LA PERSONA E GLI SCRITTI DI MARIA VALTORTA
A cura di Emilio Pisani, con brani tratti in
terza persona dall' Autobiografia e da altri Scritti di Maria Valtorta.
Nascita
e infanzia.
Maria
Valtorta nacque il 14 marzo
Aveva
appena diciotto mesi quando si vide trasferita con i genitori da Caserta a
Faenza, in Romagna; e dopo qualche anno, nel
Nell'ottobre del
Dovendo
suo padre continuare a seguire gli spostamenti del Reggimento, nel settembre
del 1907 Maria si trovò trasferita a Voghera, dove frequentò le scuole comunali
e, ogni giovedì, le lezioni di francese tenute da suore espulse dalla Francia
per la legge Combes. Grazie a queste, la sua anima fu
rimessa «in comunione con Dio», e nella prima domenica dell'ottobre
In
collegio a Monza.
Sempre
per il dispotismo materno, al quale si contrapponeva la mite arrendevolezza del
padre, Maria dovette lasciare con dolore la casa a dodici anni, nel marzo 1909,
per entrare in collegio. Ma si trattava del bellissimo Collegio Bianconi di
Monza, delle Suore di Carità di Maria Ss. Bambina,
dove ella finì col trovarsi
«benone». Il suo carattere, fatto «dì
generosità, di fermezza, di fortezza, di fedeltà», le procurò il nomignolo di «valtortino». L'amore allo studio, all'ordine,
all'ubbidienza, la faceva citare «a modello». Ma la mamma le impose di fare le
Tecniche; e lei, che era negata per la matematica, non poté evitare una
«solenne bocciatura», sottoponendosi poi ad uno
studio massacrante per recuperare il tempo
perduto ed esaurire il programma classico «dove riusciva tanto bene».
Dopo
«cinque annate scolastiche e quattro anni solari», fu ancora la mamma a
decretare la sua uscita dal collegio, nel febbraio del 1913. Doveva lasciare
«quel nido di pace», e il suo «povero cuore, presago del futuro che lo
attendeva, così martoriante, tremava di paura e di dolore». Dagli ultimi
esercizi spirituali in collegio, tenuti dal vescovo mons. Cazzani,
ella volle «trarre un frutto duraturo per tutta la sua prossima vita nel mondo
e un programma per quella sua prossima vita». E il Signore, ancora una volta,
non mancò di disvelarsi alla sua anima, facendo
capire a Maria «quale doveva essere la sua vita in Dio, in rapporto a Dio,
voluta da Dio».
A
Firenze.
Nella
primavera del 1913 la famiglia Valtorta si trasferiva a Firenze, questa volta
non per seguire il Reggimento, ma perché Giuseppe andava in pensione per motivi
di salute. Con suo padre Maria usciva spesso a visitare la città, e per conto
proprio continuava a condurre la vita della collegiale, mentre la mamma non
mancava di impartirle «gratuite lezioni di indifferenza religiosa».
A
Firenze, Maria conobbe Roberto. «Era bello, ricco, colto. Era anche molto
buono, serio, quieto». Si vollero bene, «un bene muto, paziente, rispettoso».
Ma la mamma di Maria volle troncare sul nascere quell'affettuosa amicizia. Una
sorte analoga sarebbe toccata, nove anni più tardi, al fidanzamento con Mario,
un simpatico giovane senza mamma, bisognoso di cure e di affetto per poter
divenire «un bravo ragazzo, un bravo ufficiale».
«Amare
era per lei condizione inderogabile per poter vivere»; ma doveva andare a Dio
«dopo aver visto quanto caduche sono le affezioni umane».
Un
sogno.
Nella
primavera del 1916, «in un periodo tremendo di disperazione e di desiderio», il
Signore tornò ad attirarla a Sé con un sogno, che sarebbe rimasto «vivo» in
Maria per tutta la vita. In una visione evangelica, che sembra anticipare le
visioni non sognate della sua opera di scrittrice, Maria fu soccorsa da Gesù,
le cui parole di monito e di pietà, unite al gesto di assoluzione e di
benedizione, furono per lei «un lavacro che la purificava tutta». E si svegliò
«con l'anima illuminata da qualcosa di non terreno».
