quelle soprattutto che sono l'oggetto della mia predilezione, farò vedere in te che non chiedo niente di ciò che non hanno. Quello che esigo è che mi diano tutto ciò che posseggono, perché tutto è mio. «Se non hanno che miseria e debolezze, quelle Io desidero, se anche non hanno che colpe e peccati, chiedo quelli. Le supplico di darmeli tutti e di non conservare che questa fiducia nel mio Cuore: vi perdono, vi amo, ed Io stesso vi santificherò!».

«- Domani - le dice Gesù la sera del sabato 9 giugno 1923 - domani ricomincerò a dirti i miei segreti per le anime, poiché voglio che tutte vengano a Me! Ah! le anime! Pregate, si, pregate per le anime voi che siete le privilegiate del mio Cuore. Voi che più delle altre siete in obbligo di consolarMi e di riparare! si, pregate per le anime!».

Santa Maddalena Sofia le ricorda, commentandole al mattino della domenica 10 giugno 1923 la parola d'ordine datale a Marmoutier: «L'amore non trova ostacoli». Le appare durante la santa Messa, e benedicendola le dice: «Figlia mia, vengo a dirti Oggi come devi amare, senza che nulla si opponga in te al vero amore. «La base fondamentale dell'amore è l'umiltà, poiché è spesso necessario per provare il nostro amore sottomettere e sacrificare la nostra attrattiva personale, il nostro be­nessere, il nostro amor proprio... e questo atto di sot­tomissione non è altro che un atto di umiltà che contiene pure abnegazione e rinunzia, generosità e adorazione. Infatti, per provare questo amore in qualche cosa che ci costa, abbiamo dovuto prima pensare così: se non fosse per Te, mio Dio, non farei questo. Ma è per Te: non posso resisterti, Ti amo e mi sottometto! Dio mi chiede questo e io devo obbedirGli. Non so perché Egli mi chieda ciò, ma Egli lo sa! E così, per motivo di amore, ci umiliamo, ci sottomettiamo a fare anche ciò che non comprendiamo, ciò che non amiamo se non di amore soprannaturale, unicamente perche è Dio che lo chiede. «Figlia mia, ama, e gli ostacoli e le difficoltà che si presentano convertili in amore umile e sacrificato, forte e generoso. Diventino una perpetua adorazione dell'unico Dio e Signore che è padrone delle anime. Non resistere mai, non discutere, non esitare! Fa' ciò che ti chiede, di' ciò che vuole che tu dica, senza temere, senza omettere, senza vacillare! Egli è il Sapiente e il Santo, Egli è il Maestro e il Signore, Egli è l'Amore! Addio, figlia mia!».

 

LO SANNO GLI UOMINI? 10-14 giugno 1923

Il momento è giunto in cui da parte della volontà divina Josefa deve trasmettere al Vescovo di Poitiers i desideri del Cuore di Gesù. Con grande solennità la domenica 10 giugno 1923 Nostro Signore riprende il suo Messaggio. «- Josefa, umiliati e sottomettiti interamente alla volontà di Dio». «Offri al mio Cuore l'amore profondo, tenero e generoso del tuo». «Siccome ho trionfato sul tuo cuore, e sul tuo amore, Mi rifiuterai tu qualcosa?». «No, o Signore, sono tua per sempre!». «- Allora domani verrò a comunicarti ciò che do­vrai dire anzitutto al vescovo.» Josefa è presa da timore. «- Non temere! il mio Cuore ti custodisce ed è per le anime...» «La sera quando è venuto a consumare i miei peccati, Gli ho ripetuto i miei timori.» «- Occorre soffrire, Josefa, sì! Ma pensa che è per le anime... Io, per primo, non ho forse sofferto tanto per redimerle e salvarle?».

All'alba del lunedì 11 giugno 1923 il Signore le dice: «- Perché temi? non sai che ti amo e veglio su di te? E’ per le anime! Bisogna che esse Mi cono­scano, che Mi amino di più. Spetta ai figli far conoscere il padre. Voi siete le mie figlie amatissime; perciò vi ho scelte per rivelarMi per mezzo vostro e perché il mio Cuore sia glorificato. Non temete! Io sono la forza e ve la comunicherò. Io sono l'amore e vi sosterrò! non vi lascerò mai sole!». «Ciò che sto per dirti, Josefa, è la prima cosa che dovrai far sapere al tuo Vescovo. Bacia la terra!». Ella rinnova i voti e si prostra al piedi del Maestro. «- Io sono l'Amore! Il mio Cuore non può contenere la fiamma che lo divora! «Amo tanto le anime da dare per esse la vita! «Per amor loro ho voluto rimanere prigioniero nel tabernacolo. Da venti secoli dimoro là, notte e giorno, velato sotto le apparenze del pane e nascosto nell'Ostia, sopportando per amore l'oblio, la solitudine, i disprezzi, le bestemmie, gli oltraggi, i sacrilegi! Per amore delle anime ho voluto lasciare loro il Sa­cramento di Penitenza, per dar loro il perdòno, non una volta o due, ma ogni volta che avranno bisogno di ri­cuperare la grazia. Là le attendo, là desidero che vengano a lavarsi delle loro colpe, non con l'acqua, ma col mio proprio sangue. «Nel corso dei secoli ho rivelato in diverse maniere il mio amore agli uomini: ho mostrato quanto Mi consuma il desiderio della loro salvezza. Ho fatto loro conoscere il mio Cuore! Questa devozione è stata come una luce irradiante sul mondo, e oggi è il mezzo di cui si serve per commuovere i cuori la maggior parte di coloro che lavorano alla propagazione del mio Regno. «Ora però voglio qualche cosa di più, poiché se chiedo amore in cambio di quello che Mi consuma, non è questo soltanto che desidero dalle anime: bramo che esse credano alla mia misericordia, che aspettino tutto dalla mia bontà, che non dubitino mai del mio perdono! «Sono Dio, ma Dio di amore! Sono Padre, ma un Padre che ama con tenerezza e non con severità. Il mio Cuore è infinitamente santo, ma anche infinitamente sapiente e, conoscendo la miseria e la fragilità umana, si china verso i poveri peccatori con una misericordia in­finita... «Amo le anime dopo il primo peccato, se vengono a chiederMi umilmente perdono, le amo ancora dopo che hanno pianto il secondo peccato, e se cadessero non dico un miliardo di volte, ma dei milioni di miliardi, Io le amo e le perdono sempre, e lavo nello stesso mio sangue l'ultimo come il primo peccato. «Non Mi stanco mai delle anime e il mio Cuore aspetta continuamente ch'esse vengano a rifugiarsi in lui, e ciò tanto più quanto più sono miserabili! Un padre non si prende forse più cura del figlio malato che di quelli sani? Le sue premure e le sue delicatezze non sono forse più grandi per lui? Così il mio Cuore effonde sui pec­catori, con più larghezza ancora che sui giusti, la sua compassione e la sua tenerezza. «Ecco ciò che desidero far sapere alle anime: insegnerò ai peccatori che la misericordia del mio Cuore è ine­sauribile; alle anime fredde e indifferenti che il mio Cuore è un fuoco che vuole infiammarle, perché le ama; alle anime pie e buone che il mio Cuore è la via per pro­gredire verso la perfezione e giungere con sicurezza al termine beato. Infine, alle anime a Me consacrate, ai Sacerdoti, ai Religiosi, alle anime elette e predilette, Io chiedo una volta di più che Mi diano la loro fiducia e non dubitino della mia misericordia! E’ tanto facile at­tendere tutto dal mio Cuore!». Gesù si è interrotto e dà a Josefa alcune indicazioni sulla maniera con cui il suo direttore spirituale dovrà informare di tutto il Vescovo di Poitiers; e siccome legge nell'anima di Josefa l'ansia che l'assale: «Ma perché? non sai che ti amo?... Non sai che tutto ciò è per le anime e per la mia gloria?... Non preoccuparti di nulla. Fa' semplicemente quello che ti dico e dammi tutto il tempo che ti chiedo».

   Il giorno dopo, martedì 12 giugno 1923, entrando in cella verso le otto del mattino, vi trova il Maestro che l'aspetta. Lo adora e rinnova i voti offrendosi alla volontà sua. Dice Gesù: «- Voglio perdonare! Voglio regnare! Voglio perdo­nare alle anime e alle nazioni! Voglio regnare sulle anime, sulle nazioni, sul mondo intero! Voglio diffondere la mia pace fino alle estremità della terra, ma soprattutto su questo suolo benedetto, culla della devozione al mio Cuore. Sì, voglio essere la sua pace, la sua vita, il suo re. Io sono la sapienza e la felicità. Sono l'amore e la misericordia. Sono la pace e regnerò! «Per cancellare la sua ingratitudine effonderò un tor­rente di misericordia. Per riparare le sue offese sceglierò delle vittime che otterranno perdono... Sì, ci sono nel mondo molte anime generose che Mi daranno tutto quello che posseggono perché Io mi possa servire di loro se­condo i miei desideri e la mia volontà. «Per regnare, comincerò col fare misericordia, poiché il mio regno è di pace e di amore: ecco lo scopo che voglio raggiungere, ecco la mia Opera d'Amore!». «Fondata sull'amore, ha per fine l'amore. La sua vita è amore... e l'amore è il mio Cuore!». «Quanto a te, ti ho scelta come un essere inutile e sprovvisto di tutto, affinché Io solo sia Colui che parla, Colui che chiede, Colui che agisce». «- Il mio invito lo rivolgo a tutti: alle anime con­sacrate e a quelle del mondo, ai giusti e ai peccatori, ai dotti e agli ignoranti, a chi comanda e a chi obbedisce. A tutti Io dico: Se volete la felicità, Io lo sono. Se cercate la ricchezza, Io sono la ricchezza senza fine. Se bramate la pace, Io sono la pace... Io sono la miseri­cordia e l'amore! Voglio essere il vostro re». Poi fissando lo sguardo su Josefa che sta in ginocchio terminando di trascrivere queste parole infiammate: «Ecco ciò che farai leggere al tuo Vescovo in primo luogo». E dopo aver aggiunto qualche parola che ella dovrà tra­smettergli personalmente, prosegue ancora: «Non si stupisca alla vista degli strumenti di cui voglio servirmi, poiché la mia potenza è infinita e basta a se stessa. Abbia fiducia in Me! Benedirò le sue im­prese!... Ed ora, Josefa, comincerò a parlare direttamente al mondo e dopo la tua morte desidero che le mie parole siano conosciute. In quanto a te, vivrai nell'oscurità più completa e profonda, ma, siccome tu sei la vittima scelta da Me, tu soffrirai e morrai immersa nei patimenti. Non cercare né riposo, né sollievo: non ne troverai, perché ho disposto così. Ma il mio amore ti sosterrà e Io mai ti mancherò!». Quella sera stessa le ripete: «Vengo a consumarti e ad infiammarti! Ecco tutto il mio desiderio... Infiammare le anime... incendiare il mondo. Purtroppo, le anime respingono la fiamma! Ma io trionferò: esse saranno mie e Io il loro Re! Soffri con Me affinché il mondo Mi conosca e le anime vengano a Me! La sofferenza farà trionfare l'amore».

Il mercoledì, 13 giugno 1923, Gesù apre il suo Cuore. «Voglio che il mondo lo conosca. -Voglio che si sappia il mio amore! Lo sanno, gli uomini, ciò che ho fatto per loro?». «- Scrivi Josefa: «Un padre aveva un unico figlio. «Potenti, ricchi, circondati di buon numero di servi, di tutto quello che fa il decoro e l'agiatezza e la comodità della vita, nulla mancava loro per essere felici. Il figlio bastava al padre, il padre al figlio e tutt'e due trovavano l'uno nel­l'altro una piena felicità, mentre i loro cuori nobili, generosi, si volgevano con delicata carità verso le miserie altrui. «Ora accade un giorno che uno dei servi di quell'ot­timo padrone cadde malato. La malattia si aggravò tanto che per sottrarlo alla morte non c'era più speranza che nelle cure più assidue e nei più energici rimedi. «Ma il servo stava a casa sua, povero e solo. «Che fare per lui? Abbandonarlo e lasciarlo morire? Il padrone buono non può risolversi a questo pensiero. Mandargli uno dei servi? Ma il suo cuore potrà riposare in pace su cure prestate più per interesse che per affetto? «Mosso dalla compassione, chiama il figlio e gli confida le sue ansie: gli espone le condizioni di quel poveretto sul punto di morire. Aggiunge che solo assidue e amorevoli cure potrebbero rendergli la salute e assi­curargli una lunga vita. «Il Figlio, il cui cuore batte all'unisono con quello del padre, si offre, se tale è la sua volontà, di curarlo egli stesso con molta vigilanza, non risparmiando né pene né fatiche, né veglie, finché non sia tornato in salute. «Il padre acconsente: fa il sacrificio della dolce compagnia di questo figlio che, sottraendosi alla tenerezza paterna, si costituisce servo e discende alla casa di colui che, in realtà, è suo servo. «Trascorre così vari mesi al capezzale dell'infermo, vegliandolo con delicatezza attenta e prodigandogli mille cure e provvedendo non soltanto a ciò che richiede la sua guarigione, ma anche al suo benessere, finché non giunge a rendergli le forze. «Il servo allora, pieno di ammirazione alla vista di ciò che ha fatto per lui il suo padrone, gli domanda come potrà esprimere la sua riconoscenza e corrispondere a così meravigliosa e insigne carità. «Il figlio gli consiglia di presentarsi al padre e, guarito com'è, offrirsi a lui per essere il più fedele dei suoi servi, in cambio della sua grande liberalità. «Quell'uomo allora si presenta al padrone e nella convinzione di ciò che gli deve, esalta la sua carità e quel che è meglio ancora, si offre a servirlo senza alcun in­teresse, poiché al servizio di un tal signore, non ha bi­sogno di essere pagato come un servitore, essendo stato trattato e amato come un figlio! «Questa parabola non è che una debole immagine del mio amore per gli uomini e della risposta che aspetto da loro. La spiegherò gradatamente affinché tutti conoscano il mio Cuore!». «Aiutami, Josefa, aiutaMi a manifestare il mio Cuore agli uomini! Ecco che sto per dir loro che invano cercano la felicità fuori di Me: non la troveranno!... Tu, soffri e ama, poiché dobbiamo conquistare le anime!». All'ora del riposo Nostro Signore prima di lasciarla le affida questo desiderio: «Ho sete, Josefa, ho sete di un'anima che questa notte terminerà la sua vita mortale». Ella Gli chiede se si tratta di un peccatore da salvare. No, è un 'anima amatissima del suo Cuore. «Ma voglio - Egli dice - che la tua sofferenza supplisca alle grazie di cui, per fragilità, non ha saputo profittare, affinché raggiunga in questi pochi istanti, un più alto grado di gloria».

«- Quell'anima è entrata in cielo!» le dirà la Ma­donna il giorno dopo, nel ringraziamento della Comunione.

Il giovedì 14 giugno 1923, verso le otto del mattino Lo aspetta nella sua cella ed Egli le appare «tutto avvolto di grande maestà» «- Josefa, umiliati a terra, adora il tuo Dio per ri­parare le offese e il disprezzo che riceve dalla maggior parte degli uomini. AmaLo per supplire all'ingratitudine delle anime! Ora continua a scrivere». Riprendendo allora la parabola del servitore, Gesù vuole spiegarla al mondo: «- Dio creò l'uomo per amore. Lo collocò sulla terra in condizioni tali che niente potesse mancare quaggiù alla sua felicità, mentre aspettava l'eterna. Ma per avervi di­ritto doveva osservare la legge dolce e sapiente imposta dal Creatore. «L'uomo, infedele a questa legge, cadde gravemente malato: commise il primo peccato. L'uomo, cioè il padre e la madre, il ceppo del genere umano. Tutta la posterità fu macchiata della sua bruttura. In lui l'umanità intera perdette il diritto alla felicità perfetta che Dio gli aveva promesso e dovette, d'allora in poi, tribolare, soffrire, morire. «Dio nella sua beatitudine: non ha bisogno né dell'uomo né dei suoi servizi: basta a sé stesso. La sua gloria è infinita e niente la può diminuire. «Tuttavia, infinitamente potente, è anche infinitamente buono. Lascerà soffrire e morire l'uomo creato per amore? no, gli darà una nuova prova di questo amore e, ad un male così estremo, applicherà un rimedio di valore infinito. Una delle Persone della SS.ma Trinità prenderà l'umana natura e riparerà divinamente il male cagionato dal peccato. «Il Padre dà il suo Figlio. Il Figlio sacrifica la sua gloria scendendo in terra non in qualità di signore, di ricco, di potente, ma nella condizione di servo, di povero, di bambino. La vita che Egli condusse in terra la conoscete tutti. «Sapete come dal primo momento della mia incar­nazione, Mi sottomisi a tutte le miserie della natura umana. «Bambino soffrii il freddo, la fame, la povertà e le persecuzioni. Nella mia vita di operaio fui spesso umiliato e disprezzato come il figlio di un povero falegname. Quante volte il mio padre adottivo ed io, dopo aver portato il peso di una lunga giornata di lavoro, ci tro­vavamo la sera ad aver appena guadagnato quanto ba­stava ai bisogni della famiglia... E così sono vissuto per trenta anni! «Allora abbandonai la dolce compagnia di mia Madre, Mi consacrai a far conoscere il mio Padre celeste, inse­gnando a tutti che Dio è carità. «Sono passato facendo bene ai corpi e alle anime: ai malati ho dato la salute, ai morti la vita, alle anime?... ah! alle anime... ho reso loro la libertà perduta col peccato, ho loro aperto le porte della vera ed eterna patria. «Venne poi l'ora in cui per comprare la loro salvezza il Figlio di Dio volle dare la sua stessa vita! «E in qual maniera morì? circondato da amici?... ac­clamato come benefattore?... Anime carissime, voi ben sapete che il Figlio di Dio non ha voluto morire così: Egli non aveva sparso altro che amore, fu vittima del­l'odio... Egli aveva portato la pace al mondo, fu oggetto di crudeltà accanita... Egli aveva reso la libertà agli uomini: fu imprigionato, legato, maltrattato, calunniato e morì infine su una croce tra due ladroni, disprezzato, abbandonato, povero e spogliato di tutto. «Così Egli si immolò per salvare gli uomini... così compì l'Opera per la quale aveva lasciato la gloria del Padre suo: l'uomo era malato e il Figlio di Dio scese verso di lui. Non soltanto gli rese la vita, ma gli meritò la forza e i mezzi necessari per acquistare quaggiù il tesoro dell'eterna felicità. «Come ha risposto l'uomo a tale favore? Si è offerto come il buon servitore al servizio del Padrone divino senza altro interesse che gli interessi di Dio?... «Qui bisogna distinguere le differenti risposte dell'uomo al suo Dio. «Ma basta per oggi. Rimani nella mia pace, Josefa, e non dimenticare che sei la mia vittima! Ama e abbandona a Me tutto il resto!».

 

LA RISPOSTA DEGLI UOMINI 15-19 giugno 1923

Venerdì, 15 giugno 1923 quando la sera Gesù è venuto, Gli ho chiesto perdono per la mia poca generosità. Egli mi ha risposto: «Sì, Josefa, lascia entrare la luce nel tuo cuore. Nulla è piccolo di ciò che si fa per amore. No, per il mio amore non esistono cose piccole, poiché la forza stessa dell'amore le rende grandi».

«Oggi - scrive il sabato 16 giugno 1923 - Nostro Signore è venuto alle otto e mostrandomi il Cuore mi ha detto: «Guarda questo Cuore di padre che si consuma d'amore per tutti i suoi figli. Ah! quanto vorrei che essi Mi conoscessero!». «Alcuni Mi hanno veramente conosciuto e spinti dall'amore, hanno sentito accendersi in cuore il vivo desiderio di dedicarsi completamente e senza interesse al mio servizio, che è quello del Padre mio. Gli hanno chiesto ciò che potrebbero fare di più grande per Lui e il Padre mio ha loro risposto: «'Lasciate la vostra casa, i beni, voi medesimi, e venite dietro a Me per fare ciò che vi dirò'». «Altri si sono sentiti commuovere il cuore alla vista di ciò che il Figlio di Dio ha fatto per salvarli. Pieni di buona volontà si sono presentati a Lui domandando come corrispondere alla sua bontà e lavorare per i suoi interessi, senza però abbandonare i propri. «A costoro il Padre mio ha risposto: Osservate la legge che il Signore vostro Dio vi ha data. Osservate i miei comandamenti senza sviarvi né a destra né a sinistra; vivete nella pace dei servi fedeli. «Altri, poi, hanno capito ben poco quanto Dio li ami! Tuttavia un poco di buona volontà ce l'hanno, e vivono sotto la sua legge, ma senza amore. «Questi non sono dei servi volontari, perché non si sono offerti agli ordini del loro Dio... Ma, siccome in essi non c'è cattiva volontà, in molti casi basta loro un suggerimento perché si prestino al suo servizio. «Altri poi si sottomettono a Dio più per interesse che per amore e nella stretta misura necessaria per la ri­compensa finale promessa a chi osserva la legge. «Tuttavia gli uomini si dedicano tutti al servizio del loro Dio? Non ce ne sono forse di quelli che, ignari del grande amore di cui sono oggetto, non corrispondono affatto a ciò che Gesù Cristo ha per essi compiuto? «Ahimè!... Molti Lo hanno conosciuto e disprezzato... molti non sanno neppure chi sia!... «A tutti Gesù stesso dirà ora una parola d'amore. «Parlerò dapprima a coloro che non Mi conoscono. Sì, a voi, carissimi figli, che fino dall'infanzia viveste lontani dal Padre. Venite! Vi dirò perché non Lo conoscete: e quando comprenderete chi Egli sia, e quale Cuore amante e tenero abbia per voi, non potrete resistere al suo amore. «Non accade spesso a coloro che crescono lontano dalla casa paterna di non provare alcun affetto per i genitori?... Ma se un giorno sperimentano la tenerezza del padre e della madre non li amano forse più ancora di quelli che non hanno mai lasciato il loro focolare? «A voi, che non soltanto non Mi amate, ma Mi odiate e perseguitate, Io chiederò soltanto: 'Perché quest'odio ac­canito?... Che cosa vi ho fatto perché Mi maltrattiate così?...'. Molti non si sono mai fatti questa domanda, ed ora che Io stesso la rivolgo loro, forse risponderanno: 'Non so'. «Ebbene risponderò per voi! «Se dalla vostra infanzia non Mi avete conosciuto, è stato perché nessuno vi ha insegnato a conoscerMi. E mentre voi crescevate le inclinazioni naturali, l'attrattiva per il piacere e per il godimento, il desiderio della ricchezza e della libertà sono cresciuti con voi. «Poi un giorno avete inteso parlare di Me. Avete sentito dire che per vivere secondo la mia volontà occorreva amare e sopportare il prossimo, rispettare i suoi diritti e i suoi beni, sottomettere e incatenare la propria natura: insomma, vivere sotto una legge. E voi che fino dai primi anni non viveste che eseguendo il capriccio della vostra volontà e forse gli impulsi delle passioni, voi che non sapevate di quale legge si trattasse, avete protestato con forza: 'Non voglio altra legge che me stesso, voglio godere di essere libero!' «Ecco come avete incominciato ad odiarMi ed a per­seguitarMi! «Ma Io che sono vostro Padre vi amavo e mentre con tanto accanimento lavoravate contro di Me, il mio Cuore più che mai si riempiva per voi di tenerezza. «Così trascorsero gli anni della vostra vita... forse numerosi... «Oggi non posso più a lungo conteneré il mio amore per voi! E vedendovi in guerra aperta contro Colui che tanto vi ama, vengo a dirvi Io stesso quello che sono. «Sono Gesù, e questo nome significa Salvatore. Perciò ho le mani forate dai chiodi che Mi tennero confitto alla croce su cui sono morto per vostro amore... I miei piedi portano i segni delle stesse piaghe e il mio Cuore è aperto dalla lancia che mi trafisse dopo la mia morte!... «Così Io mi presento a voi per insegnarvi chi sono Io e quale è la mia legge. Non v'intimorite, è legge di amore!... Allorché Mi conoscerete troverete la pace e la felicità. Vivere come orfani è triste! Venite, figli, venite al Padre vostro! «Fermiamoci, Josefa: domani continueremo. In quanto a te, ama il tuo Padre e vivi di questo amore!». «Non temere - le dice Gesù nella visita della sera - se grande è la tua miseria, più grande assai è il mio amore per te, e sulla tua debolezza lavorerà la mia forza».

«Josefa - le ripete la mattina della domenica 17 giugno 1923 - dimmi se tu non faresti l'impossibile per rendere la salute a un malato che sta per morire? tuttavia la vita corporale è nulla di fronte a quella dell'anima!... e tante e tante anime la ritroveranno nelle parole che ti affido! Sì, non pensare più a te stessa!». Poi tornando al soggetto del giorno precedente: «Andiamo incontro a quelle povere anime che Mi perseguitano perché non Mi conoscono. Voglio dir loro chi sono Io, e ciò che esse sono: «Sono il vostro Dio e il vostro Padre! Il vostro Creatore e il vostro Salvatore! Voi siete mie creature, miei figli, miei redenti anche, poiché a prezzo della mia vita e del mio sangue vi ho liberati dalla schiavitù e dalla tirannia del peccato. «Voi avete un'anima grande, immortale e creata per una beatitudine eterna: una volontà capace di bene, un cuore che ha bisogno di amare e di essere amato... «Se voi cercate nei beni terrestri e passeggeri l'appagamento delle vostre aspirazioni, avrete sempre fame e non troverete mai l'alimento che pienamente sazia. Vivrete sempre in lotta con voi stessi, tristi, inquieti, turbati. «Se siete poveri e vi guadagnate il pane col lavoro, le miserie della vita vi colmeranno di amarezza. Sentirete dentro di voi insorgere l'odio contro i vostri padroni e forse giungerete al punto di desiderare la loro sventura affinché anch'essi siano soggetti alla legge del lavoro. Sentirete pesare su di voi la stanchezza, la rivolta, la disperazione stessa, perché la vita è triste e poi, alla fine, bisognerà morire!... «Sì, umanamente considerato, tutto ciò è duro! «Ma io vengo a mostrarvi la vita in una realtà op­posta a quella che voi vedete: «Voi che, privi dei beni terreni, siete obbligati al lavoro sotto la dipendenza di un padrone, per sovvenire ai vostri bisogni non siete affatto degli schiavi, ma creati per essere liberi... «Voi che cercate l'amore, e vi sentite sempre insod­disfatti, siete fatti per amare, non ciò che passa, ma cio che è eterno. «Voi che amate tanto la vostra famiglia, e che dovete assicurarle, per quanto dipende da voi, il benessere e la felicità quaggiù, non dimenticate che, se la morte ve ne separerà un giorno, non sarà che per breve tempo... «Voi che servite un padrone e che dovete lavorare per lui, amarlo e rispettarlo, prender cura dei suoi interessi, farli fruttare col vostro lavoro e la vostra fedeltà, non dimenticate che questo padrone non è vostro padrone che per pochi anni, poiché la vita scorre rapida e vi conduce là dove non sarete più degli operai, ma dei re per l'eternità! «L'anima vostra, creata da un Padre che vi ama, non di un amore qualsiasi, ma di un amore immenso ed eterno, troverà un giorno, nel luogo della felicità senza fine preparatovi dal Padre, la risposta a tutti i suoi desideri! «Là troverete la ricompensa al lavoro di cui avrete sopportato il peso quaggiù. «Là troverete la famiglia tanto amata sulla terra e per la quale avrete sparso i vostri sudori. «Là vivrete eternamente, poiché la terra non è che un'ombra che scompare e il cielo non passerà mai! «Là vi unirete al Padre vostro che è vostro Dio. «Se sapeste quale felicità vi attende! «Forse ascoltandomi direte: 'In quanto a me non ho la fede, non credo all'altra vita!'. «Non avete fede? Ma allora, se non credete in Me, perché Mi perseguitate? Perché vi ribellate alle mie leggi, e combattete quelli che mi amano? Poiché volete la libertà per voi, perché non la lasciate agli altri? «Non credete alla vita eterna?... DiteMi se vivete felici quaggiù; non sentite anche voi il bisogno di qualche cosa che non potete trovare sulla terra? «Quando cercate il piacere e lo raggiungete, non vi sentite soddisfatti... «Se volete accumulare ricchezze e riuscite ad ottenerle non vi sembrano mai bastanti... «Se avete bisogno di affetto e se lo trovate un giorno, presto ne siete stanchi... «No, nulla di tutto ciò è quello che voi cercate!... Ciò che bramate non lo troverete sicuramente quaggiù, perché ciò di cui avete bisogno è la pace, non quella del mondo, ma quella dei figli di Dio, e come potrete trovarla in seno alla rivolta? «Ecco perché voglio mostrarvi dove è questa pace, dove troverete questa felicità, dove estinguerete quella sete che vi tortura da così lungo tempo. «Non ribellatevi se Mi sentite dire: tutto ciò lo tro­verete nel compimento della mia legge: no, non spaven­tatevi di questa parola: la mia legge non è tirannica, è una legge d'amore! «Sì, la mia legge è d'amore perché sono vostro Padre. «Voglio insegnarvi ciò che è questa legge, e ciò che è il mio Cuore che ve la dà, questo Cuore che non conoscete e che così spesso ferite! Voi Mi cercate per darMi la morte, ed Io vi cerco per darvi la vita! Chi di noi trionferà? E la vostra anima rimarrà sempre così dura nel contemplare Colui che vi ha dato la sua vita e tutto il suo amore? «Addio, Josefa, ama questo Padre che è il tuo Sal­vatore e il tuo Dio!». Appena coricata che improvvisamente le appare Nostro Signore. Si alza e prostrandosi ai suoi piedi rinnova i suoi voti. «Le sue piaghe - ella scrive - erano largamente aperte e ne uscivano fiamme. Con una mano teneva la corona di spine e i chiodi, con l'altra sosteneva la croce». «Josefa, vuoi che ti manifesti i miei desideri? «Guarda le mie piaghe: vorrei farvi penetrare i pec­catori. «Sì, in questa notte, voglio attirare in esse molte anime! «Prendi la mia croce, i chiodi, la corona. Io andrò in cerca delle anime e quando saranno sull'orlo dell'abisso concederò loro la luce perché ritrovino la vera vita. «Prendi la mia croce, custodiscila bene!... Tu sai che è un grande tesoro!». «Subito ho sentito gravare pesantemente sulle mie spalle la croce». «La corona - ed Egli me la calcò con forza sul capo - Io stesso con essa ti cingo la fronte e le ferite delle spine otterranno luce agli intelletti ottenebrati. «Prendi anche i chiodi: custodiscili!... Vedi quale prova di fiducia ti do: sono i miei tesori! Ma siccome sei la mia sposa, non temo di affidarteli, so che me li custodirai! «E ora vado a cercare le anime perché voglio che tutte Mi conoscano e Mi amino!». «A queste parole il suo Cuore si è ancor più in­fiammato ed ha proseguito con grande ardore: «Non posso più contenere l'amore che ho per esse, e l'amore è così grande che trionferà di ogni resi­stenza! Si, voglio che Mi amino! Voglio essere il loro re! Andiamo ad attirarle nelle mie piaghe. Andrò a cercarle, e quando le avrò trovate, tornerò a riprendere la mia croce. «Ora, Josefa, soffri per Me!... ma prima farò penetrare nell'anima tua la freccia d'amore che la purificherà, poiché tu devi essere molto pura, come devono essere le mie vittime». Nel momento stesso una fiamma si riversò dal Cuore di Gesù su quello di Josefa. «Allora – disse - non ho più visto che il solo Cuore, poi tutto è scomparso!». Josefa rimase lunghe ore nei dolori indicibili prodotti dalla corona, dai chiodi, dal peso della croce, alla testa, alle mani, ai piedi, in tutto il corpo. «Il tempo mi è sembrato così lungo - scrive - e quasi credevo che più di un notte fosse trascorsa così. «All'improvviso ho visto Nostro Signore in una luce smagliante, e dietro a Lui, da due lati, nello splendore che irraggiava dalla sue mani, apparivano molte anime». «Guarda le anime che sono venute dietro a Me! «Tutte queste Mi hanno riconosciuto! Povere anime! Come si sarebbero perdute, se non fossi stato là... Ma ero là per salvarle e dar loro la luce in mezzo alle tenebre. Ora Mi seguiranno... e saranno pecorelle fedeli». «RendiMi i miei tesori e riposa sul mio Cuore». «Ha ripreso la croce e i chiodi e mi ha lasciato la corona».

Il lunedì mattina, 18 giugno 1923. «Era come un povero - ella scrive. - Oh! Signore! che ti è accaduto? perché sei così? Ho rinnovato i voti, col maggior fervore possibile, ed Egli mi ha detto: «ConsolaMi! Il mio Cuore è afflitto perché devo abbandonare un'anima a Me consacrata: un sacerdote!». «Ma Signore, è impossibile! ricordati quello che mi dicesti dei peccatori: che Tu li ami e che sei sempre di­sposto a perdonare!». «Guarda in quale stato quest'anima ha ridotto il mio Cuore... sto per abbandonarla alle proprie forze!». «Se tu puoi sopportare le sofferenze che que­st'anima Mi cagiona, te l'affiderò». «Sì, o Signore, se Tu ti degni di aiutarmi! Allora L'ho consolato come ho potuto, offrendoGli l'amore di questa casa, del mondo, delle anime sante, dei sacerdoti... Ho baciato più volte la terra ed ho anche recitato il Miserere e poi, non sapendo che fare, L'ho supplicato di dirmi ciò che desiderava da me». «Sì, te lo dico: non risparmiar niente per consolarmi, poiché quest'anima non si nega niente per offenderMì». «Ho continuato ad offrirGli ciò che pensavo poter esserGli più gradito e a poco a poco il suo Cuore si è dilatato ed Egli mi è parso meno triste». «L'ostinazione di un'anima colpevole ferisce profondamente il mio Cuore, ma la tenerezza di un'anima amante, non solo chiude la mia ferita, ma placa la giustizia del Padre mio». Nella sua cella la sera, le porta la corona, la croce i chiodi: «Voglio - le dice - non solo purificarti, ma infiammarti di quello zelo che divora e consuma il mio Cuore». Quindi avvolgendola nella fiamma che divampa dalla ferita prosegue: «- Anche questa notte dovremo soffrire per quell’anima che fugge da Me... Prendi la mia croce, i miei chiodi, la mia corona. Stammi unita, ed andrò a cer­carla...». Scomparve... Quando ritornò molto dopo disse: «Tu soffri, Josefa e quell'anima resiste... la chiamo ed essa disprezza il mio amore!». «Non è tanto l'offesa del momento che Mi feri­sce, quanto l'ostinata resistenza di quell'anima. Se resta sorda al mio richiamo, come non abbandonarla? «Ora riposati, e Io andrò a rinnovarle il mio richiamo». «Ha ripreso la croce, ma come potevo dormire pensando al suo dolore, ed a quell'anima?».

Durante il ringraziamento della Comunione del giorno dopo, martedì 19 giugno 1923, Nostro Signore apparve a Josefa nella sua risplendente bellezza: «- Quell'anima sta per ascoltare la mia voce, e quantunque la sua risoluzione non sia ancora presa, comincia a rivolgersi a Me... Tu sai che ti ho incaricata non soltanto della sua salvezza ma della sua santità! Voglio che comprenda che tutti i beni di quaggiù non sono niente per l'eternità... Bisogna ottenerle la forza per abbracciare l'austerità della via in cui la voglio, al­trimenti rimarrà in grande pericolo. «Povera anima! Ha bisogno di luce!».

Il pensiero che un l’invito d’amore del Cuore di Gesù possa rimanere inascoltato la sconvolge alle volte, e il suo amore non può accettare per Lui una tale delusione. «Josefa, non temere. Non sai ciò che accade quando un vulcano erompe? La potenza di quel fuoco è così grande che è capace di smuovere le montagne e di distruggerle in modo da far conoscere che una forza ir­resistibile è passata di là. Allo stesso modo le mie parole avranno tale forza e la mia grazia le accompagnerà in tale maniera che le anime più ostinate rimarranno vinte dall'amore. «La società è pervertita allorché coloro che la go­vernano agiscono senza giustizia e senza verità. Ma quando il capo sa dirigerla, certo ancora molti seguiranno le vie storte, ma la maggioranza andrà in massa incontro alla luce e alla verità... Lo ripeto, la mia grazia ac­compagnerà le mie parole e coloro che le faranno co­noscere: la verità trionferà, la pace governerà le anime e il mondo!... Il mio regno verrà».

   «Josefa, Mi ami?» le chiede trovandola nella cella. «Signore è il mio unico desiderio!». «- Io pure ti amo, perchè la tua piccolezza è tutta mia!». «- Scrivi! «Ora, figli miei, udite ciò che il Padre vostro chiede come prova del vostro amore: sapete bene che una di­sciplina è necessaria in un esercito, ed un regolamento in una famiglia ben ordinata. Così nella grande famiglia di Gesù Cristo è necessaria una legge, ma una legge piena di dolcezza. «Nell'ordine umano i figli portano sempre il nome del padre, senza il quale non potrebbero essere riconosciuti come appartenenti alla famiglia». «Così i miei figli si chiamano cristiani, nome che loro conferisce alla loro nascita il Battesimo. Voi che avete ricevuto questo nome siete miei figli e avete diritto a tutti i beni del padre vostro. «So che non Mi conoscete e che non Mi amate, anzi Mi odiate e Mi perseguitate. Tuttavia Io vi amo di un amore infinito. Voglio farvi conoscere quell'eredità a cui avete diritto, e il poco che dovete fare per acquistarla: «Credete al mio amore e alla mia misericordia. «Mi avete offeso: Io vi perdono. «Mi avete perseguitato: Io vi amo. «Mi avete ferito con le parole e le opere: voglio farvi del bene e aprirvi i miei tesori. «Non pensate che Io ignori quale fu la vostra vita fin qui: so che avete disprezzato le mie grazie, forse anche profanato i miei Sacramenti. Ma vi perdono!... «E se volete vivere felici in terra e assicurare nello stesso tempo la vostra eternità, fate d'ora innanzi quanto vi dirò: «Siete poveri? Quel lavoro che la necessità vi impone eseguitelo con sottomissione e sappiate che Io pure ho vissuto trent'anni assoggetandoMi alla stessa legge, perché fui povero, anzi poverissimo! «Non considerate mai i vostri padroni come tiranni, non nutrite verso di loro sentimenti di odio, non desi­derate il loro male, ma curate i loro interessi e siate loro fedeli. «Siete ricchi? Avete sotto di voi operai e servi?... Non sfruttate il loro lavoro, rimunerate giustamente le loro fatiche, e date loro prova di affetto con dolcezza e bontà. Pensate che se voi avete un 'anima immortale essi pure ce l'hanno: se voi avete ricevuto le sostanze che possedete, non è soltanto per il vostro godimento e benessere per­sonale, ma affinché amministrandole saggiamente possiate esercitare la carità verso quelli che vi circondano. «Dopo aver accettato, gli uni e gli altri, con sotto­missione questa legge del lavoro, riconoscete umilmente l'esistenza di un Essere che presiede a tutto il Creato. Questo Essere è il vostro Dio, e insieme il vostro Padre. «Come Dio v'impone di adempire la sua legge divina. «Come Padre vi chiede di sottomettervi da figli ai suoi comandamenti. «Così, quando voi avete passato tutta una settimana nei vostri lavori, nei vostri affari, ed anche nei vostri sollievi... vi domanda di dare almeno una mezz'ora all'adempimento del suo precetto. E questo esigere molto? «Andate dunque alla sua casa. Vi attende giorno e notte. E ogni domenica o giorno di festa riservateGli questa mezz'ora, assistendo a quel mistero d'amore e di misericordia che si chiama MESSA. «Là parlateGli di tutto: della vostra famiglia, dei figli, dei vostri affari, dei vostri desideri... EsponeteGli le vostre difficoltà e le vostre pene... Se sapeste come vi ascolterà e con quale amore! «Voi forse Mi direte: 'Non so come assistere alla Messa! Da tanto tempo non ho varcato la soglia di una chiesa!...' Non temete per questo. Venite e passate soltanto questa mezz'ora ai miei piedi. Lasciate che la vostra coscienza dica quello che dovete fare e date ascolto alla mia voce. Aprite l'anima vostra, e la mia grazia vi par­lerà. Essa a poco a poco vi mostrerà come dovete agire in ogni circostanza della vostra vita, come comportarvi in famiglia e negli affari, come allevare i figli, amare gli inferiori, rispettare i superiori. Forse essa vi ispirerà di lasciare quell'impresa, di rompere una cattiva amicizia, di allontanarvi energicamente da quella riunione pericolosa. Vi dirà che odiate la tal persona senza ragione e che dovete fuggire i consigli e separarvi da quell'altra che amate e fre­quentate. «Provate a fare così, e a poco a poco si prolungherà la catena delle mie grazie! Tanto nel male come nel bene, tutto sta nel cominciare. Gli anelli della catena si seguono l'un l'altro. Se oggi ascoltate la mia grazia e la lasciate agire in voi, domani l'ascolterete meglio, più tardi meglio ancora e così di giorno in giorno la luce verrà, la pace aumenterà e la vostra felicità sarà eterna! «L'uomo non è creato per restare sempre quaggiù: è fatto per l'eternità. Se dunque è immortale, deve vivere non per quello che muore, ma per ciò che dura. «Giovinezza, ricchezza, sapienza, gloria umana, tutto questo è un niente... passa e finisce! Dio solo sussiste in eterno! «Il mondo e l'umana società sono pieni di odio e di continue lotte, popoli contro popoli, nazioni contro nazioni, individui contro individui, perché il fondamento della fede è quasi del tutto scomparso. «Rinasca la fede e tornerà la pace e regnerà la carità! «La fede non nuoce alla civiltà, né si oppone al progresso. Anzi, più è radicata negli individui e nei popoli, più crescono in loro la saggezza e la scienza, poiché Dio è sapienza e scienza infinita. Ma dove non c'è più la fede, la pace scompare, e con essa la civiltà, la cultura, il vero progresso... poiché Dio non è nella guerra!... Allora non ci sono che divisioni di idee, lotte di classe, e nell'uomo stesso ribellione delle passioni contro il dovere. Allora sparisce tutto ciò che fa la nobiltà dell'uomo: non rimane che la rivolta, l'insubordinazione, la guerra!... «Ah! Lasciatevi convincere dalla fede e sarete grandi! Lasciatevi dominare dalla fede e sarete liberi! Vivete secondo la fede e non morrete eternamente!». E a Josefa: «Addio, tu sai che aspetto da voi ripara­zione e amore: l'amore si prova con gli atti. Che tutto in voi provi l'amore. Siate le messaggere dell'amore nelle cose più piccole come nelle più grandi. Fate tutto per amore. Vivete di amore!». E così dicendo scomparve.