Infermiera samaritana.
Ma il
ritiro dal mondo era ancora lontano. Nel 1917 Maria entrò nelle file delle
infermiere samaritane e per diciotto mesi prodigò le sue cure nell'ospedale
militare di Firenze. Chiese di curare i soldati di truppa e non gli ufficiali,
perché andava «per servire i sofferenti e non per civettare o trovare marito».
Esercitando questa carità, si sentì come obbligata «dolcemente ad accostarsi
sempre più a Dio».
Colpita
alle reni
A
segnare l'inizio della sua graduale immolazione, fu un gesto sconsiderato di
violenza. Accadde il 17 marzo 1920. Passava per strada in compagnia della
mamma, quando «fu colpita alle reni da un piccolo delinquente. Con una sbarra
di ferro, levata ad un letto, le venne dietro e a tutta forza le dette una
mazzata». Rimase a letto tre mesi, e fu l'assaggio della sua futura completa
infermità.
A
Reggio Calabria.
Nell'ottobre dello stesso anno si recò con i genitori a Reggio Calabria,
ospite dei cugini Belfanti, proprietari di alberghi.
Il suo spirito si ritemprò nella stupenda natura di quei luoghi, e il suo sano
desiderio di apprendere trovò sfogo nella «bellissima raccolta di libri » della
cugina Clotilde. E il Signore, questa volta, si servì di un libro per darle
ancora «una spinta potente». Il Santo, di Antonio Fogazzaro,
«incise un segno indelebile nel suo cuore; e un segno buono».
A
Reggio Calabria, Maria sperimentò in maniera più sensibile certe percezioni
psichiche, che già negli anni precedenti aveva avvertito sotto forma di
«premonizioni» e di altri «fatti strani». A Reggio, inoltre, riaffiorò il suo
trasporto per San Francesco, che resterà una nota costante nella sua
spiritualità. A Reggio, infine, vide distrutto, dalle macchinose arti della
mamma, il suo fidanzamento con Mario.
Tornata
a Firenze il 2 agosto 1922, vi rimase ancora per due anni, schiacciata dai
«ricordi amari».
A
Viareggio.
Nel
settembre del 1924 la famiglia Valtorta si trasferiva definitivamente a
Viareggio, dove il 23 ottobre prese possesso della «casetta» appena acquistata.
A
Viareggio, Maria continuò a condurre vita ritirata, tranne «qualche corsa al
mare e in pineta» e le uscite «per la spesa quotidiana» che le consentivano di
«fare delle visitine a Gesù Sacramentato, senza attirare i fulmini materni»~..
Ma per lei era iniziato «un nuovo e diverso periodo di vita, in cui sempre più
crebbe in Dio».
Offerta
all'Amore.
Attratta dall'esempio di S. Teresa di Gesù Bambino, di cui lesse tutto
d'un fiato
Ansia
di apostolato.
Sollecitata dall'ansia di servire il Signore, desiderò di entrare nella
Compagnia di San Paolo, ma dovette accontentarsi di svolgere «un apostolato
umile, nascosto, solo noto a Dio, corroborato più dal soffrire che
dall'operare». Tuttavia, dal dicembre 1929, quando venne accolta nell'Azione
Cattolica come delegata di cultura delle giovani, si mostrò subito attiva,
lavorando con impegno e tenendo conferenze che attiravano ascoltatori sempre
più numerosi, «anche fra i non praticanti».
Offerta
alla Giustizia e infermità completa.
Intanto
veniva maturando in lei la decisione di offrirsi vittima anche alla Giustizia
divina, cui si preparava «con una vita sempre più pura e mortificata». Già da
tempo aveva pronunciato i voti di verginità, povertà, ubbidienza. Compì il
nuovo atto di offerta il 1° luglio 1931, e le sofferenze fisiche e spirituali
la risparmiarono sempre meno.
Il 4
gennaio 1933 fu l'ultimo giorno in cuì Maria,
camminando con estrema fatica, poté uscire di casa. E dal 1° aprile 1934 non si
levò più dal letto, dando inizio, in un «intenso trasporto d'amore», alla sua
lunga e operosa infermità. Divenne «lo strumento nelle mani di Dio». La sua
missione era «di soffrire, di espiare, di amare».