XI

L'OMBRA DELLA CROCE

 

L'ANNIVERSARIO DEI PRIMI VOTI    20 giugno - 16 luglio 1923

La mattina del venerdì 13 luglio 1923, dopo una notte più tor­mentosa del solito, Josefa si vede improvvisamente in presenza del Maestro. «- Josefa, non temere, avvicinati!». «- Se non ardisci avvicinarti a Me, Io mi avvici­nerò a te. Tu non puoi comprendere fino a qual punto ti ami! e per quanto grande possa essere il numero delle tue miserie, la misericordia del mio Cuore è molto più grande ancora». «Sei già da un pezzo perdonata, Josefa e le grazie che sto preparando per le anime non andranno perdute!... no, non resteranno nascoste e le spargerò sul mondo! «In quanto a te, non rifiutarMi nulla. Lascia che il mio Cuore ti lavori e impieghi per distruggerti tutti i mezzi necessari, anche i piu energici. Fa' e dì tutto ciò che ti chiedo e non temere. Ti amavo prima della prova e ti amo sempre. Il mio amore non cambia!».

Il sabato 15 luglio 1923, la Madonna le appare: «- Non impaurirti, figlia mia. Nulla Gesù ti chiede senza darti la grazia. E poi per vincere le tue ripugnanze ricordati che quanto ti comunica l'effetto della sua bontà e del suo amore per le anime». Le ho detto - prosegue Josefa - quale terrore mi lascia tutto quello che vedo e ascolto nell'inferno». «Non temere! Ogni volta che Gesù permette che tu soffra quelle pene, tu devi ricavarne un triplice frutto: «In primo luogo un grande amore e una viva rico­noscenza verso la Maestà divina che, malgrado le tue colpe, ti preserva dal cadere eternamente in quel baratro. «In secondo luogo una generosità illimitata e uno zelo ardente per la salvezza delle anime, desiderando guada­gnarne molte con i tuoi sacrifici e con le tue più piccole azioni, perché tu sai bene che è ciò che più Gli piace. «Infine la vista di quel numero incalcolabile di anime imprigionate per tutta l'eternità, di quelle anime di cui neppure una può fare un solo atto d'amore... deve eccitarti, tu che puoi amare, a far salire a Dio un incessante inno d'amore che copre il, clamore di quelle continue bestemmie». «Figlia mia: grande generosità per la salvezza delle anime, e molto amore! Lascialo fare di te ciò che vuole, lascialo compiere l'Opera sua!». «Mi ha benedetta: io le ho baciato la mano, ed è scomparsa».

Domenica, 16 luglio 1923, - «Ho ripetuto - scrive - prima della S. Comunione la formula dei miei voti come un anno fa, con la mia volontà di essere fedele fino alla morte». Poco dopo Gesù le appare e mostrandole il Cuore in­fiammato: «Josefa - le dice - ed Io?... ho cessato mai di esserti fedele?». «- Non temere nulla! le tue miserie, le tue negligenze, le tue stesse colpe... Io supplisco a tutto! Il mio Cuore è il riparatore per eccellenza... come non lo sarà per te?». Essa Gli ripete le sue promesse e Lo supplica di compiere malgrado le sue debolezze la grande Opera del suo Cuore per la salvezza del mondo. «- Quando pure non la facessi per amor tuo, Josefa, la compirei per le anime. Perché Io le amo! «Certamente nulla manca alla mia felicità infinita, ma ho bisogno di anime, ho sete di anime e voglio salvarle!».

«- Non inquietarti, Josefa, di ciò che puoi e non puoi fare. Sai bene che non puoi nulla! Ma Io sono Colui che vuole e che può! Farò tutto, anche quello che ti sembra impossibile. Soltanto lascia che mi serva di te per trasmettere alla anime le mie parole e i miei desideri. Al resto penserò Io! Supplirò a quello che non avete, a quello che non po­tete. A voi basti darMi la vostra libertà. A Me basta avere la vostra volontà». «- RipetiMi la tua gioia di essere mia sposa!». Come poteva ella esprimerGli una tale felicità?... Non trova espressioni adeguate. «- Tuttavia   prosegue Nostro Signore   questo è niente! La vera felicità non l'hai ancora gustata: verrà tra poco... Allora la possederai senza timore di perderla. Aspettandola riprenderemo le nostre confidenze». La prospettiva prossima della visita del Vescovo resta pur sempre una nube all'orizzonte di Josefa. Ella supplica il Maestro divino di aiutarla, di spiegarle bene ciò che dovrà dire, perché non può fare a meno di temere quell'ora. «- Vi indicherò tutto quello che avrete da fare risponde Nostro Signore con bontà.   Non temete! Vi dirò tutto e vi aiuterò in tutto. LasciateMi agire!». «Allora   ella scrive: -Gli ho ripetuto i propositi presi ieri nel mio ritiro del mese. «- Benedico queste risoluzioni, Josefa, e se talvolta ti sentirai incapace di adempierle, vieni da Me. Dimmi ciò che ti turba, che ti dà timore. Ti darò la forza, ti darò la pace. Ora va' e rimani nel mio amore, tutta abban­donata al mio volere». …«Mi trovavo verso le sette, nell'oratorio della nostra beata Madre Fondatrice, quando ad un tratto ella mi apparve sempre tanto semplice e umile e prima ancora che terminassi di rinnovare i voti mi disse: «- Figlia mia, è già passato un anno dacché li hai fatti!». «Ma, figlia mia, tu sai bene che quel Cuore è un fuoco! e che quel fuoco è per consumare le nostre mi­serie. Appena tu gliele abbandoni, Gesù le dimentica. E se fin qui ti ha concesso tante grazie, Egli è pronto a fartene molte di più. Il suo Cuore è una sorgente in­esauribile: più dà, più desidera dare. Più' perdona, più desidera perdonare!». «Credimi, figlia mia, Gesù non ricorda più né le tue miserie, né le tue resistenze, ma tien sempre presenti i tuoi buoni desideri per compiacersene. Il suo Cuore è un abisso di misericordia che non si esaurisce mai nel perdonare. E anche un abisso di ricchezza che non si esaurisce mai nel dare. AmaLo quanto più puoi: non vuole altro. Riconosci la tua piccolezza e rimani sotto­messa e abbandonata alla sua volontà. «Lascialo riposare in te e riposati in Lui. Quando ricevi le sue grazie sei tu che ti riposi in Lui: quando Egli ti prova, in qualsiasi modo, è Lui che si riposa in te! «RingraziaLo più che puoi del favore straordinario che ti ha fatto scegliendoti come sposa del suo Cuore e, pur riconoscendoti molto indegna di appartenerle, ama la Società, che è la porzione eletta del suo Cuore! «Addio, sii molto generosa e umile, non dimenticare mai che sei un niente. Solo la sua misericordia può amarti così, coperta come sei di miserie. Ma fiducia! e poiché da te non puoi niente, lasciati condurre. Vivi nella riconoscenza, nella pace e nell'amore. Addio, figlia mia!». «Mi ha dato la sua benedizione, le ho baciato la mano ed è scomparsa». Ad un tratto la cella si riempie di splendore e Maria si mostra alla figlia amata. «Sono sempre con te!» le dice.  «Se sarai fedele, figlia mia, senza mai appoggiarti su te stessa, ma solo su Gesù, Egli ti darà la forza, Egli ti aiuterà... e ti aiuterò anch'io!». «- Ricordati ciò che ti ha detto la tua beata Madre. Nella sofferenza Gesù si riposa in te: perché dunque temere? Abbandonati alla volontà di Dio: tu adesso non puoi comprendere la gioia che proverai durante tutta l'eternità nel vedere tante anime salvate da te con i piccoli atti di virtù e con i tuoi sa­crifici. Coraggio! La vita è un niente, e i tuoi giorni scorreranno come un lampo. Profittane e riempili dando al Cuore del tuo divino Sposo questa gloria di abban­donarti totalmente alla sua volontà e al suo beneplacito. Vivi della sua pace e del suo amore, vivi sotto il suo sguardo, e lascialo fare!». «Ha steso la mano per benedirmi ed è scomparsa».

 

GIORNI DI PROVA 16 luglio - 24 agosto 1923

Fine luglio 1923. L'anniversario dei primi voti è appena trascorso sotto la mano benedicente di Maria, quando improvvisamente il demonio si drizza di nuovo sul suo cammino. In realtà esso non l'aveva mai lasciata a lungo tranquilla, ma nel periodo che ora si apre Josefa lo vedrà, come un tempo il Curato d'Ars, sotto forma di un gi­gantesco cane, ripugnante, furioso, che le si getta contro senza riuscire tuttavia ad atterrarla. Nello stesso tempo le lunghe espiazioni nell'inferno continuano a riempire la maggior parte delle sue notti, e in questo tormento l'anima sua sperimenta di nuovo ogni genere di strazi. Il demonio, come se fosse in suo potere di annientare i disegni di Dio, punta tutte le sue arti per impedire l'intervento del Vescovo di Poitiers che sa vicino, e di cui suppone l'importanza. Josefa, abitualmente tanto fragile di fronte alle menzogne del nemico, questa volta non cede.

Il venerdi 27 luglio 1923 S. Giovanni Evangelista le appare mentre prega davanti al tabernacolo: «Era avvolto - scrive - di maestosa bellezza. Appena lo vidi rinnovai i voti ed egli mi disse: «Anima prediletta del divino Maestro, poiché il Signore vuole servirsi di te per manifestare a molte anime la sua misericordia e il suo amore, prepara la via alla sua venuta: «La tua volontà sia docile e interamente sottomessa al suo divino volere. La fiamma del suo Cuore ti purifichi e ti consumi. E quando Egli si abbasserà fino a te, ricevi le sue parole con rispetto e amore, poiché Colui che ti parla è lo stesso davanti al quale la corte celeste intona, senza mai cessare, il cantico della lode e dell'amore!». «Il Signore ti custodisca e inondi l'anima tua delle celesti delizie del suo Cuore!». «E’ scomparso – scrive - e un istante dopo ho visto il Cuore di Gesù, solo!... La ferita si è largamente aperta, lasciando cadere una fiamma sul mio petto, come faceva sempre Gesù quando veniva ogni sera a consumare le mie miserie... Questo fuoco mi brucia e l'anima si accende di tal desiderio di Lui, che il resto non mi sembra più che un niente!».

Due giorni dopo, la sera della domenica 29 luglio 1923, la Madonna viene ad annunziare il ritorno di Gesù. Tiene tra le mani la corona di spine e posandola sulla fronte di Josefa: «Figlia mia - le dice - vengo ad ornarti coi gioielli del tuo Sposo, per prepararti io stessa alla sua ve­nuta. Allorché avrai terminata la tua adorazione, risali in cella e Lo troverai. Frattanto preparaGli la via con atti di umiltà, di sottomissione, di amore». «Addio. Vi aiuterà perché si tratta dell'Opera sua. Fiducia e coraggio, sot­tomissione e umiltà, amore e abbandono!». Pochi istanti dopo Nostro Signore appare nella sua cella. Essa si prostra ai suoi piedi, si offre alla volontà sovrana di cui adora in anticipo tutte le esigenze. « - egli dice - sono Io. Non temere, tutto è disposto e governato dal mio amore». Allora, nel silenzio impressionante che l'avvolge, Gesù le detta tutto quello che dovrà esser fatto e detto affinché il Vescovo di Poitiers sia informato al più presto dei disegni divini. «Non temere, vi aiuterò e vi guiderò. AmaMi, affidati al mio Cuore, e Io non ti abbandonerò mai!».

Il lunedì 30 luglio 1923, in una udienza molto paterna concessa al R.P. Boyer O.P., direttore di Josefa, il Vescovo di Poitiers ricevette il primo messaggio personale del Cuore di Gesù.

Dal 30 luglio al 12 agosto Josefa nota i moltiplicati assalti del demonio, le sue menzognere affermazioni, la sua folle si­curezza di trionfare su di lei, sul Vescovo, sul disegno stesso di Dio! «Non sei sola - le ripete Gesù; apparendole la domenica 12 agosto 1923. - Non sai che Io sono la tua vita, il tuo appoggio, e che se non fossi con te, non potresti mai sostenere un tal peso?».

Il giorno seguente Gesù viene di nuovo per determinare esatta­mente ciò che essa dovrà dire da parte sua al Vescovo di Poitiers. «Non spaventarti. L'amore ti sosterrà e ti condurrà sempre. Ti dirò tutto e ti aiuterò. Non temete: vi custodisco nel mio Cuore, e ciò basti a darvi coraggio!».

La festa dell'Assunzione di Maria, mercoledì 15 agosto 1923, la Madonna si mostra alla figlia diletta in tutta la sua bellezza: «Figlia mia, non sco­raggiarti per la tua debolezza: confessala con umiltà, ma non perdere fiducia, perché sai bene che a motivo della tua miseria e della tua indegnità Gesù ha fissato su te il suo sguardo... Molta umiltà, ma molta fiducia!». E alludendo alle raddoppiate persecuzioni del demonio: «- Non temere, esso non può far altro che mol­tiplicare per te l'occasione di grandi meriti. Io ti difendo, e Gesù non ti abbandonerà mai!». Allora Josefa, distogliendo il pensiero da se stessa, non pensa più che alla gioia della Madre Immacolata di cui il mondo intero ha in quel giorno celebrato l'entrata in cielo. Maria sembra esultare a quel ricordo che è per Lei la beatitudine dell'eterno presente. « - Ella dice - proprio in questo giorno la gioia piena e perfetta è cominciata per me, poiché durante tutta la mia vita l'anima mia fu trafitta da una spada». «Le ho chiesto - scrive ingenuamente Josefa - se la presenza di Gesù Bambino, così piccolo e così bello, non fosse stata per lei una immensa consolazione». «Figlia mia, ascolta - proseguì la Vergine - fino dalla mia infanzia ebbi conoscenza delle cose divine e delle speranze riposte nella venuta del Messia. Così, quando l'Arcangelo mi annunziò il mistero dell'Incarnazione e mi vidi scelta per madre del Redentore degli uomini, il mio cuore sebbene pienamente sottomesso al volere di Dio fu sommerso in un torrente di amarezza, perché sapevo tutto quello che il tenero e divino Bambino doveva soffrire, e la profezia del vecchio Simeone non fece che confermare le mie angosce materne. «Tu puoi quindi figurarti quali dovevano essere i miei sentimenti nel contemplare le attrattive di mio figlio, il suo volto, le sue mani, i suoi piedi, tutta la sua persona, che sapevo dovevano essere un giorno così crudelmente maltrattati. «Io baciavo quelle mani e mi sembrava che le mie labbra si impregnassero già del sangue che un giorno sarebbe sgorgato dalle loro ferite. «Baciavo i suoi piedi e li contemplavo già confitti alla croce. «Ravviavo la sua meravigliosa capigliatura e la vedevo coperta di sangue, ingrovigliata nelle spine della corona. «E quando, a Nazaret, Egli fece i primi passi e mi corse incontro con le braccia aperte, non potei trattenere le lacrime al pensiero di quelle braccia stese sulla croce dove doveva morire! «Quando giunse all'adolescenza apparve in Lui un tale insieme di grazia affascinante che non lo si poteva con­templare senza restare rapiti. Ma il mio cuore di madre si stringeva al pensiero dei tormenti di cui provavo in anticipo la ripercussione... «Dopo la lontananza dei tre anni della vita apostolica, le ore della passione e della sua morte furono per me il più terribile dei martiri. «Quando il terzo giorno, Lo vidi risuscitato e glorioso, certo la prova cambiò aspetto poiché Egli non poteva più soffrire. Ma quanto dolorosa doveva essere la separazione da Lui! ConsolarLo, riparare le offese degli uomini era allora il mio solo sollievo. Ma che lungo esilio! Quali ardori divampavano dal mio cuore! come sospiravo l'istante del­l'eterna unione! Ah, che vita senza Lui! Che luce otte­nebrata! Che unione desiderata! E come tardava a venire! «Giunta al settantatreesimo anno l'anima mia passò come un lampo dalla terra al cielo. Dopo tre giorni gli angeli raccolsero la mia salma e la trasportarono in trionfo di giubilo per riunirla all'anima. Quale ammira­zione, quale adorazione, quale dolcezza quando i miei occhi videro per la prima volta nella sua gloria e nella sua maestà in mezzo alle schiere angeliche il mio Figlio e il mio Dio! «Che dire poi, figlia mia, dello stupore che mi invase alla vista della mia bassezza che veniva coronata di tanti doni e circondata da tante acclamazioni? Non più tristezza ormai, non più ombra alcuna!... Tutto è dolcezza, gloria, amore!...». «- Tutto passa, figlia mia e la beatitudine non ha fine. Soffri ed ama: mio Figlio tra poco coronerà i tuoi sforzi e le tue fatiche. Non temere: Egli ed Io ti amiamo». E dopo alcune materne raccomandazioni: «- Rimani fedele a Gesù e non rifiutarGli niente. PreparaGli il cammino con i tuoi piccoli atti, poiché presto verrà. Coraggio! Generosità e amore! L'inverno della vita è breve e la primavera sarà eterna». Josefa scrive che non può ricordare le parole precise di quella lunga effusione.

«Ma il venerdì 17 agosto 1923 - ella prosegue - mentre andavo in cella per provare a scrivere qualcosa, im­provvisamente mi apparve di nuovo la Madonna, bellis­sima e splendente di luce. Sorridendo dolcemente mi ripeté ciò che mi aveva detto la sera della sua festa, mi porse la mano, mi benedisse e scomparve».

Il lunedì 20 agosto 1923, Josefa sta meditando durante l'orazione, su quelle parole: «Gesù è la luce del mondo». «A un tratto - ella scrive - vidi davanti a me una grande croce di legno tutta luminosa. Nel centro splendeva il Cuore di Gesù, ferito e circondato di spine. Dalla ferita scaturiva una viva fiamma e udii una voce che diceva: «- Ecco quel Cuore che dà al mondo la vita! Ma la dà dall'alto della croce. Così le anime scelte come vittime per aiutarMi a diffondere la luce e la vita sul mondo de­vono, con grande sottomissione, lasciarsi configgere in croce, secondo l'immagine e l'esempio del loro Maestro e Salva­tore!». La croce rimarrà dunque fino alla fine per Josefa la sua luce e sicurezza. Ella lo sa e vi si offre. La sera stessa la Madonna le appare all'oratorio del noviziato, dove Josefa si era inginocchiata davanti alla sua statua. «- - le dice - dammi il tuo cuore e lo cu­stodirò; dammi le tue attività e le trasformerò; dammi il tuo amore, la tua vita, ed Io trasmetterò tutto a Gesù». Quindi avvicinandosi e alzando sulla fronte di Josefa la mano verginale: «- Ti benedico con tutto il mio cuore di Madre. Questa benedizione ti infonda coraggio e generosità per adempiere in tutto  la volontà di Gesù. Che cosa puoi temere se in Lui confidi, figlia mia? Non sai che è onnipotente, che è buono, che è tutto amore?...» «- Se vuoi che l'anima tua profitti pienamente di questi giorni di grazie, devi prepararti ripetendo spesso la preghiera che mio figlio Ignazio diceva con tanto ardore: «Prendi, Signore, e ricevi tutta la mia libertà, la mia memoria, il mio intelletto, la mia volontà... «Sì, offri tutto a Gesù perché se ne impossessi e si serva di te secondo il suo beneplacito. Moltiplica anche i piccoli atti di umiltà, di mortificazione e di generosità... In tal modo l'anima tua sarà pronta a ricevere in questi giorni di grazia i favori divini. Non dimenticare che sono gli ultimi esercizi spirituali della tua vita. Lascia dunque che Gesù ti lavori e ti prepari come Gli piace all'unione eterna». «Poiché ami le anime, pensa ad esse e lasciati stritolare come è necessario per salvarle». «Ricordati, figlia mia che sei del tutto indegna dei favori di Dio. Ma ringraziaLo perché si compiace servirsi della tua indegnità e del tuo nulla per salvare molte anime manifestando loro la sua misericordia». Quindi, con tutta la sua autorità di Madre, la Madonna le palesa il prossimo avvenire che l'aspetta: andrà a Roma per comunicare direttamente alla sua Superiora Generale il messaggio personale, di cui Nostro Signore tien per ora il segreto. Josefa a queste parole rimane atterrita. Già la prospettiva dei colloqui col Vescovo di Poitiers, la riempie di viva apprensione. Bisognerà dunque uscire ancora più dall'oscurità e dal silenzio che finora la custodivano? Andar lontano?... E soprattutto far conoscere essa stessa quelle cose che già le costa palesare alle sue madri dei Feuillants?... La sua anima è sconvolta, ma la Vergine la trattiene a lungo ai suoi piedi e il suo sguardo di forza e di pace, calma a poco a poco la tempesta. «Non temere, Gesù ti dirà i suoi desideri e tutto si farà con facilità, semplicemente e umilmente. Quanto siete felici, figlie mie, di essere lo strumento di quest'Opera tra le mani di Dio».