La
morte dei padre.
Il 24
maggio
Ma alla
consolazione di avere accanto una persona amica seguì subito i I grande dolore della morte del padre, avvenuta un mese
dopo, il 30 giugno. «Aveva fatto sempre il suo dovere con pazienza, con dolcezza, con
carità, perdonando le offese, rendendo il bene per il male, superando i
disgusti per chi lo misconosceva e lo feriva ad ogni minuto». Il dolore di non
averlo potuto assistere negli ultimi istanti e di non poterlo vedere neppure da
morto, fece stare Maria «fra morte e vita». La mamma, dopo le «stupide scene di
amore tardivo», divenne ancora più dura e dispotica. «Essere padrona assoluta
le aveva sconvolto il cervello».
E Maria
continuò, nel suo letto d'inferma, a soffrire e ad amare, rendendosi sempre
disponibile alla volontà di Dio, consolando gli afflitti, raddrizzando i
deviati nello spirito, ricevendo dolorose premonizioni sulla gravità del
momento, in ogni caso rivelando la forza virile del carattere e la chiara
intelligenza della mente fissa in Dio.
Padre Migliorini e primi scritti.
Nel
1942 ricevette la visita di un pio sacerdote, già missionario, il padre
Romualdo M. Migliorini, dei Servi di Maria, che per
quattro anni fu il suo direttore spirituale. Richiesta da lui, nel 1943 accettò
di scrivere l'Autobiografia, a patto di poter dire «tutto il bene e tutto il
male», in una vera apertura d'anima.
Operosa, intelligente, dotata, Maria era portata ad interessarsi di
tutto, né la forzata infermità le impediva di lavorare e di scrivere. Alle
molte attitudini, specialmente femminili, univa il dono della scrittrice nata;
e proprio questa spiccata capacità ella doveva mettere al completo servizio di
Dio, amato fino all'immolazione di sé.
Per
impulso soprannaturale, il 23 aprile di quello stesso anno 1943, venerdì santo,
iniziò a scrivere i «dettati», dopo avere appena ultimato l'Autobiografia.
Morte
della mamma.
Dopo
pochi mesi, il 4 ottobre, ignara di tanta sorte, moriva la mamma, da lei «amata
di un amore che neppure le sue durezze avevano stancato o diminuito».
In casa
restavano ora Maria e Marta.
Scrittrice mistica.
La sua
attività di scrittrice fu molto intensa dal 1943 al 1947 e si protrasse, in
misura sempre più ridotta, fino al 1953. Perciò Maria scrisse soprattutto in
periodo di guerra e di condizioni assai disagiate, compreso lo sfollamento, che
la obbligò a trasferirsi a S. Andrea di Còmpito
(frazione del comune di Capànnori in provincia di
Lucca) il 24 aprile 1944, per fare ritorno alla diletta casa di Viareggio il 23
dicembre dello stesso anno.
Scriveva, stando quasi seduta nel letto, su comuni quaderni di scuola
che poggiava ad un cartolare tenuto sulle ginocchia. Si metteva a scrivere in
qualsiasi momento, sia di giorno che di notte, anche se era stremata dalla
stanchezza o tormentata dalla sofferenza. Scriveva di getto, con naturalezza e
senza rivedere. Se veniva interrotta, poteva sospendere per poi riprendere a
scrivere con disinvoltura. Non consultava libri, tranne la Bibbia e il
Catechismo di papa Pio X.
La sua
missione di scrittrice non la isolò dal mondo. Non le furono estranee la vita e
le ansie delle persone vicine, che aiutava con illuminato consiglio e, se
occorreva, con nascosti ed eroici sacrifici che miracolosamente risolvevano
casi angosciosi. Non era indifferente alle sorti della nazione che tanto amava,
né si sottraeva ai suoi doveri di cittadina, fino al punto di farsi portare in
ambulanza al seggio elettorale il 18 aprile 1948.
Nel lavoro
continuo, nella preghiera viva e costante, nel dolore accolto con la gioia dei
redentori, Maria chiedeva a Dio di non concederle segni esteriori della sua
intensa partecipazione a Cristo, il quale la usò come fedele «portavoce» e come
«penna», manifestandosi nella ricchezza delle «visioni» e nella profondità dei
«dettati».
Le
opere.
Sono
circa quindicimila le pagine di quaderno vergate da Maria Valtorta. Poco meno
di due terzi, di questa sorprendente produzione letteraria, riguarda la
monumentale opera sulla vita di Gesù ("L'Evangelo come mi è stato
rivelato", nuova edizione de "Il poema dell'Uomo-Dio"). Le opere
minori comprendono vasti commenti di brani biblici, lezioni di dottrina, storie
di primi cristiani e martiri, componimenti di pietà.
«Posso asserire - si legge in una
dichiarazione della Valtorta - che non ho avuto fonti umane per poter sapere
ciò che scrivo, e ciò che, anche scrivendo, non comprendo molte volte».
Accanto
alla produzione altamente ispirata, della quale non si considerava autrice,
Maria Valtorta ci ha lasciato interessanti scritti autobiografici e un ricco
epistolario, che ci svelano la sua forte personalità umana, volutamente posta
al servizio eroico e santo di Dio per il bene di tutti.
Offerta
dell'intelligenza.
Il 18
aprile 1949 Maria offriva a Dio il sacrificio di non vedere l'approvazione
ecclesiastica dell'Opera, e univa il prezioso dono della propria intelligenza.
Il Signore dovette prenderla in parola se, dopo aver visto l'Opera «bloccata»,
Maria andò chiudendosi per gradi, a partire forse dal
Un
primo segno di quella sua condizione fu l'uso esagerato delle maiuscole nelle
lettere che scriveva. Seguì la mania di riempire le immaginette religiose, e in
genere i pezzi di carta che le capitavano sotto mano, con giaculatorie come:
«Gesù, io confido in te», delle quali faceva a volte il computo delle
indulgenze acquistate.
Finì
col restare del tutto inoperosa, lei che scrivendo, lavorando o pregando, non
aveva mai oziato nel letto. Agli interlocutori cominciò a rispondere a
sproposito, e a volte esternava la sua congeniale arguzia senza controllarne
l'opportunità. Ma parlava sempre di meno, fino al punto di limitarsi a ripetere
meccanicamente il saluto o le ultime parole di una frase che si sentiva
rivolgere, facendo cadere ogni tentativo di dialogo. Di tanto in tanto emetteva
dei gridii o esclamava: «Che sole che c'è lì».
Eppure,
conservava uno sguardo lucido e un atteggiamento tranquillo. Non chiedeva mai
nulla e si lasciava imboccare come una bambina. Interpellata in qualche
circostanza grave per i suoi scritti, dava una risposta breve e azzeccata,
quasi scuotendosì per un attimo da quello stato di
incomunicabilità.
Morte e
sepoltura.
Il 16
settembre 1961, per le peggiorate condizioni di salute, Maria venne trasportata
in ambulanza a Pisa e ricoverata nella Clinica delle Serve di Maria Addolorata,
dove rimase fino alla fine del mese.
Tornata, senza alcun segno di ripresa, nella sua camera di Viareggio, vi
sì spense alle ore 10,35 del 12 ottobre 1961, nel 65° anno di vita e nel 280
d'infermità. Al suo capezzale di morente era stato chiamato il padre Innocenzo
M. Rovetti, Correttore del Terz'Ordíne
dei Servi di Maria, al quale ella apparteneva oltre che al Terz'Ordine
Francescano. Nell'attimo in cui il sacerdote, pregando, pronunciò le parole: Proficiscere, anima christiana,
de hoc mundo (Parti, o anima cristiana, da questo
mondo), Maria spirò. Parve proprio l'estremo suo atto di ubbidienza.
Da uno
scritto del 1944 sappiamo che Gesù le aveva detto: «Come sarai felice quando ti
accorgerai di essere nel mio mondo per sempre, e d'esservi venuta, dal povero
mondo, senza neppure essertene accorta, passando da una visione alla realtà,
come un piccolo che sogna la mamma e che si sveglia con la mamma che lo stringe
al cuore. Così lo farò con te».