Il venerdì, 24 agosto 1923, durante il ringraziamento della Co­munione, Gesù la conferma in questa oblazione che solo l'amore può spiegare e rendere stabile: «Dimmi, Josefa, tutto ciò che Mi diresti se tu non Mi vedessi. Non spetta sempre a te di ascoltare: Io pure godo e mi compiaccio di udirti». «Allora - ella scrive - Gli ho ripetuto il mio desiderio di amarLo, di esserGli fedele, di non rifiutarGli nulla. Ma sa bene quanto sono debole!... «Sì, dammi questa prova del tuo amore, perché l'amore rende tutto facile. Segui l'esempio del mio Cuore: ho creato le anime per amore e le voglio salvare con l'amore. Le anime alla loro volta mi provino il loro! E se desidero così ardentemente di essere amato dalle anime... quanto più da quelle che sono le mie spose! PagaMi dunque con i tuoi atti che sono la moneta dell'amore!». «Signore! i miei atti sono così piccoli, così meschini...». «Poco importa: dammi la tua miseria, Io l'arricchirò... e per un sacrificio che Mi offrirai, Io ti pagherò con le de­licatezze del mio Cuore!». Ma prima che si realizzi il soggiorno a Roma dovrà traversare un periodo doloroso.

 

RITIRO NELLA SOFFERENZA 25 agosto - 2 settembre 1923

Rimangono ancora nove giorni prima del ritiro che Josefa ha tanto desiderato... l'ultimo della sua vita! nove giorni di tenebre e di patimenti, senza un filo di luce sul suo cammino: «Ho tanto sofferto fino al 29 agosto quando gli Esercizi si sono aperti per la comunità». «Questa sera, mercoledì 29 agosto 1923 Gesù è venuto un istante. Ho visto il suo Cuore e ho compreso che il suo amore per me e illimitato, l'ho capito dal suo sguardo. Mi sono gettata ai suoi piedi ed ho effuso il mio cuore nel suo». «Che importa? - mi ha detto. - Io sono ricco, potente e fedele. Non ti ho già ripetuto, non una ma tante volte, che ti amo a cagione della tua miseria e della tua debolezza? Credi alle mie parole e resta nella mia pace!... Profitta di questi giorni di ritiro per corrispondere con molto amore alle grazie di cui ti ho colmata. Recita ogni giorno cinque volte il Miserere, aggiungendovi un Pater per onorare ciascuna delle mie Piaghe. Nasconditi in esse... e siano sempre il tuo rifugio. Umiliati e non temere: Io sono il tuo sostegno e la tua vita e ti difenderò sempre».

Il giovedì 30 agosto 1923 all'alba. «Gesù è venuto ad un tratto - scrive Josefa - bellissimo e tanto buono!». «- Non temere. Non sai che il mio Cuore non desidera altro che consumare le tue miserie e consumare te pure?... Ti conosco e ti amo! Non mi stancherò mai di te!». «Più L'avvicino - ella scrive - più soffro di non saper amarLo, e l'unica mia risorsa è di chiederGli perdono!». «- Sai bene - Egli risponde - che sono disposto a perdonarti non una volta, ma ogni volta che la tua debolezza soccombe. Se tu sei debole Io sono forte. Se tu sei misera, Io sono il fuoco che consuma. Avvicinati a Me con fiducia e lasciami purificare l'anima tua!». «Ed ora, prendi la mia corona! Ti assicura del mio perdono e del mio amore. Lasciati guidare, sii molto umile e fedele. Io ti conduco e la mia azione ti governerà». «L'ho ringraziato e L'ho supplicato di non permettere che io metta ostacolo all'Opera sua». Gesù la rassicura: «- Non temere! Io lavoro nell'oscurità, ma l'Opera mia verrà alla luce in maniera tale che un giorno se ne po­tranno ammirare tutti i particolari».

Sabato, 1° settembre 1923, giunge a Josefa l'annunzio che il Vescovo di Poitiers, secondo l'invito ricevuto, si degnerà venire al Sacro Cuore per concedere a lei qualche istante di colloquio. «Non temere di niente - le ripete Gesù durante l'ora santa. - Sei nelle mie mani. Sii molto semplice e Io sarò con te e ti dirò tutto».

Nello stesso giorno la sua superiora così scrive alla Madre Generale: «Il colloquio di questa mattina è stato semplice, facile, consolante. Monsignore è venuto solo, e la S. Messa, al­l'oratorio di S. Stanislao, in mezzo alla comunita in ritiro, con un bel canto polacco delle novizie  e con qualche parola di Sua Eccellenza, è stata davvero un momento di grazie. Quindi abbiamo seguito punto per punto la linea di condotta tracciata con tanto amore e chiarezza da Nostro Signore il cui Cuore ci è stato così fedele. Poi Monsignore, molto paterno e benevolo, già informato di tutto dal R. padre Boyer, ha visto in particolare Josefa per circa quaranta minuti... Finito il colloquio Sua Eccellenza si è degnato dirci quanto era rimasto commosso dalla semplicità, dal candore di questa figliola che gli ha parlato senza pretese, in un francese pittoresco, ma come piena di Dio. Monsignore ha preso e portato con sé le comunicazioni dirette personalmente a lui l'11 e 12 giugno, e ci ha raccomandato di pregare molto, dicendoci che era disposto ad entrare nei disegni divini. Sua Eccellenza tornerà indubbiamente prima di novembre: quale sollievo e pace ci lascia questa prima visita!».

Già il lunedì, 3 settembre 1923, l'oscurità invade di nuovo l'anima di Josefa: aridità, abbandono, desolazione, tentazione di dis­perazione...

Quel Cuore infinitamente buono che la sostiene a sua in­saputa le appare ad un tratto la mattina del 18 settembre 1923. «Durante il ringraziamento della Comunione – scrive - quel martedì - io L'adoravo e L'amavo con il cuore della Vergine Santa, poiché da me non sono capace di niente, quando improvvisamente L'ho visto, bellissimo, e con il Cuore infiammato. «- Josefa, vieni, accostati a questo braciere d'amore. «Metti qui tutte le tue miserie per consumarle in questo fuoco!». «Gli ho detto di compatirmi poiché ogni giorno mi trovo più indegna, non solo delle sue grazie, ma del suo perdono e della sua misericordia!». «- Non temere... Più miserie troverò in te e più amore tu troverai in Me». «Allora Gli ho detto tutti i miei desideri... e anche i miei peccati per essere perdonata». «Conosco la tua miseria, Josefa, e m'incarico di ripararla. In cambio consolaMi e ripara per le anime!». «Non ti ho forse detto che m incarico di tutto? Io riparo per te, tu ripara per le anime». «Ora ascoltaMi bene: Ho varie cose da confidarti per il tuo Vescovo e la tua Madre Generale... Certamente tu sei indegna di ricevere e tra­smettere le mie parole. Ma quando Mi servo di te lo faccio per amore delle anime. «Intanto tu sai i miei gusti: desidero molto i tuoi piccoli atti di umiltà. Lascia che l'amore li scelga con delicatezza e generosità».

Ancora due volte, i venerdì 21 e 28 settembre 1923, in mezzo alle tenebre che oscurano il cammino di Josefa, lo splendore del Signore brillerà improvvisamente. Egli verrà per farle scrivere sotto dettatura il messaggio diretto che Egli riserva alla Società del Sacro Cuore e ch'ella dovrà consegnare alla sua Madre Generale. «Voglio che lo dica tu stessa», insisterà Gesù.

«Lasciati condurre ad occhi chiusi - Gesù le ha detto il 18 settembre 1923 - poiché ti sono padre, e gli occhi miei stanno aperti per condurti e guidarti».

 

XII

ROMA

LA CASA MADRE: GARANZIE DIVINE 2-26 ottobre 1923

Il martedì 2 ottobre 1923, a mezzogiorno, Josefa e la sua superiora partivano per Roma. Ad un tratto Gesù le appare: «- Guarda il mio Cuore» le dice mentre ardenti scintille scaturiscono dalla ferita. «Le anime non sanno venire a cercare in questo Cuore le grazie che desidero spargere su di loro. Ce ne sono tante che non si lasciano attirare dalla divina calamita del mio amore! Per questo ho bisogno delle mie anime scelte! Voglio che esse spargano questa calamita su tutta la terra. Voi non potete sapere quanto mi glorificano la vostra fede, la vostra fiducia, la sottomissione al mio volere! Vi benedico, e Mi servirò di voi per far cadere sul mondo le mie grazie e il mio amore!». Gesù disparve, ma verso sera, poco prima dell'arrivo a Parigi, ritorna : «Voglio salvare il mondo -  dice – e servirMi di voi, povere e miserabili creature, trasmettendovi i miei desideri, affinché per vostro mezzo molte anime conoscano la mia misericordia e il mio amore!». E siccome ella Gli domanda una volta ancora ciò che dovrà fare e dire laggiù: «- Non temere di nulla - le risponde - te lo dirò. Sono Io stesso che vi conduco... Tu parlerai senza paura, Josefa, poiché con questo mezzo cominceranno a realizzarsi i miei disegni». «- Non temere. I miei passi talvolta sono come sopra una terra sabbiosa, e l'orma loro sembra a volte sparire. Ma non è così! Quanto a te, sii molto docile. Non preoccuparti di niente, e non intimorirti di quello che potranno pensare o dire di te. Sono Io che conduco tutto, e so ciò che conviene all'Opera mia». «- Se voi non aveste fede, comprenderei, ma se credete in Me, perché inquietarvi?... «Ritieni queste parole, Josefa: Io lavoro nell'oscurità e tuttavia sono la luce. Ti ho avvertita più di una volta che verrà un giorno in cui tutto sembrerà perduto e l'Opera mia annientata. Ma oggi te lo ripeto: la luce tornerà e più splendente ancora!».

Le viaggiatrici giungono a Roma il 5 ottobre 1923, primo venerdì del mese, verso le dodici e mezza. La prima intervista con la Madre Generale è una nuova prova che il Signore le prepara la via: la sua bontà la confonde, l'accoglienza la riempie di riconoscenza.

Il sabato 6 ottobre 1923,  bisogna ch'ella scriva i desideri del Cuore di Gesù per la Madre Generale. Il se­greto di quelle pagine non può essere rivelato; rimane riservato alla Società del Sacro Cuore.

Durante il ringraziamento della Comunione del giorno dopo, domenica 7 ottobre 1923, Gesù rispondendo all'ansia di Josefa: «- Perché sei triste?» «Signore - ella risponde - sono triste nel vedermi sempre in questa via straordinaria dove talvolta sembra che mi perderò!». «Non sai dunque, Josefa, che non ti lascio mai sola? Il mio unico desiderio è di rivelare alle anime l'amore, la misericordia e il perdono del mio Cuore. Ti ho scelta per questo, miserabile come sei. Non ti preoccupare: Io ti amo, e la tua miseria è appunto la causa del mio amore. Ti ho voluta per Me, e siccome sei miserabile, ho fatto miracoli per custodirti con cura. Sì, amo tutte le anime, ma con quale predilezione quelle che sono più deboli e più piccole!». «Ti ho amata e ti ho custodita, Josefa! Ti amo e ti custodisco! Ti amerò e ti custodirò sempre! «NascondiMi amorosamente nel tuo cuore. In quanto a Me, ti tengo nel mio con tenerezza e misericordia». Poco dopo, durante la Messa delle nove, il Maestro divino le appare nuovamente. «Io cerco l'amore delle mie anime, e vengo a ripeter loro ciò che Io voglio, ciò che chiedo, ciò che supplico di darMi: l'amore e soltanto l'amore! In quanto a te, Josefa, sii molto fedele e docile. Io ti dirò tutto volta per volta, e presto ti condurrò nello splendore che non ha fine! Allora le mie parole verranno lette e il mio amore conosciuto!».

«Dicevo a Gesù – scrive Josefa (lunedì 8 ottobre 1923) - durante il mio ringraziamento della Comunione il mio timore dei suoi giudizi, quando mi vedo così prossima alla morte. «Improvvisamente si è mostrato, bellissimo, e mi ha guardata con immensa bontà». «- Tutto ciò è vero - Egli dice - se guardi soltanto le tue opere. Ma sono Io che ti presenterò davanti alla corte celeste. Sono Io stesso che preparo la tunica di cui ti vestirò. E’ tessuta del prezioso lino dei miei meriti e tinta nella porpora del mio sangue. Le mie labbra imprimeranno sull'anima tua il bacio di pace e di amore. Non temere, non ti abbandonerò fino a che non ti avrò condotta nel sog­giorno degli eterni splendori». «Gesù mi ha tolto il timore che avevo della morte» aggiunge semplicemente. In quella mattina Josefa, che sta aiutando le sue sorelle al bucato, sente improvvisamente il primo attacco di un male che niente poteva far prevedere: una leggera emottisi, che cerca dapprima di dissimulare. Ma il pallore del volto rivela l'incidente. Il medico non trova niente di allarmante: però dopo un minuzioso esame, ed informatosi della sua età - non ha che trentatré anni - si meraviglia perché egli dice «è tanto consunta». Ad un tratto, la sera dell'8 ottobre 1923, con satanica astuzia il demonio riesce a ingannare Josefa. Sotto l'aspetto di Nostro Signore tenta di snaturare il piano divino. L'eccesso stesso di questa insidia diabolica lo rende manifesto, e non è la prima volta che il nemico si traveste da angelo di luce. Allora si scopre, cambia aspetto, minaccia, bestemmia e sparisce in una cupa nube di fumo, mentre Josefa resta terrorizzata e piena di incertezza. «Mi sento immersa - scrive poco dopo - in un dubbio così profondo che credo in realtà di essere stata lo zimbello del demonio non solo adesso, ma sempre! credo che tutto quello che ho visto e scritto fino ad ora sia stata opera sua a tal punto che non posso far altro che supplicare Nostro Signore di dare alle mie superiore la luce necessaria per conoscere la verità».

Prosegue poi il martedì 9 ottobre 1923: «Sempre lo stesso dolore e la stessa ansia!... Il solo pensiero che tutte queste cose non siano mai provenute da Gesù, ma dal demonio, mi immerge in uno sgomento indicibile! L'unica grazia che chiedo è che le mie Madri se ne rendano conto anche loro!». Quel giorno stesso Maria San­tissima risponde alla supplica della figlia diletta. Josefa nel suo turbamento non crede alla realtà di questa presenza. Ma, dopo aver ascoltato la rinnovazione dei voti, e ripetute con lei le lodi divine, Maria la rassicura e le dice: «- Sì, figlia mia, sono proprio io, la Madre di Dio, la Madre di Gesù che è la purezza e la luce eterna. Sono proprio Io, la Madre tua che vengo a darti la pace. «Non temere, Gesù vi difenderà e farà in modo che l'astuzia del nemico venga scoperta ogni volta che tenterà di ingannarti... Se dubiti comandagli coraggiosamente: "Ritirati, Satana: non ho niente da fare con te, che non sei che menzogna! Appartengo a Gesù che è verità e vita". Non temete, figlie mie, il suo Cuore vi ama, e vi guiderà fino alla fine. Ti amo e ti benedico, Josefa; resta in pace!».

Dio permette che le assicurazioni delle superiore non riescano a calmare la sua angoscia. Sembra che Egli stesso l'abbia ab­bandonata, e la sua preghiera che è piuttosto un grido di naufrago resta senza risposta! Trascorre così una interminabile settimana. Nessun raggio di speranza appare all'orizzonte. Josefa porta la croce senza piegarsi e senza che niente tradisca al di fuori l'estrema sua sofferenza. Soltanto il suo aspetto è talvolta stravolto, e le forze le mancano. Invano la bontà della Madre Generale cerca di procurarle qualche sollievo. Mater Admirabilis, la Madonna miracolosa della Trinità dei Monti, la vedrà ai suoi piedi e ne ascolterà l'invocazione dolorosa. Sua Santità il Papa Pio XI la benedirà in una udienza di passaggio. La fede viva di Josefa si appoggerà su questa insigne grazia. La sua anima di figlia della Chiesa esulterà di riconoscenza, attingendo la forza per la sof­ferenza, senza che la croce cessi un istante di pesare gravemente sulle sue spalle.

La domenica, 14 ottobre 1923, durante il ringraziamento della Comunione, Josefa si trova ad un tratto davanti al Maestro che calma i flutti e le tempeste. Ella esita, teme, vuole dubitare e respinge da sé la visione che crede ingannatrice. «Non temere niente!». risponde Gesù, con la voce forte e dolce che annienta tutte le astuzie di Satana. E, siccome dopo aver rinnovato i voti, ella persiste nel suo rifiuto, protestando energicamente la sua volontà di resistere a qualsiasi menzogna: «Non temere niente. Io sono Gesù, sono lo Sposo a cui sei unita con i voti di povertà, di castità, di obbedienza, che tu ora mi hai rinnovati. Sono il Dio della Pace!». «Senza volere - scrive - una così grande luce si è fatta nella mia mente che sono rimasta convinta che era Lui!...» Qualche ora dopo il demonio tenterà invano di provarle il contrario, ma all'adorazione del pomeriggio: «Colui - scrive - che credo essere Gesù è tornato. Gli ho chiesto di ripetere con me che Egli è veramente il Figlio di Maria Immacolata. Allora con una pace che irradiava dal suo volto come dalla sua voce mi ha detto: «Sì, Josefa, sono il Figlio della Vergine Imma­colata, la Seconda Persona della Santissima Trinità, Gesù, Figlio di Dio e Dio Io stesso, mi sono rivestito della santa Umanità per dare il mio sangue e la mia vita alle anime. Io le amo e ti amo, Josefa... e cerco ora per manifestare loro il mio amore e la mia misericordia, ed è per questo che mi sono abbassato fino a te. Non te­mere nulla, la mia potenza ti difende». «No, tu non sei ingannata!». Il fitto velo che avvolge Josefa svanisce a queste parole e Gesù prosegue: «-Di' alle tue Madri che voglio che tu scriva. E come il sole appare più fulgido dopo una cupa giornata, nello stesso modo, dopo questa grande sofferenza, l'Opera mia apparirà in tutto il suo splendore».

Il lunedì 15 ottobre 1923, allorché Josefa passa davanti all'oratorio di Santa Maddalena Sofia, si sente chiamare da una voce ben nota. Sempre timorosa, fugge dapprima, ma la Santa Fondatrice l'attira nella fiducia e nella pace: «- Sono la Madre tua. «Ti dirò soltanto che durante la mia vita non ho cercato altro che la gloria del Cuore di Gesù. Ed ora che vivo in Lui e di Lui, la propagazione del suo Regno è più che mai il mio unico desiderio. Perciò chiedo che questa piccola Società sia per molte anime il mezzo di conoscerLo e di amarLo sempre più. «Non temere! Il demonio cerca di nuocerle perché essa è l'oggetto delle predilezioni del Cuore adorabile di Gesù. Ma questo divino Maestro non permetterà che essa cada nei tranelli che le tende il suo nemico. «Va', figlia mia, va' al tuo lavoro. Io ti benedico». La stessa sera Nostro Signore appare: «- Non crediate - Egli dice - che Io voglia parlarvi d'altro che della mia croce. «Per mezzo di essa ho salvato il mondo, per mezzo di essa voglio ricondurlo alla verità della fede, e soprattutto alla via dell'amore... «Vi manifesterò i miei desideri: ho salvato il mondo dall'alto della croce, cioè con la sofferenza. Voi sapete che il peccato è un'offesa infinita e richiede una infinita ri­parazione... Per questo chiedo che le vostre sofferenze e le vostre fatiche le offriate unite ai meriti infiniti del mio Cuore. Sapete bene che il mio Cuore è vostro. Prendetelo e riparate per mezzo suo!... Alle anime che avvicinerete inculcate l'amore e la fidu­cia. Immergetele nell'amore, immergetele nella fiducia verso la bontà e la misericordia del mio Cuore. In tutte le circo­stanze in cui potete parlare e farMi conoscere, dite sempre alle anime che non temano, perché Io sono un Dio di amore. «Vi raccomando specialmente tre cose: «1°. L'esercizio dell'Ora Santa, poiché è uno dei mezzi per offrire a Dio Padre, per la mediazione di Gesù Cristo suo divin Figlio, una riparazione infinita; «2°. La devozione dei cinque Pater in onore delle mie piaghe, poiché per mezzo loro il mondo ha ricevuto la salvezza; «3°. Infine l'unione costante, e l'offerta quotidiana dei meriti del mio Cuore, poiché così darete a tutte le vostre azioni un valore infinito. «Servirsi continuamente della mia vita, del mio Sangue, del mio Cuore; è un segreto che molte anime non co­noscono ancora abbastanza. Voglio che voi, voi lo co­nosciate e ne approfittiate». Poi dopo aver esposto alcune richieste precise rivolte alla Società del Sacro Cuore, aggiunge: «- Resta nella mia pace. Io vi amo, vi guido, vi difendo. Non dubitate mai della mia bontà!».

Il venerdì 19 ottobre 1923, la Santa Fondatrice le dice: «- Non temere, il suo Cuore adorabile ha sempre governato e diretto questa piccola Società. Ma talvolta è assai difficile riconoscere la sua azione. La fede manca nel mondo e Gesù vuole che le sue spose riparino questa mancanza di fede con i loro atti di fiducia. Non temere e non preoccuparti se non hai la luce. Gesù te la darà: a poco a poco Egli disporrà che tutto si compia se­condo i suoi disegni. In quanto a te, basta che tu obbedisca e ti abbandoni. Sì, certo, ci sono dei momenti di oscurità: è la croce che si erge davanti a noi e ci impedisce di vedere Lui. Ma Egli stesso allora ci dice: «Non temete, sono Io». Sì, è Lui che guiderà e compirà l'Opera sua fino alla fine. Non temere, sii fedele e resta nella pace».

La festa di Mater Admirabilis così cara alla Società del Sacro Cuore, sabato 20 ottobre 1923, le appare la Madonna. «- Sono la Madre tua, la Madre di Gesù e la Madre della misericordia». «Non tornare indietro, figlia mia! Lascia che Gesù si glorifichi nella tua piccolezza e nella tua miseria. Così risplenderanno maggiormente la sua potenza e la sua bontà... Considera come la sua mano paterna ti ha condotta e cu­stodita qui. Non temere, ti aiuterà fino alla fine. Rimani molto semplice, poiché in cielo non avrai altra gloria che quella della tua semplicità. I bambini piccoli non hanno alcun merito proprio: così è dite. Sei la privilegiata del suo Cuore, senza aver fatto niente per divenir tale; è Lui che fa tutto in te, che ti perdona e ti ama!».

Il giorno seguente, domenica 21 ottobre 1923, mentre Josefa sta meditando, Gesù le appare e le scopre il Cuore «tutto infiammato» e le dice: «- Guarda il mio Cuore! E’ il libro in cui devi medi­tare. Ti insegnerà tutte le virtù, specialmente lo zelo per la mia gloria, e la salvezza delle anime. «Guarda bene il mio Cuore. E l'asilo dei miserabili e, per conseguenza, il tuo: poiché chi più miserabile di te? «Guarda bene in fondo al mio Cuore, Josefa! È il crogiuolo in cui i cuori più contaminati si purificano e s'infiammano d'amore. Vieni, accostati a questa fornace: lascia qui le tue miserie e le tue colpe. Abbi fiducia e credi in Me che sono il tuo Salvatore! «Guarda ancora il mio Cuore, Josefa! È la sorgente d'acqua viva. Immergiti in essa e bevi fino ad estinguere la tua sete. Desidero e voglio che tutte le anime vengano a questa sorgente per trovarvi refrigerio. «In quanto a te, ti ho messa in fondo al mio Cuore. Tu sei così piccola che non avresti potuto venirvi da sola. Approfittane dunque, e bevi le grazie che ti dò; lascia il mio amore agire in te, operare in te, e rimani molto piccola!». La sera di quello stesso giorno la Santa Fondatrice le appare: «Gesù sia amato e glorificato in maniera speciale dalle anime che compongono la piccola Società del Suo Cuore!». «Le ho chiesto di benedirmi - scrive Josefa - poiché è mia Madre. Questa è stata l'ultima volta che l'ho vista a Roma. I giorni seguenti trascorsero per l'anima mia in pace e vera gioia. Il mercoledì 24 ottobre abbiamo la­sciato Roma e siamo giunte a Poitiers».

 

ULTIMO RITORNO AI FEUILLANTS

PURIFICAZIONE 26 ottobre - 30 novembre 1923

Genova... Parigi... Poitiers! Il rapido viaggio che riconduce ai Feuillants Josefa, ha termine il venerdì 26 ottobre 1923.

«E’ venuto bellissimo - scrive la sera del 27 ot­tobre - portando in capo la corona di spine. Ne ho provato una grande gioia poiché non L'avevo più visto dopo Roma. Gli ho detto tutto quello che mi riempiva il cuore e mi ha risposto con molta tenerezza: - «Credi tu, Josefa, che non sappia che sei tornata qui?... Sono Io che ti ho ricondotta! «Non impaurirti, sono proprio Io, Gesù, il Figlio della Vergine Immacolata, il tuo Salvatore, il tuo Sposo!». «- Finora la mia croce ha riposato su di te. Voglio d'ora in poi che tu riposi sopra di essa. Tu sai che è il patrimonio delle mie spose». Josefa si offre... e guardando la corona che ha tanto desiderato, osa chiederla al Maestro. «Sì, oggi la mia corona di spine, e presto la corona di gloria!... LasciaMi operare in te e per mezzo tuo per le anime!... Ti amo... amaMi!».

Il giorno dopo, domenica 28 ottobre 1923, verso sera, Gesù le appare; un raggio di luce usciva da ciascuna delle sue piaghe. «Ho rinnovato i voti e alla fine mi ha detto: «Si, Josefa, sono Gesù, Figlio della Vergine Immacolata! Ecco le mie piaghe aperte sulla croce per riscattare il mondo dalla morte eterna e ridonargli la vita! Sono esse che ottengono misericordia e perdono a tante anime che provocano la collera del Padre mio. Sono esse che d'ora in poi daranno loro luce, forza e amore». Quindi mostrando il suo Cuore ferito: «Questa piaga è il divino vulcano in cui voglio che s'infiammino le mie anime scelte e in speciai modo le spose del mio Cuore. «Questa piaga è loro, e tutte le grazie ch'essa racchiude appartengono a loro, affinché le riversino sul mondo, su tante anime che non sanno venire a cercarle, e su tante altre che le disprezzano!». «Allora - scrive Josefa - Gli chiesi di insegnare a queste anime il modo di farLo conoscere e amare». «Darò loro tutta la luce necessaria affinché sappiano valersi di questo tesoro e non soltanto farMi co­noscere ed amare, ma ancora riparare gli oltraggi continui con cui i peccatori Mi opprimono. Sì, il mondo Mi offende, ma esso sarà salvato dalla riparazione delle mie anime scelte. «Addio, Josefa! Ama, poiché l'amore è riparazione e la riparazione è amore!».

Nei primi giorni di novembre 1923 il demonio tenta ancora di rinnovare la prova spaventosa che Josefa ha conosciuto a Roma. Le si mostra sotto le apparenze di Nostro Signore e le lascia rinnovare i voti. Rifiuta però di ripetere le lodi divine e l'affermazione che Gesù ripete ogni volta con tanto slancio: «Sono Gesù, il figlio della Vergine Immacolata». «Dillo tu, questo basta» risponde l'ingannatore infernale. Invano cerca di simulare le parole del Maestro. Josefa le respinge con in­dignazione.

«Così, dal 28 ottobre al 13 novembre - ella scrive - non ho più rivisto Nostro Signore». La festa di S. Stanislao, patrono del noviziato, martedì 13 novembre 1923,. «Stamani dopo la Comunione - scrive - Gesù è venuto bellissimo, con le piaghe scintillanti di fiamme, e, prima ancora che aprissi bocca, Egli ha detto: «- Non temere, sono Gesù il Figlio della Vergine Immacolata!». «Sì, sono l'Amore! il Figlio della Vergine Immaco­lata, lo Sposo delle vergini, la forza dei deboli, la luce delle anime, la loro vita, la loro ricompensa, il loro fine! Il mio sangue cancella tutti i loro peccati, poiché Io sono il loro Riparatore e Redentore!». Josefa confida al Maestro le sofferenze dei giorni precedenti, l'estrema stanchezza che le toglie il modo di lavorare e le fa presagire la morte vicina. «- Come, Josefa, - risponde Gesù - non desideri dunque possederMi e godere di Me senza fine? Io sì, ti desidero! Io Mi glorifico nelle anime che adempiono la mia volontà sempre e in tutto, e ti ho scelta per questo. LasciaMi fare di te quello che so convenire alla mia gloria e al tuo bene. Passa l'inverno della vita!... Io sono la tua felicità!». Qualche istante dopo la raggiunge nella sua cella e Josefa riprende la penna. Dapprima Egli rivolge le sue parole al Vescovo di Poitiers; poi, scoprendo un più largo orizzonte: «Voglio che il mio amore sia il sole che illumina e il calore che riscalda le anime. Perciò desidero che si facciano conoscere le mie parole. Voglio che il mondo intero sappia che Io sono un Dio di amore, di perdono, di misericordia. Voglio che tutto il mondo legga il mio desiderio ardente di perdonare e di salvare: i più miserabili non temano!... i più colpevoli non fuggano lontano da Me!... che tutti vengano! Li aspetto come un padre, con le braccia aperte, per dar loro la vita e la vera felicità. «Affinché il mondo conosca la mia bontà ho bisogno di apostoli che gli manifestino il mio Cuore, ma che, prima di tutto, lo conoscano essi stessi... si può insegnare ciò che si ignora?... «Perciò parlerò durante alcuni giorni per i miei Sa­cerdoti, i miei Religiosi, le mie Religiose. Allora cono­sceranno chiaramente quello che chiedo. Voglio formare una lega di amore tra le anime consacrate, affinché esse insegnino e pubblichino fino ai confini della terra la mia misericordia e il mio amore. «Voglio che il desiderio e il bisogno di riparare si risvegli­no ed aumentino tra le anime fedeli e le anime consacrate, poiché il mondo ha peccato... Sì, il mondo, le nazioni pro­vocano in questo momento la collera divina. Ma Dio, che vuoi regnare con l'amore, si volge alle sue anime scelte e specialmente a quelle di questa nazione. Chiedo loro di ri­parare prima per ottenere il perdono, ma soprattutto per attirare nuove grazie su questo paese, che è stato il primo, lo ripeto ancora, a conoscere il mio Cuore ed a propagarne la devozione. «Voglio che il mondo sia salvo... che la pace e l'unione regnino tra gli uomini. Io voglio regnare e regnerò mediante la riparazione delle anime scelte e una conoscenza nuova della mia bontà, della mia misericordia e del mio amore. Le mie parole saranno luce e vita per un numero incalcolabile di anime, e tutte verranno stampate, lette, predicate, e darò loro una grazia speciale affinché illuminino e tras­formino le anime». «Gli ho chiesto perdono per aver dubitato - ella scrive - ma Egli sa quali insidie mi tende il demonio!... «- Credi tu che possa lasciarvi in potere di quel nemico crudele? Vi amo e non permetterò mai che siate ingannate. Non temete di nulla, abbiate fiducia in Me, che sono l'Amore!».

Il venerdì 9 novembre 1923 lo ha trascorso distesa e quasi senza potersi muovere, con la testa, il petto, le membra tutte straziate da violenta sofferenza... Una nuova emottisi la riduce all'estremo, e neppure un consulto medico riesce a scoprirne la causa.

Il giovedì 15 novembre 1923, verso le otto di sera, attraversa una crisi dolorosa che sembra gettarla come in agonia e che si rinnova la notte.

Tuttavia all'alba del venerdì 16 novembre 1923 Nostro Signore la visita nella S. Comunione e le si mostra durante il ringraziamento: «- Non temere,  sono la tua vita e la tua forza. Sono tutto per te e non ti abbandonerò mai». Poi, dopo averle ricordato la prossima visita del Vescovo, aggiunge: «Quanto a te, resta a mia disposizione affinché possa parlare alle mie anime scelte. LasciaMi piena libertà! In tal modo Io mi glorificherò».

Il martedì 21 novembre 1923, festa della Presentazione di Maria, Josefa rinnova i voti pubblicamente in mezzo alle giovani sue consorelle. Il suo fervore ha preparato questo atto con un amore reso più ardente dalla sofferenza. Ella sa che è l'ultima volta che la sua voce ripeterà in quella cappella la promessa che l'ha legata al Cuore di Gesù e alla sua opera d'amore. Durante il ringraziamento della Comunione Gesù le appare e dice: «- Io pure, Josefa, rinnovo la promessa che ti ho fatto di amarti e di esserti fedele. Quantunque ti faccia soffrire, non credere per questo che ti ami meno: ti amo, e non cessero di amarti fino alla fine. Ma ho bisogno di sofferenze per guarire le piaghe delle anime! Addio, resta con Me, come Io resto con te!».

Dopo alcuni giorni, il sabato 24 novembre 1923, Mons. Durfort rivede a lungo Josefa: questa visita paterna è una grazia insigne che la sua fede riceve con riconoscenza e semplicità. La dimenticanza di se stessa colpisce vivamente il Prelato. Ella non si occupa che degli interessi del Cuore di Gesù. La parte che ella ha in quest'opera, le sue sofferenze che sono rivelate dai lineamenti sconvolti, nulla contano per lei di fronte ai desideri del Maestro. D'altra parte ella li trasmette con una chiarezza e precisione oggettive senza che il suo linguaggio impacciato ne alteri alcun particolare.

Ancora una volta, sul finire di quel novembre 1923, il martedì 27 Nostro Signore le si mostra come una felice visione di pace. Ella lo scrive in questi termini: «Questa sera durante l'adorazione del santissimo Sacramento non riuscivo a dirGli niente, e per non perdere tempo ho letto lentamente le litanie del Sacro Cuore. Poi, siccome l'ora non era ancora trascorsa, ho preso le invocazioni della novena del primo Venerdì del mese e giunta a questa: «Unione intima del Cuore di Gesù col Padre celeste, mi unisco a voi», Gesù improvvisamente mi è apparso splendente di bellezza. La sua tunica sembrava d'oro: il Cuore era come un incendio e dalla ferita scaturiva una luce abbagliante. Ho rinnovato i miei voti e Gli ho chiesto perdono d'essere così fredda ai suoi piedi.: «- Questa invocazione, Josefa, mi è così gradita e ha tale valore, che supera di molto quello delle preghiere più eloquenti e sublimi che le anime possano offrirMi. Infatti, che cosa vi può essere di più grande valore che l'unione del mio Cuore col Padre celeste?... Quando le anime pronunziano questa preghiera penetrano per così dire nel mio Cuore e aderiscono al beneplacito divino, qualunque esso sia su di loro. Esse si uniscono a Dio e questo è l'atto più soprannaturale che si possa compiere sulla terra, poiché cominciano a vivere qualche cosa della vita del cielo che consiste nella perfetta ed intima unione della creatura col suo Creatore e Signore. «Continua, Josefa, continua la tua preghiera. Con essa tu adori, tu ripari, tu meriti, tu ami! Sì, continua la tua preghiera ed Io proseguo l'Opera mia». «Gli ho confidato tutte le mie insufficienze - ella scrive, dopo questo racconto: «Non ti preoccupare, sono Io che conduco tutto!».

 

XIII

IN FINEM DILEXIT

IL SIGILLO DIVINO

 

Dicembre 1923. E l'ultimo mese che Josefa trascorre qui in terra.

Un giorno il Signore rispondendo ad una segreta e istante preghiera delle guide di Josefa disse all'umile sorella: «Non mi si chiedano più segni, Josefa! Il segno lo darò in te!».

Josefa ha dunque avvertito le sue Madri, sulla sola garanzia della parola divina, che non avrebbe finito in terra gli ultimi giorni del 1923. Infatti, all'epoca che Egli le ha indicata, e nella maniera da Lui disposta, il Padrone della vita e della morte viene  per mettere il sigillo definitivo all'Opera del suo Cuore.

 

IL COMPIMENTO DEL MESSAGGIO 1-9 dicembre 1923

Lunedì 3 dicembre 1923, Santa Maddalena Sofia prepara la sua diletta figlia al com­pimento dell'Opera. «Vieni nella mia cella!». le dice nella mattinata. «Sì, sono la Madre tua, la povera creatura di cui il Signore si è degnato di fare la prima pietra di questa Società». «Gesù sta per venire! AspettaLo con molta umiltà, ma anche con gioia e fiducia. Egli è il Padre di misericordia sempre disposto a effondere la sua bontà su tutte le creature, ma soprattutto sulle più piccole e misere. Ricevi i suoi desideri, le sue raccomandazioni, le sue parole con grande rispetto e la Società le custodisca ge­losamente!». «Non tema la sofferenza: non retroceda dinanzi alla sofferenza e, soprattutto, - e questa è la racco­mandazione del mio cuore materno - le grazie di cui viene ricolmata non facciano mai diminuire in lei il prezioso tesoro dell'umiltà! Più sarà umile, più Nostro Signore la favorirà!».

Mentre Josefa, la mattima di martedì 4 dicembre 1923, lavora pregando nella propria cella, la Madonna le appare improvvi­samente. Josefa rinnova subito i voti e le chiede di ripetere con lei ciò che il demonio non ha mai potuto dire: «Mio Dio, ti amo e desidero che tutto il mondo ti conosca e ti ami!» Ella ripeté queste parole - dice Josefa - e aggiunse: «- perché Tu sei infinitamente buono e miseri­cordioso! Sì, figlia mia, Gesù ha compassione delle anime piccole e miserabili. Le perdona e le ama. La sua bontà l'inclina verso i piccoli e la sua forza sostiene i deboli. Lascia che la tua piccolezza si perda nella sua grandezza! AspettaLo con amore! Sta per venire...». «Maria disparve, e un istante dopo Nostro Signore era là. Ho rinnovato i miei voti e subito Egli ha detto: «Si, Josefa, sono Io! Non temere. Sono l'Amore, la Bontà e la Misericordia!... Sono il Figlio della Vergine Immacolata, il Figlio di Dio e Dio Io stesso!». Egli parla e Josefa scrive: «- Voglio ora rivolgerMi alle mie anime consacrate, affinché possano farMi conoscere ai peccatori ed al mondo intero. «Molte tra esse non sanno ancora approfondire i miei sentimenti. Mi trattano come uno che vive lontano da loro... uno che conoscono poco e in cui non hanno abbastanza fiducia. Voglio che rianimino la loro fede e il loro amore, che  vivano in intimità e confidenza con Colui che esse amano e che le ama. «In una famiglia è il figlio maggiore che conosce meglio i sentimenti e i segreti paterni. Infatti il padre a lui si confida più interamente perché i più giovani non sono ancora capaci di interessarsi ai gravi affari, né di andare al di là della superficie delle cose. Perciò al maggiore spetta di trasmettere ai fratelli i desideri e i voleri del padre quando questi viene a mancare. «Nella Chiesa ho dei figli maggiori e sono le anime che ho scelte per Me. Consacrate dal sacerdozio o dai voti religiosi, esse vivono più vicino a Me, partecipano alle mie grazie di privilegio, e a loro confido i miei se­greti, i miei desideri... e anche i miei patimenti! «Sono esse che incarico, per mezzo del loro ministero, di vegliare sui fanciulli, loro fratelli, e direttamente o indirettamente istruirli, guidarli e trasmettere loro i miei insegnamenti. «Se le mie anime scelte Mi conoscono pienamente, sapranno farmi conoscere, se Mi amano davvero, sapranno farmi amare. Ma che cosa insegneranno agli altri se Mi conoscono poco?... Ora Io domando: si può amare molto Colui che si conosce male? Si può parlare con vera in­timità a Colui da cui ci teniamo lontano?... a Colui in cui abbiamo poca fiducia?... «Ecco quello che voglio ricordare alle mie anime consacrate. Non è una cosa nuova, certamente, ma esse hanno bisogno di rianimare la loro fede, il loro amore e la loro fiducia. «Voglio che Mi trattino con maggiore intimità, che Mi cerchino nel loro interno, poiché esse sanno che l'anima in grazia è tempio dello Spirito Santo. E là Mi vedano come Io sono, cioè come Dio, ma Dio d'amore! Abbiano più amore che timore, credano al mio amore senza mai dubitarne! Molte, infatti, sanno che le ho scelte perché le ho amate, ma quando si sentono oppresse dalle loro miserie, e forse anche dalle colpe, allora le invade la tristezza al pensiero che Io non abbia più per loro l'amore di una volta».