La
salma venne composta nella stessa camera e sullo stesso letto che avevano visto
le sofferenze, l'operosità, gli atti di offerta e la pia morte della scrittrice
inferma, la quale da vari anni aveva predisposto l'abito per la propria
sepoltura, il velo del battesimo che avrebbe dovuto coprirle il capo, la frase
da mettere sui ricordini: «Ho finito di soffrire, ma continuerò ad amare». 1
pochi e raccolti visitatori poterono ammirare il candore della sua mano destra
(la mano di colei che si era definita «penna del Signore») mentre la sinistra
andava illividendo. E le ginocchia, che erano state il suo scrittoio,
apparivano inarcate sotto la veste bianca, ora che Maria era distesa nel riposo
della morte.
Il 14
ottobre si svolsero i funerali, di primo mattino e con semplicità, secondo le
disposizioni che Maria stessa aveva da tempo lasciate. Dopo il sacro rito
celebrato nella parrocchia di San Paolino, un breve corteo di automobili
accompagnò la salma al Camposanto della Misericordia, dove la bara venne
interrata.
Esumazione e sepoltura privilegiata.
Dieci
anni dopo, il 12 ottobre 1971, i suoi Resti mortali furono esumati dalla terra
e messi nel loculo dei genitori. Ma il 2 luglio 1973, ottenuti i permessi
civili ed ecclesiastici, vennero traslati da Viareggio a Firenze, per essere
tumulati nella Cappella del Capitolo al Chiostro Grande della Basilica della
SS. Annunziata, dove tuttora si venera la tomba di Maria Valtorta.
Diffusione degli scritti.
Gli
scritti di Maria Valtorta cominciarono ad essere pubblicati negli ultimi anni
di vita della scrittrice e senza il suo nome. Ben presto essi hanno raggiunto
le vie del mondo, diffondendosi in Italia e penetrando all'estero, fin nei
Paesi più lontani, senza pubblicità, con la sola forza del loro messaggio dì
verità e di amore, che conquista gli uomini e li rende migliori.
Nel
«dettato» del 23 agosto 1943 troviamo le seguenti parole di Gesù alla
scrittrice: «Ci vuole buon senso nell'usare del dono mio. Non un'aperta e
risuonante diffusione, ma un lento effondere sempre più vasto, e che sia senza
nome. Quando la tua mano sarà ferma nella pace in attesa di risorgere nella
gloria, allora, solo allora verrà fatto il tuo nome».
«L'Evangelo come mi è stato rivelato (Il poema dell'Uomo-Dio)».
L'Opera
maggiore è una grande Vita di Gesù, la cui narrazione si estende dalla nascita
e infanzia della Madonna alla sua assunzione al Cielo.
Definita negli scritti valtortiani: «Vangelo
di Nostro Signore Gesù Cristo come è stato rivelato al piccolo Giovanni», si
ritenne, al momento della sua pubblicazione, di chiamarla più semplicemente “Il
poema di Gesù”. Ma poiché venne intimato all'editore di cambiare quel titolo,
che già apparteneva ad un volumetto di poesie pubblicato da un'altra casa
editrice, si pensò di ritoccarlo in “Il poema dell'Uomo-Dio”, e tale è rimasto
fino alla nuova edizione “L'Evangelo come mi è stato rivelato”.
E',
tuttavia, un «vangelo» che non sostituisce e non riforma il Vangelo, ma lo
narra, lo integra ampiamente e lo illumina, con lo scopo dichiarato di
ravvivare negli uomini l'amore a Cristo e alla Madre sua.
Ed è stato «rivelato» a Maria Valtorta,
chiamata «piccolo Giovanni». Giovanni, per accostarla all'evangelista che fu il
prediletto tra i discepoli. Piccolo, per la dipendenza della sua pur grande
Opera dagli evangelisti, che nel poco scritto racchiusero l'essenziale.
Tutti gli scritti di Maria Valtorta sono editi dal Centro Editoriale Valtortiano
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