Il mercoledì 5 dicembre 1923, alla stessa ora, Gesù va a trovarla in cella. Josefa riprende la penna, e sempre inginocchiata al suo tavolino scrive mentre Gesù prosegue: «Ti ho detto ieri che quelle anime non Mi cono­scono. Quelle anime non hanno capito che cos'è il mio Cuore! Poiché sono appunto le loro miserie e le loro colpe che inclinano la mia bontà verso di loro. E quando riconoscono la loro impotenza e debolezza, si umiliano e vengono a Me con piena fiducia, allora esse Mi glorifi­cano ancora più che prima della loro colpa. «Così quando esse pregano per sé e per gli altri: se esitano, se dubitano di Me, non onorano il mio Cuore, mentre Mi glorificano quando aspettano con sicurezza ciò che Mi chiedono, certe che non potrò rifiutare loro se non quello che sarebbe dannoso alle loro anime. «Quando il Centurione venne a supplicarMi di guarire il servitore, Mi disse con molta umiltà: "Non sono degno che Tu entri in casa mia..." ma pieno di fede e di fiducia aggiunse: "Tuttavia, Signore, se dici una sola parola il mio servo guarirà". Quest'uomo conosceva il mio Cuore, e sapeva che non posso resistere alle suppliche di un'anima che aspetta tutto da Me... Quest'uomo Mi ha grandemente glorificato perché all'umiltà ha congiunto una fiducia ferma e totale... Sì, quest'uomo conosceva il mio Cuore, eppure non Mi ero manifestato a Lui come Mi manifesto alle mie anime scelte! «Con la fiducia esse otterranno innumerevoli grazie, non soltanto per se stesse ma per gli altri, ed è quello che voglio che comprendano pienamente, poiché desidero che manifestino i sentimenti del mio Cuore alle povere anime che non Mi conoscono». «Lo ripeto ancora: ciò che ora dico non è niente di nuovo. Ma come una fiamma ha bisogno di essere alimentata per non spengersi, così le anime hanno bisogno di un nuovo incitamento che le faccia avanzare, e di nuovo calore che le rianimi. «Fra le anime a Me consacrate, poche ve ne sono che hanno in me una vera fiducia, perché ce ne sono poche che vivono in intima unione con Me. Voglio che si sappia che amo le anime quali esse sono. So che la fragilità le farà cadere più d'una volta. So che in molte occasioni non manterranno ciò che Mi hanno promesso: ma il loro proposito Mi glorifica, l'atto di umiltà che faranno dopo una caduta, la fiducia che pongono in Me mi onorano talmente che il mio Cuore sparge sopra di esse un tor­rente di grazie. «Voglio che si sappia quanto desidero che le anime consacrate si rianimino e si rinnovino in questa vita di unione e d'intimità con Me. Esse non si limitino a par­larMi quando sono ai piedi dell'altare. Sono là presente, è vero, ma Io vivo anche dentro di loro, e Mi com­piaccio a non fare che una cosa sola con loro. «Mi parlino di tutto!... Mi consultino in tutto!... Mi domandino tutto!... Io vivo in loro per essere la loro vita. Dimoro in loro per essere la loro forza... Sì, lo ripeto non dimentichino che Mi compiaccio di fare una cosa sola con loro... Si ricordino che Io vivo in esse... e che là le vedo, le ascolto, le amo. Là aspetto che corri­spondano al mio amore! «Vi sono molte anime che ogni mattina fanno ora­zione: ma non è piuttosto una formalità che un colloquio d'amore?... Ascoltano o celebrano la Messa, e Mi ricevono nella Comunione... ma una volta uscite di chiesa non si lasciano forse talmente assorbire dagli affari, che non pensano più a rivolgerMi una parola?... «Mi trovo in queste anime come in un deserto: non Mi dicono niente; non Mi chiedono niente: e quando hanno bisogno di essere consolate spesso si rivolgono a qualche creatura di cui vanno in cerca, piuttosto che a Me, loro Creatore, che vivo e sono in esse! «Non è questa mancanza di unione, mancanza di vita interiore o, ciò che viene a essere lo stesso, mancanza d'amore? «Voglio anche ricordare alle anime consacrate che Io le ho scelte in modo speciale, affinché vivendo con Me di questa vita di unione Mi consolino e riparino per tutte quelle che Mi offendono. «Voglio che si ricordino il dovere che hanno di stu­diare il mio Cuore, per condividerne i sentimenti e rea­lizzarne i desideri per quanto è loro possibile. «Quando un uomo lavora nel proprio campo si applica con ardore a sradicare tutte le erbe cattive, e non ri­sparmia né pena né fatica finché non vi sia riuscito. Così Io voglio che le anime a Me consacrate, appena cono­sciuti i miei desideri, si applichino con zelo ed ardore ad effettuarli, senza retrocedere davanti a qualsiasi difficoltà o sofferenza, per accrescere la mia gloria e riparare le offese del mondo. «Ti ripeterò questo domani, ora va' nella mia pace!». «Ieri, dopo una giornata di grande sofferenza spirituale e di malessere fisico - scrive - ho passato istanti di tale angoscia che mi sembrava di morire. Mi si sono pre­sentate al pensiero in modo impressionante tutte le colpe della mia vita passata, e mi trovavo come incapace di fare alcun atto di fiducia e di amore». «La sofferenza era così acuta che pareva sfuggirmi la vita. Ad un tratto ho visto nella mia cella ad una certa altezza una colombina tutta bianca, con la testina splendente di luce. Faceva sforzi per prendere il volo, ma una delle ali, ancora un poco grigia, sembrava attaccata. Restò così qualche istante, poi diede un colpo d'ala e fuggì via... Ho pensato fosse quella che avevo vista un'altra volta, e di cui Gesù mi disse: "Quella colomba è l'immagine dell'anima tua". «Ma quando Egli è venuto stamani, e Gli ho espresso il mio desiderio di morire il 12 di questo mese, festa della Madonna di Guadalupa, anniversario della nascita della nostra Fon­datrice, e anche un mercoledì, giorno consacrato a San Giuseppe mio patrono, Nostro Signore con grande bontà mi ha detto: «E che faremo di quell'aletta ancora grigia?». Josefa allora Gli espone il timore di offenderLo, di allonta­narsi da Lui, di cadere nei tranelli del demonio che sente ac­canito contro di lei. «Ascolta - Gesù le dice - Occorre che tu sia ancora purificata nell'amore. Abbandonati, e non avere altro desiderio che di compiere la mia volontà. Sai bene che ti amo, che puoi volere di più?».

Il giovedì, 6 dicembre 1923, la ritrova nella sua celletta dove tante volte ha aspettato il suo Maestro. Ella non può nasconderGli la sua speranza di morire il 12 dicembre sotto la protezione dei tre grandi amori della sua anima religiosa. «- Che hai fatto, Josefa, per meritare il cielo?». «Nulla, Signore, ma mi hai promesso di darmi i tuoi meriti». «- Non ti basta, forse, vivere nel mio Cuore?». «Certo - dice Josefa    ma ciò non mi toglie il desiderio del cielo, poiché là Lo vedrò per sempre e non L'offenderò mai!». «LasciaMi scegliere l'ora - dice Gesù - Ora scrivi per le anime consacrate». Questa è l'ultima volta che Josefa raccoglierà per le anime i desideri ardenti del Cuore di Gesù: «- Le invito tutte, i miei Sacerdoti, i miei Religiosi, le mie Religiose, a vivere in intima unione con Me. «Spetta ad esse conoscere i miei desideri e condividere le mie gioie e le mie tristezze. «Tocca ad esse di occuparsi dei miei interessi senza risparmiare né fatiche, né sofferenze. «Ad esse riparare, con le preghiere e le loro penitenze, le offese di tante e tante anime! «Ad esse soprattutto spetta raddoppiare l'unione con Me, e non lasciarMi solo! Non lasciarMi solo... Ah! mol­te non comprendono, e dimenticano che tocca a loro tenerMi compagnia e consolarMi!... «Ad esse, infine, di formare una lega d'amore e, tutte unite nel mio Cuore, implorare per le anime la cono­scenza della verità, la luce e il perdono. «E allorché penetrate di dolore alla vista delle offese che ricevo da ogni parte, le mie anime scelte si offriranno per riparare e lavorare all'Opera mia, la loro fiducia sia intera, perché non potrò resistere alle loro suppliche e le esaudirò pienamente. «Si applichino dunque tutte a studiare il mio Cuore e ad approfondirne i sentimenti. Si sforzino di vivere unite a Me di parlarMi, di consultarMi. Rivestano dei miei meriti e coprano col mio sangue tutte le loro azioni. Consacrino la loro vita alla salvezza delle anime e al­l'accrescimento della mia gloria! Non si rimpiccoliscano considerando se stesse, dilatino invece il loro cuore ve­dendosi rivestite della potenza del mio sangue e dei miei meriti, poiché se agiscono da sole, non potranno fare gran cosa, ma se lavorano con Me, in mio nome e per la mia gloria, allora saranno potenti. «Le anime a Me consacrate ravvivino i loro desideri di riparare e chiedano con fiducia che sorga sul mondo il giorno del Re divino, cioè il giorno del mio Regno universale! «Non temano, sperino in Me, confidino in Me! «Siano divorate di zelo e di carità per i peccatori!.. Ne abbiano compassione, preghino per loro e li trattino con dolcezza! «Parlino a tutti gli uomini della mia bontà, del mio amore, della mia misericordia! «Rivestano i loro lavori apostolici di preghiera, di penitenza e soprattutto di fiducia, non nelle loro industrie, ma nella potenza e nella bontà del mio Cuore che le accompagna! «Nel tuo nome, o Signore, opererò e so che sarò potente! «Questa fu la preghiera dei miei Apostoli, uomini poveri e ignoranti, ma ricchi e sapienti della ricchezza e sapienza divina!... «Tre cose chiedo alle anime consacrate: «Riparazione, cioè vita di unione col Riparatore divino: operare per Lui, con Lui, in spirito di riparazione, in stretta unione ai suoi sentimenti e desideri. «Amore, cioè intimità con Colui che è tutto amore e che si mette al livello delle sue creature, per domandare di non lasciarLo solo, e di darGli il loro amore. «Fiducia, cioè sicurezza in Colui che è bontà e misericordia... in Colui col quale io vivo giorno e notte, che mi conosce e che io conosco... che mi ama e che io amo... in Colui che invita le sue anime consacrate perché vivendo con Lui e conoscendo il suo Cuore aspettino tutto da Lui». Le ultime righe del Messaggio sono tracciate!... Josefa nota ancora ciò che il Maestro desidera che essa trasmetta da parte sua al Vescovo di Poitiers, di cui sa la prossima venuta, quindi posa la penna. Passa un istante in uno scambio d'amore che resta il segreto di Dio.

Il venerdì, 7 dicembre 1923, Mons. Durfort si degna venire ai Feuillants, e vi riceve le ultime parole trasmesse per lui da parte di Nostro Signore. Con una semplicità infantile Josefa gli parla del suo ardente desiderio del cielo, e della sua prossima morte.

L'8 dicembre 1923, sabato, trascorre lietamente. Josefa consacra le sue ultime forze ai preparativi della processione tradizionale al Sacro Cuore. Nel pomeriggio ella scrive alla mamma e alle sorelle il suo ultimo saluto: lettere commoventi che saranno custodite come reliquie e che ella domanda alla Madre di spedire soltanto dopo la sua morte. Con la sorella Mercedes, religiosa coadiutrice nella Società del Sacro Cuore, si confidava intimamente: «Muoio felice e ciò che mi dà tale felicità è sapere di aver fatto sempre la volontà di Dio. Egli mi ha condotta per vie molte contrarie alle mie attrattive e ai miei desideri, ma mi ricompensa in questi ultimi giorni in cui mi avvolge di una pace di paradiso. Ti supplico, cara sorella, di servire Nostro Signore e la Società Nostra Madre con gioia e fervore nell'ufficio che ti dà, nella casa dove ti colloca e qualunque siano le tue superiore... senza badare né alle tue attrattive, né alle tue ripugnanze. Niente ti dà tanta pace al momento della morte quanto l'esserti rinunziata per fare la volontà divina. Non rattristarti per le tue miserie: Gesù è buono e ci ama come siamo. Lo vedo per esperienza: abbi fiducia nella sua bontà, nel suo amore, nella sua misericordia. Io muoio felice... La Società è stata per me una vera, tenera madre. Gesù mi ha dato delle superiore che mi hanno circondata della più grande delicatezza. Non posso ricambiarle in terra, ma in cielo avrò la Madonna che mi darà tutto quello che chiederò per loro. In Francia sono stata molto felice: è la patria dell'anima mia e il Signore mi ha concesso grazie numerose». E termina con queste righe: «Ci siamo sempre tanto amate, sorella mia, e ora la nostra separazione di qualche anno ci unirà ancora più intimamente e fortemente. Addio! Ti aspetto in cielo ove saremo unite coi vincoli fraterni e più ancora col nostro amore di religiose».

Josefa narra ciò che segue e sono queste le ultime righe del suo quadernino: «Questa sera, mentre stavo in cappella, la Madonna è venuta all'improvviso. Vestita come sempre, ma circondata da una luce smagliante. Stava in piedi sopra una mez­zaluna di nubi cerulee e leggerissime. Sul capo era appena posato un velo di un azzurro molto pallido, che si perdeva tra le nubi su cui posavano i piedi. Era così bella che non osavo parlarle, sentendomi l'anima rapita solo a contemplarla. Infine ho rinnovato i voti, e mi ha detto con voce dolce e solenne: «- Figlia mia, la Chiesa mi loda e mi onora con­templando la mia immacolata concezione. Gli uomini ammirano i prodigi che il Signore ha operato in me e la bellezza di cui mi ha rivestita prima ancora che il peccato originale potesse macchiare l'anima mia. Sì, Colui che è Dio eterno, mi ha scelta per Madre e mi ha ricolmata di grazie singolari di cui nessun'altra creatura è stata mai favorita. Tutta la bellezza che in me risplende è il riflesso delle perfezioni dell'Onnipotente e le lodi che mi si rivol­gono glorificano Colui che essendo il mio Creatore, il mio Signore, ha voluto fare di me Sua Madre. «Il mio più bel titolo di gloria è di essere immacolata e insieme Madre di Dio. Ma Io mi compiaccio soprat­tutto di unire a questo titolo quello di Madre di Mise­ricordia e di Madre dei peccatori!». «Appena dette queste parole, scomparve e non l'ho più vista». Gli appunti di Josefa terminano definitivamente in questa duplice affermazione della Madre divina, quasi fosse la firma con cui voleva contrassegnare il Messaggio di Gesù.

 

L'UNIONE SULLA CROCE 9-16 dicembre 1923

Gli ultimi giorni della vita di Josefa sono giunti! Venti giorni la separano ancora dall'incontro eterno, venti giorni di soffe­renza, di grazie, di prove, attraverso le quali consumerà la sua missione qui in terra.  D'ora innanzi ella non scriverà più che i messaggi personali dettati dal Maestro, e le ultime raccomandazioni che la Madre Fondatrice trasmetterà per suo mezzo alle figlie. Ma figlia di obbedienza fino alla fine, dopo ciascuna visita del Signore o di Maria Santissima, ella confiderà fedelmente alle Madri il segreto di questi trattenimenti celesti dei quali nessuna parola andrà perduta.

All'alba della domenica 9 dicembre, riesce a stento ad alzarsi per andare a cercare la grazia della Messa e della Comunione di cui ha sete. Ma al ritorno un lungo svenimento l'abbatte, e la lascia sfinita.

La mattina del lunedì 10 dicembre, quantunque prostrata di forze tenta tuttavia di alzarsi con sforzo eroico nella speranza della santa Comunione. Ma ricade inerte e la fame di Gesù le strappa le lacrime. Non può parlare nè inghiottire una goccia d'acqua, e di tanto in tanto cade in deliquio. Al termine della mattinata un leggero miglioramento permette di chiamare un sacerdote che le porta la Comunione. Il Maestro divino disporrà le cose in modo che l'Eucaristia non manchi mai alla sua piccola vittima. Durante il ringraziamento Gesù si mostra a lei che non sa come esprimere la sua riconoscenza. «Josefa, ecco che vengo Io stesso a prepararti per entrare nella mia patria celeste». «Sarà il 12, Signore?», domanda ella ingenuamente. «- Se vuoi sono disposto a darti questa gioia, ma non saresti tu abbastanza generosa da concederMi qualche giorno di più, di cui ho bisogno per le anime?». «Tu sai che sono tua e che ti ho tutto abbandonato!». «- Sì. Ti custodisco, prendo cura di te! LasciaMi fare la mia vo­lontà e scegliere l'ora!». «- Questa sera ritornerò, e tu scriverai». Verso le due e mezzo del pomeriggio Egli è là. Semiseduta sul letto e sostenuta da cuscini, perché le mancano le forze, Josefa sta aspettando. «E’ venuto - dirà qualche istante dopo - bellissimo, con il Cuore tutto aperto e tutto fiamme». «- Vedi la dimora che ti preparo per l'eternità... E tu, Josefa, che Mi prepari?». «Oh! Signore, i miei peccati, le mie miserie, il mio dolore di aver fatto così poco per te». «- Che importa? Dammi tutto e consumerò tutto nel fuoco del mio Cuore! Ora scrivi!». Sotto la dettatura del Maestro scrive con mano tremante un messaggio da trasmettere dopo la sua morte al Rev. P. Rubio S.J. padre e direttore dei suoi primi anni. «- Ritornerò domani». La stessa sera Santa Maddalena Sofia appare ad un tratto, più materna che mai, e prendendola tra le braccia essa stessa la sostiene e la conforta. «- No - le dice - tu non morrai il 12, ma Gesù verrà a te per unirti a Lui, coi legami più stretti, e sarà per l'eternità!». Le precisa che ri­ceverà l'Unzione degli Infermi, e farà la professione religiosa perpetua in quel benedetto giorno. «- Vengo a dirtelo da parte Sua». «- Gesù dispone così la tua vita e per quanto difficile questo sembri alle creature, tutto ordina nel modo che conviene meglio ai suoi disegni». Quindi rispondendo a una richiesta della figlia: «- Si, verrò con la Madonna e con Gesù, che non ti lascia mai sola... Tutt'e tre saremo qui... coraggio! Ancora qualche giorno da trascorrere in terra per meritare la patria celeste. Riposa in pace, poiché veglio su di te».

Nel pomeriggio del martedì, 11 dicembre 1923, Gesù ritorna da Josefa. E per dettarle un'ultima parola diretta alla Madre Generale dell'Istituto del Sacro Cuore, e che termina con questa espressione: «Amo la mia Società, guiderò Io l'Opera mia!».

La mattina del mercoledi 12 dicembre 1923, un leggero miglioramento suscita qualche incertezza. Si trova ella abbastanza in pericolo per ricevere la doppia grazia dell'Olio degli Infermi e della pro­fessione in «articulo mortis»? Il suo direttore le fa fare dopo la Comunione un atto di piena adesione a tutto quello che sarà deciso a suo riguardo. La giornata trascorre in un'attesa piena di raccoglimento, di fervore, di pace. Mons. Durfort ha deciso di presiedere egli stesso la cerimonia che consacrerà doppiamente Josefa. Tutta la famiglia religiosa, che la sa gravemente ammalata da qualche giorno, viene invitata a circondarla di una preghiera più sollecita che mai, mentre si fanno i preparativi nella piccola cella, testimone di tanti divini favori. Verso le cinque del pomeriggio comincia la commovente fun­zione. Josefa è raggiante nel suo raccoglimento. Le consorelle si raggruppano nel corridoio e nelle stanze vicine alla cella, troppo piccola per accoglierle tutte. Solo Mons. Durfort, il Can, di Ca­stries, cappellano dell'Istituto, e il P. Boyer vi penetrano con le madri che circondano il letto di Josefa. Sembra di essere in un santuario. Vicino alla statua della Madonna arde il cero della professione. Il Santissimo viene deposto sull'altarino im­provvisato, e nel silenzio che la circonda con voce ferma Josefa si accusa umilmente delle mancanze della sua vita religiosa, per avere il perdono delle madri e delle sorelle. Allora il Vescovo si avvicina e comincia la preghiera dell'Unzione degli Infermi. Ma già tutto è sparito allo sguardo della malata. La Madonna e la Fondatrice le appaiono improvvisamente. Mentre le sacre unzioni proseguono, ed ella è presente a tutte le cerimonie del Sacramento, non vede più che le sue Madri del cielo intente a rivestirla di una tunica bianca che gli Angeli hanno messo nelle loro mani. «Vedi, figlia mia - le dice la Santa Fondatrice - ciò che il Signore nella sua misericordia ha fatto per la sua piccola sposa, non per riguardo ai suoi meriti, ma a quelli del Suo santissimo Cuore! «Ed ora che sei rivestita di questa tunica tanto pura - prosegue la Madonna - il tuo sposo verrà a darti il bacio di pace e di amore. Abbandonati piena­mente a Lui; nelle sue mani divine sei nella più grande sicurezza. E Lui che ti accompagnerà per condurti all'e­terna patria, e che ti presenterà agli abitanti del cielo!». Il sacro rito è terminato. Il Vescovo rivolge allora a Josefa qualche parola piena di fervore e di delicatezza. Ma ella non se ne accorge neppure, immersa com’è nella profondità dell'estasi che il suo esterno appena appena lascia trasparire. Il «Veni Creator», le preghiere liturgiche con cui la Chiesa benedice le insegne della professione, la croce e l'anello, si succedono senza che Josefa esca dal suo raccoglimento. Gesù allora, unendosi alla sua Madre e a Santa Maddalena Sofia le appare, ed è proprio davanti a questi tre celesti te­stimoni che Josefa con voce ferma risponde alle domande che il Celebrante rivolge alla nuova professa della Società del Sacro Cuore, prima di rimetterle il doppio pegno dell'eterna unione. - Consentite dunque a prendere Gesù Cristo per vostro Sposo? «Sì, Padre, acconsento con tutto il cuore!». «Ricevete dunque questo anello come segno dell'eterna unione che state per stringere con Lui». Poi consegnandole la piccola croce d'argento che brillerà sul suo petto: «Ricevete, figlia mia, questo prezioso pegno dell'amore di Gesù Cristo e ricordatevi che divenendo sua sposa voi dovete d'ora in poi vivere in unione e conformità col suo divin Cuore. Il vostro Diletto sia per voi come un fascetto di mirra: collocatelo sul vostro cuore in segno di amore e di eterna unione». Allora nel silenzio che circonda quel letto divenuto un altare, il Vescovo si avvicina elevando la sacra Ostia, e Josefa legge ad alta voce la formula dei voti perpetui e fa la Comunione. La Madonna e la Santa Madre spariscono salutandola così: «Ritorneremo tutt'e due per prenderti e condurti in cielo!». Gesù rimane solo!... «Josefa, perché Mi ami?». «Signore, perché sei buono!». «E Io ti amo perché sei misera e piccola. Perciò ti ho rivestita dei miei meriti e ricoperta col mio sangue per presentarti così ai miei eletti del cielo. La tua pic­colezza ha fatto posto alla mia grandezza... la tua miseria e anche le tue colpe, alla mia misericordia... la tua fiducia al mio amore e alla mia bontà! «Vieni, appoggiati al mio Cuore e riposati in Lui, poiché sei la mia sposa. Presto entrerai in questa dimora per non lasciarla più!». Josefa lascia traboccare tutta l'anima sua. Gli esprime la sua felicità e soprattutto il suo ardente desiderio che la bontà del suo Cuore venga conosciuta fino all'estremità della terra, perché non la si conosce abbastanza. «Sì, dici bene: Io sono buono! Per comprenderlo non manca alle anime che una cosa: unione e vita inte­riore. Se le mie anime scelte vivessero più unite a Me, mi conoscerebbero di più...». «Signore, è diffi­cile... perché hanno talvolta tanto da fare per Te...». «- Sì, lo so, perciò quando si allontanano le cerco per riavvicinarle a Me. «Ecco quale sarà il nostro lavoro in cielo: insegnare alle anime a vivere unite a Me, non come se Io fossi lontano da loro, ma in loro; poiché mediante la grazia vivo in loro. «Se le mie anime scelte vivono così unite a Me e Mi conoscono veramente, quanto bene potranno fare a tante povere anime che vivono lontano da Me e non Mi cono­scono! «Quando le mie anime scelte si uniranno strettamente al mio Cuore, sapranno quanto sono offeso!... compren­deranno i miei sentimenti... Allora Mi consoleranno, ri­pareranno e, piene di fiducia nella mia bontà, chiederanno perdono e otterranno grazie per il mondo!...». «Josefa, perché Mi ami?». «Signore, perché sei buono!». «E Io ti amo perché sei piccola e perché questa piccolezza tu me l'hai data! Ho preso cura di te con tene­rezza!... ti ho custodita con fedeltà!... Non temere, presto sorgerà il giorno eterno. Addio, resta in Me!...».

Fin dalla notte che segue le dolorose crisi si rinnovano, lasciandola apparentemente priva di cono­scenza sotto l'acutezza del dolore. Tuttavia può fare la Co­munione la mattina del giovedì 13 dicembre 1923, e durante il ringraziamento Nostro Signore le appare mostrando a Josefa, immerso nella fiamma del Cuore divino, il cuore di lei che sembra così piccolo. «Tu sai bene, Josefa, che l'ho preso, e con esso tutti i tuoi affetti: affidamelo perché amo ciò che tu ami e avrò cura di tutto quello che in terra ti è caro». Allora ella Gli parla della mamma, delle sorelle, della Società del Sacro Cuore, di quella casa e delle anime che le sono care. Gesù con infinita condiscendenza risponde a tutto, quindi prima di lasciarla: «AspettaMi ancora qualche giorno, Josefa!». E facendo allusione alla colombina. «Bisogna ancora rompere i legami che trattengono l'ala, ma ora ella è tutta bianca!».

In certi momenti Josefa non sa contenere la sua felicità e quando rimane sola con le sue Madri lascia espandere l'anima sua senza ritegno. Sono allora slanci d'amore e di fervore che vengono raccolti a sua insaputa, e che rivelano la profondità della sua vita e la sua semplicità di bambina. Citiamo alcune espressioni: «Gesù mi aspetta... sono pronta a partire. Sono alla stazione... sul marciapiede... il biglietto è già preso... i bagagli sono registrati... sono i meriti del suo Cuore!... «So dove vado... non temo affatto, non desidero niente... ho dato tutto!». E ricordandosi della colombina scrive a matita questi «versitos», come li chiama, ove trapela la freschezza e la poesia dell'anima sua: «Povera colombina, ha sete!... «Ma l'ala è attaccata e non può volare alla sorgente per dissetarsi! «Gesù è così buono, che è venuto: l'ha presa Lui stesso. «Ed essa ha bevuto il suo Sangue! «Povera colombina che non può volare!...». «Vieni, Gesù! rompi i lacci affinché la colombina «Possa spiccare il volo verso le aiuole in fiore!... «Vieni a cercarla, essa ha gli occhi fissati su di te! «E nel giorno e nell'ora in cui la libererai «Come sarà felice di contemplarti!». La serata trascorre così, fortificata dalla visita del Padre Boyer che si trattiene con lei a lungo ed esce meravigliato dell'opera divina in quest'anima pienamente abbandonata alla sua azione: è una consumazione che prosegue senza ostacoli. La notte i dolori ricominciano più acuti e Josefa sembra entrare nuovamente in agonia. Tuttavia può ricevere la Co­munione la mattina dopo, e questa grazia non le verrà tolta nemmeno un giorno.

Il venerdì 14 dicembre, sarà illuminato da una pace e da una gioia che malgrado i dolori vivissimi e persistenti sembrano più di cielo che di terra. Ella tace, prega, procura di evitare la minima pena e la minima fatica alle sue Madri che si alternano per non lasciarla sola. «Sono molto contenta quando mi sento male, poiché comprendo che la volontà di Dio si compie. Non c'è nulla che dia pace e consolazione come la volontà di Dio. Muoio perché questa è la Sua volontà... Dalla mia entrata qui non ho mai fatto la mia volontà... perché tutte queste cose non le ho scelte io! Quello che mi dà ora tan­ta pace è di aver lottato e sofferto per adempiere il volere di Dio e morire fedele». Molte intenzioni le vengono raccomandate per il Paradiso, di vocazioni, di peccatori... «Mi piace tanto lavorare - dice. - Andrò di qua e di là per ottenere molte grazie!». E siccome le si parla della Francia: «Ah! certamente - risponde - è la patria dell'anima mia! Essa mi ha dato la vita religiosa... questa casa della nostra Beata Madre Fondatrice... questo angoletto di terra per vivervi e per morirvi!». «Se si sapesse!... non si cercherebbe mai altra cosa sulla terra che di fare la volontà di Dio! Nessuno può farsi un'idea ditale felicità... è l'unica cosa che infonde pace... Ah! morire religiosa, in questa pace, ripaga mille volte tutto quello che ho sofferto!...» «Non c'è da preoccuparsi affatto, perché Gesù è buono... e supplisce...». Poi baciando il Crocifisso: «I suoi piedi divini... le sue mani di padre, si di padre! il suo Cuore! quanto è buono Gesù! Com­prendo quanto Gesù sia buono, ed è ciò che mi dà tanta gioia... Egli perdona, Egli ripara, Egli ama!... Appena qualcosa mi contrista, sento che Egli subito mi dice: "Non temere, sono buono e ti amo!". «Egli è così buono perché io sono la più piccola, l'ultima, la più miserabile... e sono contenta d'essere un nulla!... «Gesù è buono: è la parola che riempie il mio cuore... potrei avere tanti rimorsi delle mie colpe, invece no! Non ho che ringraziamenti per il perdono avuto. «Mio Gesù - esclama ad un tratto - sono passati ventitré anni dacché mi hai detto: "Voglio che tu sia tutta mia!». Allora L'amavo senza conoscerLo. Sì, non Lo co­noscevo ancora ma già L'amavo, Lo avevo sempre con me! So chi sono, ma, soprattutto, so chi è Lui... Mi ha dato il suo Cuore... e ciò è una realtà. «Mio Dio - dice dopo un lungo silenzio - ti faccio sacrificio della mia vita in unione al Cuore di Gesù, con sottomissione e gioia perché ti amo! Voglio tutto quello che Egli vuole: se vuole che viva... sì! se vuole che muoia... sì!... Trentatre anni!... anni di grazie, soprattutto questi quattro di vita religiosa! Quanto sono contenta... morire in piena conoscenza... sapere che il momento si avvicina... Che gioia! che morte felice... che Sposo fedele!...». Il Padre Boyer la visita paternamente e le rinnova l'assoluzione sacramentale. Le forza declinano e non può più in­ghiottire che qualche goccia d'acqua a prezzo di dolori acuti.

All'alba del sabato 15 dicembre 1923, durante il ringraziamento della Comunione, Gesù le appare: «- Vedi, come non ti lascio sola. Sono la tua consolazione all'ora della morte, e lo sarò per tutta l'eternità! E come ho trovato le mie delizie nella tua piccolezza, tu troverai in Me la felicità senza fine!». Josefa non può contenere il desiderio di andare in cielo per contemplarLo per sempre, e aggiunge con la sua semplicità di bambina: «Poi ho tante intenzioni da confidarTi... tante com­missioni che mi vengono date in questi giorni!». «- Sì, sì. Noi faremo loro delle piccole sorprese, dei «piacerini», come quaggiù si dice. RiposaMi ancora in te, Josefa: presto ti riposerò in Me! Addio! Sono con te!». Qualche momento dopo una violenta crisi riduce agli estremi la cara malata: perde a lungo la conoscenza, ma il suo volto contratto porta l'impronta di una sofferenza acuta. Quando ritorna in sé la sua gioia profonda non è alterata. Ingenuamente ac­carezza la piaga della mano destra del Crocifisso, e dice con voce appena percettibile: «Quella libererà la "palomita"», poi bacia con amore la piaga del costato: «Ero molto felice - prosegue - il giorno dei voti, ma non sapevo se sarei stata fedele fino alla morte. Oggi Gesù mi ha unita a Lui per sempre e non permetterà che Lo perda mai!». Nella tarda mattinata il Reverendo Padre le conferisce le grazie dell'indulgenza «in articulo mortis» perché Josefa sta male. Verso le 10 la Santa Fondatrice le appare. Benché penosamente Josefa scrive ancora sotto dettatura le ultime racco­mandazioni e termina con queste parole: «Tutti i membri di questa cara Società vivano uniti a quel Cuore che si è donato a loro per amore. Lavorino senza tregua e non dimentichino mai che sono spose e vittime! Ora un'anima di più proteggerà la Società della terra, poiché gli umili e i piccoli trovano grazia davanti a Dio». Il pomeriggio comincia nella pace, ma ad un tratto la cara sorellina sembra star peggio, la fisionomia cambia, il respiro diviene affannoso, gli occhi aperti si velano a poco a poco, entra nella notte dell'agonia, benché molto presente a quanto la circonda. La comunità si raggruppa presso la piccola cella; è uno spettacolo celeste, Josefa esulta al pensiero della sua felicità. L'anima sua trasalisce d'un ardore che ella non può contenere. Con gli occhi chiusi alla terra, è raggiante di gioia: si unisce a tutto e chiede che si recitino per lei le sue preghiere preferite: le litanie della Ma­donna, quelle del Sacro Cuore, le invocazioni della novena del 1° venerdì, il miserere, i cinque pater alle cinque Piaghe, le Ave ai sette dolori della Madonna vengono ripetute alternativamente, mentre ella stringe la sua croce di professa sul petto infuocato. Esprime anche il desiderio di sentire i suoi cantici preferiti e soprattutto il cantico che in quel momento esprime meglio di tutto il suo desiderio: «Andrò a vederLa un dì, andrò a veder Maria!... al cielo, al cielo, al ciel!...». «Bisogna dire: andrò a vederla questa sera!», dice. Il Padre Boyer recita le preghiere degli agonizzanti. Josefa le interrompe con le sue riflessioni semplici e fervorose. La sua voce ripete a tratti la sua grande felicità di morire tutta di Gesù, la sua fiducia senz'ombra, la sua gioia di essere tanto piccola e povera di tutto, la sua fede nella misericordia, la certezza del perdono e dei meriti di Colui il cui amore forma tutta la sua sicurezza. Trascorrono così le ore mentre la febbre ardente la divora, ma i patimenti non diminuiscono la sua gioia... Parla del cielo e delle anime sante che andrà a ritrovare: promette di occuparsi dei peccatori, delle vocazioni, delle intenzioni che le si rac­comandano... E un dialogo fervente tra lei, il Padre, le consorelle che si avvicinano or l'una or l'altra. Verso le cinque sembra seguire con lo sguardo velato un oggetto che passa improvvisamente davanti a lei. «Povera colombina - dice due volte – E’ tutta bianca, senza macchie - confida a voce bassa alle sue Madri. La croce brilla sul suo piccolo petto e fa sforzi per volare, ma l'ala è ancora trattenuta da due cordicelle». Qualche istante dopo la Madonna appare alla sua figliola. «Non è ancora il momento, Josefa - le dice. Bisogna soffrire: presto non vi sarà più tempo!».

Sorge la domenica 16 dicembre 1923: è il diciassettesimo mese dopo i primi voti. Verso le sei riprende un po' di conoscenza e può inghiottire qualche goccia d'acqua, cosa che la riempie di gioia dandole la sicurezza di poter ricevere la Comunione. Gesù, precedendo l'incontro eucaristico, si mostra ad un tratto. Viene a prenderla con sé? «- No – risponde - tu non morrai finché la tua superiora non avrà ricevuto dalla Madre Generale la linea di condotta da seguire dopo la tua morte e per la­sciarle tutto il merito dell'abbandono, non sarà né oggi né domani...». Josefa Gli domanda se i suoi gemiti dolorosi Lo hanno rattristato o anche offeso. «- No, so che soffri e faccio mio il tuo dolore. «Esso cade sul mio Cuore come un balsamo prezioso che cicatrizza le mie ferite e sulle mie labbra come un miele delizioso. "Palomita mia" (mia colombina) è il mio amore che ti tien legata e imprigionata per il tuo bene e per quello di molte anime. Ma sarà altresì l'amore che presto ti inebrierà delle pure e celesti dolcezze! L'amore ti riveste dei miei meriti e ti farà gustare la beatitudine delle anime vergini! «Sì, palomita amada, durante la vita ti ho nutrita di fiorellini agresti che Io stesso avevo seminato per te. Nell'eternità ti ciberò coi fiori purissimi che abbelliscono l'aiuola verginale. Addio! Non per molto tempo mi separo da te, poiché sai bene che trovo le mie delizie nella tua piccolezza!». E Gesù scompare. E’ l'ultima volta che Josefa lo contempla quaggiù.

 

CONSUMMATUM EST! 16-29 dicembre 1923

D'ora innanzi l'aspettativa sarà senza luce... Ancora qualche giorno di pace e presto le spaventose tenebre dell'inferno si appesantiranno su Josefa per tentare contro di lei un supremo assalto. Quando suonerà l'ora voluta da Lui, Gesù nella sovrana libertà del suo amore verrà a rompere gli ultimi legami: «Levati, colomba mia, e vieni!», dirà. E Josefa partirà nella solenne solitudine della sua ultima offerta.

La mattina della domenica, 16 dicembre 1923, passa tra acute sofferenze, che si calmano un po' nel pomeriggio, quando Josefa recupera lentamente la vista. Verso sera il suo stato si aggrava ad un tratto, e quando Monsignor Vescovo si degna venire a visitarla la trova senza conoscenza. Egli resta a lungo inginocchiato in preghiera vicino a quel letto che sembra piuttosto un altare ove si compie l'olocausto. Le notti e i giorni seguenti trascorrono in alternative di dolori acuti e di brevi momenti di relativa calma, che man­tengono la malata e chi le è d'intorno in quell'abbandono così caro al Signore. Una sete ardente la divora e tuttavia ogni stilla d'acqua che riesce appena ad inghiottire la brucia e la consuma invece di sollevarla. «Mi sembra - dice - che questa piccola goccia d'acqua cada sopra un braciere ardente di materie cor­rotte» dal quale riceve un'impressione penosa e dolorosa. Gesù l'associa alla sete della croce e al fiele che Gli fu presentato.

La direttrice dell'educandato dei Feuillants, partita anch'essa per il cielo qualche anno dopo, riferiva così i ricordi di quella fine di dicembre: «- Nella sera radiosa che fu quella dell'Unzione degli Infermi e dei suoi ultimi voti riconoscendo la mia voce mi chiamò presso di sé: "Pregherò in cielo per tutte le sue intenzioni..." Poi aggiunse a più riprese: «E’ tanto buono Nostro Signore! quando si fa ciò che si può (e ciò è quasi nulla) Egli s’incarica del resto. Poco importa se non sentiamo di progredire nella perfezione».

La mattina del sabato 22 dicembre 1923 la lettera annunziata da Nostro Signore giunge da Roma, e la benedizione della sua Madre Generale fortifica la cara malata all'entrata del tenebroso sotterraneo che si vede dinanzi. La sera di quel giorno una terribile crisi la riduce agli estremi togliendole per lungo tempo ogni conoscenza. Che succede in quella notte misteriosa dove l'anima sua è penetrata? Josefa lo dice più tardi: in quell'ora sembra che il demonio riceva dall'alto un forte potere. Un'idea improvvisa, che non è sua, s'è fissata nella sua mente: la morte vicina non è che una conseguenza della sua via straordinaria. Chi la obbliga? Può rimanere fedele senza consentire a una tale via... che non è obbligatoria: basta che la rifiuti e si troverà guarita!... Nell'i­stante stesso e improvvisamente ogni sofferenza sparisce e si sente pervasa da una specie di benessere fisico. Nello stesso tempo sotto l'effetto dell'ossessione diabolica si rinchiude in un silenzio assoluto dal quale non esce che per affermare di essere guarita e libera da quella via. Mai Josefa ha sofferto in questo campo come allora! Ma nella parte più alta della sua volontà non cessa di amare Colui che permette una tale prova! Il giorno di Natale, martedì 25, per un istante ritrova suf­ficiente libertà per spiegare al Padre Boyer ciò che è avvenuto e avviene in lei: questi minuti di doloroso sollievo le fanno comprendere quello stato e permettono al Padre di confortarla meglio che può. Ma è uno sprazzo di luce fugace, e la potenza infernale non disarma. Si intuisce la lotta interiore che la deve straziare e che rende il suo mutismo ancora più doloroso. Quante preghiere, quante suppliche la circondano senza riuscire ad ottenerle un po' di luce e un po' di libertà... In quell'ora nulla è efficace se non la sofferenza. Così Natale e il mercoledì 26 dicembre passano lentamente su questo Calvario. Il Padre, che segue da vicino il misterioso assalto diabolico, pronunzia varie volte le preghiere degli esorcismi, ma inutilmente. Per i meriti dei dolori di sua Madre, Gesù interviene all'ora opportuna. La sera del mercoledì, in ginocchio presso il letto di Josefa, le Madri implorano il Cuore addolorato di Maria, ripetendo le Ave Maria. Ad un tratto Josefa si riprende, abbassa gli occhi, le sue mani si incrociano, le labbra si schiudono... e a poco a poco la si vede unirsi alla preghiera che si accentua vicino a lei. Trascorre un quarto d'ora di viva commozione. Allora il Pater succede alle Ave Maria: «Venga il tuo regno... sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra!». Le lacrime sgorgano dai suoi occhi e con tutta l'anima ripete, parola per parola, la preghiera preferita della Santa Madre Fondatrice: «Cuore sacratissimo di Gesù, corro e vengo a te, perché sei il mio unico rifugio, la mia sola e certa speranza. Tu sei il rimedio a tutti i miei mali, il sollievo di tutte le mie miserie, la riparazione di tutte le mie colpe, il supplemento a tutto ciò che mi manca, la certezza di tutte le mie domande, la sorgente infallibile e inesauribile per me di luce, di forza, di costanza, di pace e di benedizione. Sono sicura che non ti stancherai mai di me e che non cesserai di amarmi, di aiutarmi, di proteggermi, perché mi ami di un amore infinito. Abbi dunque pietà di me, Signore, secondo la tua grande mi­sericordia, e fa' di me, in me e per me tutto ciò che vorrai, poiché mi abbandono a te con la piena e intera fiducia che non mi ab­bandonerai mai!». Di fronte a questa affermazione del più completo abbandono, il demonio è fuggito per sempre! Sotto il piede verginale di Maria la sua potenza è rimasta annientata! La sofferenza torna nuovamente a invadere tutte le membra di Josefa; ella si ritrova sulla croce del suo Salvatore!... La notte trascorre in un ringraziamento di cui non è possibile esprimere l'intensità. Josefa è prostrata ma l'anima sua riprende a poco a poco contatto con le grazie di questo dolore bene­detto... con le sue Madri che non la lasciano.

All'alba del 27 dicembre 1923 ella fa la Comunione in una pace che niente più offusca; è la festa di S. Giovanni, l'amico delle anime verginali. Ella non può dimenticarlo! Il Padre direttore si trattiene a lungo con lei dopo il ringraziamento. Con un'esattezza e chiarezza di espressioni che lo colpiscono ella può ora rendergli conto dello stato misterioso che ha attraversato, conservando solo la coscienza di una volontà tutta sua. Sembra che l'anima sua abbia toccato l'estremo limite dell'impotenza, ma che abbia pure sperimentato profondità di umiliazione e di annientamento che sono, in verità, profondità d'amore! Il Magnificat resta la più pura espressione di quelle ore indimenticabili, e lo si ripete attorno al letto di Josefa raggiante sulla sua croce. Tutti i dolori sono tornati e le forze fittizie dei giorni scorsi scomparse; la giornata termina senza ombra nella felicità della sofferenza e dell'abbandono riconquistati:

Il venerdì 28 dicembre 1923 la visita del Padre le reca ancora un'assoluzione. E’ un arrivederci egli pensa, perché deve andare per un ministero fuori Poitiers, ed egli se ne va rassicurato: Josefa ha ritrovato la pace e la gioia senza ombre. Verso l'una del pomeriggio una lunga e penosa crisi la riduce all'agonia. Fino alle tre rimane senza conoscenza di ciò che la circonda, tanto il dolore l'ha atterrata; tuttavia verso sera ritrova un po' di vita. Il suo corpo smagrito fa compassione, le si inumidiscono le labbra con qualche goccia d'acqua e altro non si può fare che procurare di alzarla un poco per facilitarle la respirazione. Ma sempre dimentica di sé, sorridente, facilita tutto e cerca di evitare alle altre ogni pena, non ha che parole di riconoscenza.

La notte - l'ultima notte - trascorre in queste alternative, e al mattino del sabato 29 dicembre 1923 Gesù Ostia viene a lei per l'ultima volta. Josefa fa scorrere il rosario tra le dita e il suo sguardo rivela all'intorno ciò che le sue forze ormai estinte non possono piu esprimere. Il pomeriggio trascorre in questo abbandono. A mezzo seduta nel letto, soffre molto, ma nulla altera la sua serenità. Rilegge il capitolo 100 del terzo libro dell'Imitazione di Cristo - il suo capitolo preferito - e scambia ancora con le Madri qualche parola piena di fervore e di tenera riconoscenza. Si fa notte.

Verso le sette e mezza la sorella infermiera domanda alla piccola malata se qualcosa potrebbe sollevarla. «Oh! Tutto quello che vuole, sorella... Mi sento bene, - aggiunge - e posso restar sola», perché l'Angelus suona ed essa sa che a quell'ora la comunità si riunisce per la cena. Quando, pochi istanti dopo, la sorella infermiera risale nella piccola cella, Josefa ha cessato di vivere!... Ella è distesa con il capo leggermente rovesciato indietro, gli occhi socchiusi, con un'espressione dolorosa impressa nel volto: tutto in lei sembra ricordare Gesù crocifisso e morente nell'abbandono del Padre. «- LasciaMi scegliere l'ora e il giorno» - aveva detto Gesù. «- Tutte e due saremo là per condurti in cielo» avevano pro­messo la Madonna e Santa Maddalena Sofia. Non era forse quello il compenso di quest'ora in cui, nell'abbandono completo della terra, nella solitudine... e forse nell'angoscia si realizzava la parola di Gesù: «- Tu soffrirai e in un abisso di dolore morrai!»? A questo passaggio del cielo nella piccola cella solitaria, Gesù volle dare un segno evidente, testimone della sua incomparabile delicatezza. Quando verso le undici di sera, biso­gnò alfine rivestire la cara, piccola sorella coll'abito religioso, quale non fu la sorpresa delle Madri desolate nell'accorgersi che «qualcuno» era già venuto a prendersi cura di lei! Sotto le coperte, che furono trovate rimboccate fino all'orlo, e meglio di come l'avrebbe potuto fare chiunque, Josefa, le braccia ste­se lungo la persona, aveva indosso la sottana grigia, cinta alla vita e accuratamente stesa fino ai piedi. Nessuno era entrato nella camera, come assicurava la sua vicina d'infermeria, e la cara piccola malata, incapace di qualunque movimento e di qualunque sforzo, ignorava perfino dove i suoi abiti fossero stati ripiegati.

Ben presto la fisionomia di Josefa si illumina di pace e di serenità, mentre una soprannaturale impressione di grazia si spande in tutta la casa. Al mattino della domenica 30 dicembre le consorelle ap­prendono con indicibile commozione il segreto divino di quei quattro anni, di cui nessuna aveva sospettato l'esistenza. «È giusto - aveva scritto la Madre Generale - che esse siano le prime a raccoglierne la grazia». Viene imposta la massima discrezione, perché nessuno, all'infuori della famiglia dei Feuillants, dovrà per ora conoscere nulla dei favori e della missione di cui l'umile sorellina è stata depositaria. «La notte della sua morte, non sapendo che stesse peggio - scrive la sorella cuoca - la vidi in sogno. Era bellissima e riposava su un letto ornato di fiori. Mi fece segno di avvicinar­ mi: "Oh! sorella mia, non tema la sofferenza, non perda una particella di quella che Gesù le manda! Se sapesse che cos'è soffrire per Lui!... bisogna che faccia del suo lavoro una preghiera. In ogni cosa dica: mio Gesù, è per Te! Te l'offro; in modo che Egli veda il suo desiderio di essere con Lui e di amarLo... Oh! se sa­pesse!... Ha tanto bisogno di amore!".

Il martedì 1° gennaio ebbe luogo il funerale. «Avevo temuto -   scrive la superiora alla Madre Generale - che la coincidenza del capodanno, l'assenza delle educande in vacanza lasciassero la cappella vuota durante la funzione. Ma non fu così: Monsignore, visibilmente commosso, e sei sacerdoti riempivano il santuario. Religiose di ordini diversi, le bambine delle Suore del Buon Pastore nostre protette, le semi-convittrici subito avvertite, le Figlie di Maria della congregazione del Sacro Cuore e un buon numero di persone amiche, facevano, dietro la corona delle Madri e delle Sorelle, una bella scorta alla nostra Josefa, così umile e ignorata». La Messa di Requiem devotamente cantata si svolse in un raccoglimento che tutto concorreva a rendere commovente. Il Vescovo diede solennemente l'assoluzione e il corteo s 'incamminò mentre il canto «In Paradisum» sollevava i pensieri là ove ormai dobbiamo cercare la nostra piccola sorella. Pioveva e il tempo nuvoloso contrastava con la pace serena degli animi. Si discesero i viali del giardino, non lontano dall'oratorio di S. Giuseppe, la «Solitudine» dove Santa Maddalena Sofia si ritirava in preghiera, si raggiunse il portone della clausura e Josefa lasciò per sempre i Feuillants! Il carro ol­trepassò il limite del confine e sparì nella via. La sepoltura delle Religiose del Sacro Cuore è all'estremità del cimitero della città. Là una spaziosa concessione lascia il posto a numerose tombe raggruppate attorno a una croce. In faccia al cancello d'ingresso, in una tomba già preparata ven­gono deposti i preziosi resti di Josefa. La sua tomba non si distingue affatto da quelle delle altre religiose, ma sembra nascondersi ancora sotto il manto verginale di Maria, vicina come è a un'antica sepoltura dominata dalla statua della Madonna. Là riposa l'umile privilegiata del Cuore di Gesù, colei che sarà ormai conosciuta come «Messaggera della Sua Opera d'Amore!».

 

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Parole notevoli:

 «Quando un'anima desidera con ardore di re­starmi fedele, Josefa, Io sostengo la sua debolezza e le sue stesse cadute invocano con maggior forza la mia bontà e la mia misericordia. Altro non chiedo se non che, dimentica di sé, si umilii e si sforzi non per soddisfazione propria, ma per darmi gloria».

 «- Molte anime credono che l'amore consista sol­tanto a dire: Ti amo, mio Dio! No, l'amore è soave, agisce perché ama e fa tutto amando. Voglio che Mi ami così nella fatica come nel riposo, nella preghiera e nella gioia come nella pena e nell'umiliazione, provandoMi continuamente questo amore con le opere, perché questo è amore! Se le anime comprendessero bene tutto ciò, quanto progredirebbero in perfezione e quanto consolerebbero il mio Cuore!».

 «- Il mio Cuore non viene ferito se non dalle anime consacrate!».

 «Sì, offriti per ottenerle il perdono. Se un anima si umilia, anche dopo aver commesso i più gravi peccati, acquista un gran merito. Ma l'orgoglio provoca lo sdegno del Padre mio che lo odia con odio infinito. «Cerco anime che sappiano umiliarsi per riparare quest'orgoglio».

 «- Un piccolo gruppo di anime fedeli ottiene mi­sericordia per un gran numero di peccatori. Il mio Cuore non può rimanere insensibile alle loro suppliche».

 Non dimenticare, figlia mia, che tutto  quello  che  accade  rientra sempre nei disegni di Dio (S. Maddalena Sofia a Josefa - 14 marzo 1922).

 «Farò conoscere alle anime fino a qual punto il mio Cuore le ama e le perdona, e come mi compiaccio delle loro stesse cadute... sì, scrivilo... me ne compiaccio! Leggo nel fondo delle anime e vedo il loro desiderio di piacermi, di consolarmi, di glorificarmi... e l'atto di umiltà che sono costrette a fare vedendosi così deboli, è proprio quello che consola e glorifica il mio Cuore. «Poco importa la loro debolezza: supplisco Io a tutto ciò che loro manca.

 «Quando un'anima prega per un peccatore con l'ardente desiderio che si converta, essa ottiene molto spesso il suo ravvedimento, non fosse altro al termine della vita, e l'offesa ricevuta dal mio Cuore viene riparata. «Ad ogni modo la preghiera non è mai perduta, poiché da una parte consola il dolore che mi cagiona il peccato e, dall'altra, la sua efficacia e potenza servono, se non a quel determinato peccatore, almeno ad altre anime meglio disposte ad accoglierne i frutti.

 «E’ buona cosa - le aveva detto un giorno la Madonna, - che tu ami senza sentirlo e senza saperlo».

 «- Ogni anima può farsi strumento di quest'opera sublime. Non è necessario compiere grandi cose per questo: bastano le più piccole: un passo che si fa, una pagliuzza raccolta da terra, uno sguardo trattenuto, un servizio reso, un sorriso amabile... tutto ciò, offerto all'amore, è in realtà di gran profitto per le anime ed attira loro torrenti di grazie. Inutile che ti ricordi il frutto della preghiera, del sacrificio, di qualsiasi azione offerta per espiare i peccati delle anime e per ottenere loro di purificarsi e divenire, a loro volta, santuari dove risiede la Trinità Santa». «E se qualcuno consacra la sua vita a lavorare direttamente o indirettamente alla salvezza delle anime e giunge a tal distacco di sé da dimenticarsi, senza tuttavia trascurare la propria perfezione, fino ad abbandonare ad altri il merito delle sue azioni, delle sue preghiere, delle sue sofferenze... quest'anima disinteressata attira sul mondo grazie copiose... Essa stessa sale ad un alto grado di santità, molto più che se avesse cercato soltanto il proprio progresso».

 La vita scorre rapida e vi conduce là dove non sarete più degli operai, ma dei re per l'eternità!

 Poiché volete la libertà per voi, perché non la lasciate agli altri?

 Lasciatevi convincere dalla fede e sarete grandi! Lasciatevi dominare dalla fede e sarete liberi! Vivete secondo la fede e non morrete eternamente!

Maria Ss.: «Giunta al settantatreesimo anno l'anima mia passò come un lampo dalla terra al cielo. Dopo tre giorni gli angeli raccolsero la mia salma e la trasportarono in trionfo di giubilo per riunirla all'anima.

 «Unione intima del Cuore di Gesù col Padre celeste, mi unisco a voi». Gesù: «- Questa invocazione, Josefa, mi è così gradita e ha tale valore, che supera di molto quello delle preghiere più eloquenti e sublimi che le anime possano offrirMi. Infatti, che cosa vi può essere di più grande valore che l'unione del mio Cuore col Padre celeste?... Quando le anime pronunziano questa preghiera penetrano per così dire nel mio Cuore e aderiscono al beneplacito divino, qualunque esso sia su di loro. Esse si uniscono a Dio e questo è l'atto più soprannaturale che si possa compiere sulla terra, poiché cominciano a vivere qualche cosa della vita del cielo che consiste nella perfetta ed intima unione della creatura col suo Creatore e Signore».

 «Le anime a Me consacrate ravvivino i loro desideri di riparare e chiedano con fiducia che sorga sul mondo il giorno del Re divino, cioè il giorno del mio Regno universale! «Non temano, sperino in Me, confidino in Me! «Siano divorate di zelo e di carità per i peccatori!.. Ne abbiano compassione, preghino per loro e li trattino con dolcezza!

 «Tre cose chiedo alle anime consacrate: «Riparazione, cioè vita di unione col Riparatore divino: operare per Lui, con Lui, in spirito di riparazione, in stretta unione ai suoi sentimenti e desideri. «Amore, cioè intimità con Colui che è tutto amore e che si mette al livello delle sue creature, per domandare di non lasciarLo solo, e di darGli il loro amore. «Fiducia, cioè sicurezza in Colui che è bontà e misericordia... in Colui col quale io vivo giorno e notte, che mi conosce e che io conosco... che mi ama e che io amo... in Colui che invita le sue anime consacrate perché vivendo con Lui e conoscendo il suo Cuore aspettino tutto da Lui».

 «E’ tanto buono Nostro Signore! quando si fa ciò che si può (e ciò è quasi nulla) Egli s’incarica del resto. Poco importa se non sentiamo di progredire nella per­fezione».

«Ecco quelle piaghe - le dice un giorno Nostro Si­gnore - che furono aperte sulla croce per riscattare il mondo dalla morte eterna e ridonargli la vita. Sono esse che ottengono misericordia e perdono a tante anime che irritano la collera del Padre. Sono esse che, d'ora innanzi, daranno loro luce, forza e amore... Questa piaga del mio Cuore è il vivo vulcano dove voglio che s'infiammino le mie anime scelte».

Per mezzo di Josefa, Gesù ritorna sempre sulla necessità e sulla potenza della nostra riparazione. “Per salvare un'anima occorre soffrire molto... le anime corrono alla perdizione e il mio sangue per esse è per­duto! Ma quelle che mi amano e s'immolano come vit­time di riparazione attirano la misericordia di Dio. Ecco ciò che salva il mondo!... Glorificami per mezzo del mio cuore. Ripara con lui e soddisfa per mezzo di lui alla divina giustizia. Presentalo come vittima d'amore per le anime, e, in modo speciale, per quelle a me consacrate. Vivi con me come io vivo con te... La tua sofferenza sarà la mia, e la mia sofferenza la tua!”.

Nella sua enciclica Annum Sacrum del 25 maggio 1899, Leone XIII ricordando la «vittoria insigne e pros­sima» che l'apparizione della croce in cielo annunziava a Costantino, così si esprimeva; «Oggi un altro simbolo divino, presagio molto felice, appare ai nostri occhi: è il Cuore sacratissimo di Gesù sormontato dalla croce e splendente di un fulgore incomparabile in mezzo alle fiamme: a lui dobbiamo chiedere la salvezza degli uomini e da lui dobbiamo sperarla».

Anche il Santo Padre Pio XII ci confessa nella sua Enciclica che egli «constata con gioia i progressi della devozione verso il Sacro Cuore di Gesù, e l'ardore che molte anime spiegano nel meditare più profondamente le ricchezze investigabili del Cristo conservate nella Chiesa»

Anche il Sommo Pontefice (Pio XII) ci insegna la stessa dottrina e ci fa intendere le stesse suppliche pressanti. La sua Enciclica sul Corpo mistico ci ricorda, dopo quella di Pio XI Miserentissimus, che la riparazione è un urgente dovere per la salvezza delle nazioni in guerra.

A questo assillo che dovremmo avere di riparazione, si unisce nel Messaggio del Cuore di Gesù e nell'enciclica sul Corpo Mistico, lo stesso pensiero di un ricorso costante alla Vergine corredentrice.

Il Pontefice Pio XII si fa l'eco di questo piano divino. «Se abbiamo veramente a cuore - egli dice - la sal­vezza di tutta la famiglia umana, riscattata col sangue divino, dobbiamo far passare le nostre suppliche per le mani della vergine Madre».

Una delle ragioni che decisero Pio XII a pubblicare il 29 giugno 1943 un'enciclica sul Corpo Mistico, benché la guerra minacciasse di incendiare l'Italia e Roma stessa, era che tra gli stessi fedeli «circolavano talvolta delle opinioni inesatte o del tutto errate che trascinavano le menti fuori della sicura via della verità». Da questi sviamenti spirituali devono rifuggire i membri dell'Azione cattolica che la sublime dottrina del Corpo mistico unisce maggiormente a tutti i cristiani, alla gerarchia ecclesiastica e allo stesso Sommo Pontefice. I militanti dell'Azione Cattolica che si penetreranno profondamente del Messaggio del Sacro Cuore saranno meravigliosamente disposti a comprendere questi errori moderni e le verità dottrinali che l'enciclica ha messo ve­ramente in luce. La devozione sempre più fiduciosa al cuore misericordioso di Gesù - la convinzione profonda che la carità di Cristo è la sorgente di tutti i beni spirituali e che non bisogna né contare sui nostri meriti, né disperare delle proprie miserie (poiché l'amore divino sfrutta le nostre stesse colpe per l'estensione del suo regno, ma è trattenuto dalle nostre pretese orgogliose) - la fede viva nella potenza costruttrice della carità, per stabilire tra tutti gli uomini una santa lega di amore - la speranza inconfondibile che un giorno tutto quello che esiste qui in terra e in cielo sarà ricondotto all'unità del Corpo Mistico - la forza dello Spirito Santo che ci spinge a cooperare colle nostre pre­ghiere, sacrifizi, penitenze, mortificazioni, sforzi disinteressati e generosi, alla redenzione dell'umanità colpevole - la pietà filiale verso la Mediatrice di tutte le grazie - tutti questi sentimenti attinti nella meditazione delle parole del Cristo, debbono preservarci ad un tempo dal falso misticismo che invece di umiliare l'uomo e di glorificare Cristo concede all'uomo «attributi divini che competono solo al Cristo» - dal falso quietismo che lascia solo a Cristo l'opera della salvezza del mondo «escludendo e trascurando la coope­razione dell'uomo» - dal razionalismo che ritiene assurdo ciò che sorpassa e domina la forza dello spirito umano - dal «naturalismo» che fonda la propria fiducia nella forza giuridica e sociale della Chiesa e dell'azione umana e non nella divina assistenza dello Spirito Santo - infine da tutti i sistemi che svalutano i mezzi soprannaturali - come la preghiera, la confessione, la sofferenza, la carità verso i poveri - e che esaltano la potenza dei mezzi di cui l'uomo può disporre, senza tener conto della comu­nione dei santi e di tutti i membri del Corpo Mistico di Gesù Cristo. Il Messaggio contiene dunque l'antidoto degli errori da cui oggi i fedeli, secondo l'avvertimento del Pontefice di v. m., sono particolarmente minacciati.                    P. FR. CHARMOT S. J.

 

Da: COLUI CHE PARLA DAL FUOCO

                  A cura della Comunità Medjugorje-Valtorta